cosa vi aspettereste da me oggi, 23 ottobre ’11? Ma naturalmente un’introduzione 2011 all’INTRODUZIONE 2005! NO PEUR! Ero io ad aver bisogno di “vedermi” un po’ insieme a voi. Mi sono accorta che sono in un’era pessimistica!

particolare del “Bacchino malato” di Caravaggio (1653-54)

 

 

 

Questo testo (INTRODUZIONE), che mi sono decisa a pubblicare con molta esitazione, è una introduzione ai vari argomenti del libro, divisa in vari capitoletti cortissimi, come tutti mi chiedono, e che, forse, avrei fatto bene a mettere all’inizio del blog per facilitarne la lettura. Me lo direte voi.

E’ stato scritto nel 2005, dopo aver ultimato la prima stesura del libro. Ci tengo molto a dire che ha meritato una telefonata del Prof. Zapparoli in persona, addirittura a luglio quando già era in vacanza.  E’ stato come ricevere un grande abbraccio di entusiasmo, a me e alla mia introduzione stretti insieme, e un augurio, detto con quel suo modo un po’ da “burbero benefico”(che poteva però essere, all’occasione, “un burbero severo”): “Adesso vada avanti!”

Non li rileggo, questi 25 capitoletti,  perché finirei col fare come faccio sempre: riscriverli. Il Professore ne aveva un certa irritazione di questa mania del riscrivere.  E’ per me però l’unico modo di vedere un testo decente per cui continuerò a disubbidire al Professore. Ma questo testo rimane inalterato anche se molte cose sono cambiate nel mio ambiente (esterno ed interno), qualcosina in più ho appreso e, quello che più conta, sono cresciuta in serenità nell’affrontare il mondo dei normali che, per protezione celeste, non è il mio vero mondo. Il mio vero mondo? Lo vedremo da qui alla fine perché voi agite su di me e mi trasformate.

Piano piano, mi abituo a loro, ai normali, che poi “normali” non lo sono mai, anche se qualche mosca bianca l’ho vista qua e là: quelle poche con cui  ho convissuto (alcune sono morte) o ancora convivo, le chiamo: “rara aves”: e dovrei ripeterle mille e mille volte queste due parole latine cortissime!

Mi hanno fatto sentire veramente bene perché mi hanno visto e mi vedono come un essere umano e basta, senza sentire la necessità, neanche nel profondo del loro cuore, di  mettermi etichette… Neanche quella di “sano”! In breve: io sono Chiara e niente più. Rara aves,  rara aves!

Vivrei bene  in un mondo senza etichette, e, ormai, quando mi perdo per… mancanza di segnalazioni stradali, mi ritrovo così…poco per volta, per tentativi ed errori. Ripetuti fino a trovare “un porto” per la mia navicella, un guscio di noce e la vela, un garofano rosso  (in onore della passione di mio nonno).

Non lo so. Non lo so.

Ma sembra, ai miei occhi, in questo periodo specialmente, che l’attività principale dell’essere umano normale è mettere etichette (per difesa, per sapere dove andare e con chi…:”tutto giustificato per sopravvivere”)  per poi,poco per volta, senza accorgersene, relazionarsi  solo con le etichette senza più badare alla persona che le indossa (cui gliele hanno appiccicate).

Ci sono le vie di mezzo, di tre quarti e di un quarto, questo lo sappiamo. Una volta le chiamavano “eccezioni che confermano la regola”, la frase andava detta tutta di seguito come un ritornello.

Comunque sia un mondo così ben organizzato, io lo capisco: tutto i rapporti diventano veloci, richiedono poco dispendio di energie da parte nostra, anche perché in qualche modo obblighiamo l’altro (o lo fa automaticamente) ad adeguarsi alla nostra visuale e, soprattutto, a non farci sorprese!

Inoltre, un mondo così ordinato, fittizio che sia (non importa, importa la mia tranquillità di vita), mi fa letteralmente uscire dal “caos” che, di fatto, è la realtà in genere e, ancor più, una relazione umana qualsiasi… anche quella con l’idraulico, se dovessi scordarmi che lui è l’idraulico e io sono quello che richiede le sue prestazioni. Punto.

Guai incontrare un idraulico che si pone come persona, ossia in un rapporto personale con me (“un invadente che non sa stare al suo posto!”, direbbero le signore), oppure, ancora più grave,  che dia io a pomi come persona, io che ho chiamato un idraulico!   Potrei per esempio chiedergli “come sta”, ma lo faccio con un’intonazione di voce  che l’altro capta immediatamente non essere la solita formalità sociale,  cui si risponde: “bene bene, grazie”.

Mi pare che queste relazioni impersonali si chiamino “relazioni di ruolo” o “relazioni funzionali”, le uniche che  permettono di arrivare a sera senza dover schiantarsi sul letto.

Non parliamo poi delle relazione che includono sentimenti: qui la nostra salvezza potrà essere solo quella di tappezzarle di scritte difensive! “Son tutte balle ‘sta storia che devi guardare le persone “nella loro unicità”! Per me son tutte uguali.

Un mondo cosiffatto non mi fa paura né ansia, è tutto ben catalogato, non ci sono incognite né imprevisti ai quali magari non saprei far fronte…

 

ma per me, ex-psicotica, “vissuta in un altro mondo”, significa abituarmi a tante cose brutte, come la cattiveria, l’invidia, la falsità chiamata “buona educazione”, la mancanza di lealtà, ma “solo per aiutarlo”, il bisogno di demolire il vicino,  se è più debole e, magari, è anche una brava persona… Ho visto con i mie occhi che nessuno se la prende mai con i cattivi e i forti.

Del resto, se lasciamo perdere la morale, come si vede in giro che ormai “si fa”, è per me più che logico che i cattivi se la prendano con buoni e deboli, perché nessuno è così scemo da mettersi a lottare con uno più forte di lui che, oltre a schiantargli la schiena…non gli farà più quel favore che aspetta da tanto tempo…

Anni fa ho detto a mio marito, naturalmente riferendomi anche a lui, che il manifesto dello nostra specie “Sapiens” è la favola del lupo e dell’agnello di Esopo. E’ lì sul mio comodino. Un agnello così debole che doveva ascoltare in silenzio le ragioni , le scuse, le cervellotiche astruserie che “giustificavano sotto tutti i cieli” che,  “per forza”, era diventato “necessario” prenderlo e mangiarselo.  Era nostro dovere morale impedirgli di intorbidare l’acqua di tutti i lupi.


 

 

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8 risposte a cosa vi aspettereste da me oggi, 23 ottobre ’11? Ma naturalmente un’introduzione 2011 all’INTRODUZIONE 2005! NO PEUR! Ero io ad aver bisogno di “vedermi” un po’ insieme a voi. Mi sono accorta che sono in un’era pessimistica!

  1. nemo scrive:

    C’ è chi ( forse la ‘maggioranza’ ) si semplifica la vita e alleggerisce il pensiero appiccicando etichette e chi ( le persone più sensibili e più rispettose dell’ umano, ‘minoranza’ ) per le etichette appiccicate dagli altri si complica la vita ( sua ) dovendo staccarle per sentirsi meglio.

    • chiara salvini scrive:

      ma tu hai visto che succede così davvero? Del resto anche quelli che appiccicano, sono appiccicati. Tutti i pettegolezzi si fondano su questo meccanismo. Nel mio caso, come per altri nella mia situazione, credo che non mi basterà vita per tirarle via tutte queste etichette e neanche quasi tutte. Il fatto è che la gente si abitua a vederti così, tutta rappezzata con i nomi che ti hanno dato loro, , e se ti mostri diversa, non se ne accorgono, neppure se insisti con un comportamento costante, oppure ti dicono: “Non sarà l’ora di fare una visita allo psichiatra?”
      Per un ex malato mentale, come per un ex detenuto, è quasi impossibile riacquistare una “rispettabilità sociale”: la gente di te non si fida, non se ne accorge ma ti impedisce di prenderti le tue responsabilità e ancor di più ti allontana, anche con ogni menzogna…a fin di bene. da ogni decisione seria che vada presa.

      Ma il discorso si può ampliare a tutte le categorie ritenute deboli, a cominciare dalle donne, o anche uomini che mancano davanti all’etichetta, il più stereotipata possibile, “virilità”: “bicha louca”, si dice in Brasile di uno che “sembra” gay perché non ha quelle pose da saloon e non porta la pistola a vista di tutti e non ingoia litri di alcolici. “Bicha louca o anche -superlativo-louquerrima” significa pressapoco (tento): “louco-louca” è pazzo-pazza, superl. louquerrimo-a=pazzissimo-a: ” bicha”, io che non so il portoghese l’ho sempre associato a bestia, che si dice “bicho”, ma potrebbere essere “coda”: l’esperto in portoghese, che adesso si chiama Ismael Mel Ville (nome che trovo bellissimo), ci correggerà. Basta aspettare.

      http://http://youtu.be/eEmjfDP8vwg se riuscite ad aprirlo…ctrl + clic, ma deve essere sottolineato, è un flash dove due, tre brasiliani fanno la caricatura di entrambi, machos e gays

      Devo dirlo, forse già detto, ma mi è rimasto proprio sullo stomaco: mi invitano ad una cena colta (prima e ultima volta) e per farla corta, uno di questi intellettuali, parlando di gay e travestiti, afferma: “Eh be’ i brasiliani ce l’hanno proprio nel sangue”. Chiedo: “Vuoi dire che è una cosa genetica?” Risposta: “Ma per forza!” e mi taglia fuori continuando a parlare.
      Ecco, si parlava di etichette, che a volte sono dei veri marchi o stigma, fatti con il ferro infuocato, come la protagonista de “La lettera scarlatta” (1850) dell’americano Nathaniel Hawthorne. Sono sempre troppo lunga, vero?

  2. nemo scrive:

    Con l’ aumentare dell’ età diminuisce drasticamente l’ importanza dei pettegolezzi. Le etichette, come i famosi ‘post-it’ , evitano forse di approfondire i reali motivi che hanno dettato le scelte ‘esistenziali’ delle persone che ‘incrociamo’ nella vita. E’ una grave pigrizia mentale, da combattere, anche in noi stessi.

  3. diletta luna scrive:

    Mi riferisco contemporneamente al discorso sulle etichette fatto ( in breve ) da nemo e a quello ben più lungo di chiara salvini.Non sono così brava ad approfondire l’argomento come avete fatto voi, anche se lo trovo interessante. Una cosa però voglio dire molto semplicemente e cioè che io non mi sono mai sentita etichettata, nè mi sembra di aver etichettato altre persone. Non è , caro nemo, che invecchiando ci prenda sempre la grave pigrizia mentale di cui tu parli. A me sembra piuttosto una specie di liberazione che il vecchio ha diritto di prendersi rispetto al giovane. Tornando alle etichette : che mi importa di essere tappezzata di etichette da tizio e caio ? Credo che non mi tocchino ; se sono vere, bene, se non lo sono non mi toccano. Io credo che chi si relaziona con me è perchè ha capito quello che sono e se uno pensa di me cose non vere, la relazione si spezza subito o forse non incomincia neanche. Se poi l’etichetta si trasforma in un giudizio sbagliato su di me, peccato per chi giudica, non per me che sono giudicata. Io sono quello che sono, penso, non quello che uno crede. O no ?

    • Chiara Salvini scrive:

      replico d’istinto, in polemica, una specie di rabbia verso uno che se ne può stare così tranquillo in se stesso, superiore a tutto e a tutti – etichette, pareri sbagliati ecc.- e in più sentire tutto e tutti rimanendo tranquillo e sereno, quando a me la vita è stata così “diabolicamente” (!) diversa! Allora mi viene detto dal cuore, profondo, anche se ti conosco bene: ” ma la tua è autonomia o paranoia, nel senso salottiero? E’ possibile (e sarà possibile anche se a me non lo è stato), che uno prenda soltanto se stesso a metro di “giudizio finale” sul mondo e gli altri e sé...e non sia matto?” un abbraccio fraterno, Ch.

    • Chiara Salvini scrive:

      replico d’istinto, in polemica, una specie di rabbia verso uno che se ne può stare così tranquillo in se stesso, superiore a tutto e a tutti – etichette, pareri sbagliati ecc.- e in più sentire tutto e tutti rimanendo tranquillo e sereno, quando a me la vita è stata così “diabolicamente” (!) diversa! Allora mi viene detto dal cuore, profondo, anche se ti conosco bene: ” ma la tua è autonomia o paranoia, nel senso salottiero? E’ possibile (e sarà possibile anche se a me non lo è stato), che uno prenda soltanto se stesso a metro di “giudizio finale” sul mondo e gli altri e sé...e non sia matto?” un abbraccio fraterno, Ch.

  4. diletta luna scrive:

    replico anch’io subito al tuo discorso di “rabbia”,che mi dispiace di aver provocato. Non so se sia autonomia o paranoia, ma può darsi che io “sia matta “. Avremo modo di chiacchierarci su, però non capisco che cosa significhi prendere ” soltanto se stesso a metro di giudizio finale sul mondo e gli altri. Non capisco perchè il mio giudizio ( ??? ) dovrebbe essere finale. Amo tanto la ” Lode al dubbio ” di B. Brecht, che sono sempre pronta a mettere in dubbio quello che dico o che sento dire. Se le nostre vite sono state così ” diabolicamente diverse ” può essere normale che ognuna abbia un diverso modo di sentire questa nostra vita , ma secondo me il dire quello che uno sente non è la stessa cosa di giudicare il mondo ecc. Comunque questo scambio di opinioni, mi è gradito, perchè mi costringe a pensare e a cercare di… vederci più chiaro, il che fa sempre bene.

  5. nemo scrive:

    Mai accennato alla ‘pigrizia mentale’. Sono convinto che con l’ età, per la naturale saggezza che dovrebbe derivarne, i pettegolezzi ( le etichette ) abbiano sempre minore peso e importanza. Chiara Salvini invece pare dire che le cose non stanno così per tutti. Anzi, per chi ha attraversato la malattia mentale, i condizionamenti da pettegolezzi ( le etichette ) continuano a fare male, come e forse più di prima. Evidentemente, in queste cose è un errore generalizzare e/o banalizzare. E rispetto le convinzioni che derivano da esperienze che non ho fatto. Nemo

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