da ” una storia come tante…” cerco di “spiegare” l’origine della mia malattia perché solo di questa ho molti dati precisi e dettagliati.

 

 

Vorrei dire subito una cosa fondamentale: ho diviso “patrimonio genetico” da “ambiente”,  nella speranza, analiticamente, di chiarire meglio : ma chi mi ha seguito fin qui, su questo tema,  sa bene che questa separazione è errata, profondamente errata, perché “l’ambiente”, nel suo reciproco rapporto-trasformazione con i geni, inizia subito durante l’unione della coppia. Quindi è compito del lettore, una volta capito qualcosa (spero), rimettere insieme i due aspetti che, nella realtà, non sono mai stati separati.

 

 

 

1.  5

 

 

  1. a. patrimonio genetico- virtualità:

 

 

assomiglio

fisicamente e psichicamente

 

(anche se, fortunatamente, il cuore è di mio padre)

 

alla famiglia di mia madre

nella quale

–      sette membri su otto –

avevano quel tipico carattere

che va a onde:

un po’ passeggiano

sulle cime più alte,

un po’ laggiù

in fondo al pozzo.

 

E’, questa, gente entusiasta

che smuove le montagne

ma

poi

l’organismo

si deve rifare di uno sforzo così eccezionale

-ritrovare l’equilibrio, la sua stabilità di energia, rifondere le sostanze consumate-

 

e allora  arriva la cupezza

e l’inerzia soprattutto, perché il riposo è quello che ci vuole: dare il tempo al cervello di “rigenerarsi”.

 

 

 

 

“una famiglia

con

una primavera

in più”.

diceva di loro la gente di Sanremo:


“tutti gran lavoratori

bravi artigiani

artisti”

In loro,

per quello che so,

questo temperamento

si è mantenuto

nell’ambito della normalità,

anche se

con vari momenti

di “esaurimento”,

come si diceva una volta:

(anche i miei

secondo il clinico che

mi ha seguito fino a 32 anni

erano tutti “esaurimenti nervosi”,

che lui curava con degli ansiolitici.

Guai a voler vedere uno psichiatra:

“Se ti infili in quella strada non ne esci più!”

Erano già gli anni Sessanta.)

esaurimenti

che per alcuni zii,

uscirne ha richiesto prendere dei farmaci,

immagino, leggeri.

Ma francamente non lo so:

queste cose si tacciono ancora oggi come una vergogna.

 

 

Mia madre, che non ha mai preso farmaci per “l’esaurimento”

era una donna attivissima

(poteva lavorare 15-18  ore domenica compreso)

 

ma ogni tanto doveva mettersi sul letto per ore

“come una barcassa”- diceva mio papà,

“a farmi mangiare dalle mosche”-diceva lei.

 

Ma non se ne vergognava.

 

videntemente l’aveva visto fare a sua madre che era ancora più attiva di lei. Quei “famosi stampi”, che, con la modernità, si sono persi, diciamo noi vecchi.

 

Mia nonna è stata una figura di madre fortissima tanto che (le vicende sarebbero tante) mia madre, a mio parere, è sempre rimasta “figlia”. Non ha potuto crescere emotivamente e “prendersi il ruolo di sua madre”.

Ammirazione, adorazione addirittura, ma anche tanta paura.

 

Mi azzarderei a dire che i figli, invece, per lei erano fratelli con cui competere, così era sempre avvenuto nella sua famiglia dove lei, tra i figli, era forse la più tosta. E’ un azzardo dire così di mia madre, dovuto probabilmente – in parte – ad ostilità mia – ma non è vero-, ma sta di fatto che né io né mia sorella abbiamo fatto mai qualcosa di buono nella vita, per dire, neanche quando ci siamo laureate!

Il commento era fisso su tutto quello che facevamo: ” manca questo manca quello e quell’altro…bisognava fare di più”.

Come succede spesso a questo tipo di persone,  queste esigenze e severità assurde, le faceva principalmente a se stessa.

 

Un esempio  può suggerire, per quello che può suggerire “un” esempio,  che mia madre , come ho affermato, era  più figlia che madre:

 

Tutte le sante sere che Dio mandava su questa terra, diceva mio papà, mia madre, finito il lavoro, verso le 20,30-21, si faceva accompagnare, prima di andare a casa a mangiare, a vedere sua madre che, detto in breve,  da anni non stava bene.

Varie volte, incontrandola lì, il medico di famiglia le diceva: “Ma perché, invece di venire qui da sua madre, che sta bene ed è curata che più non si potrebbe, non si occupa un po’ di sua figlia?”

E mia mamma, tanti anni dopo, quando già mi ero ammalata, mi diceva: “Ma pensa che stupida, non gli ho nemmeno chiesto di che figlia parlava!”

 

Chiara: non gli ha mai chiesto niente al dottore, perché “sapeva”, ma prendersi questa responsabilità, l’avrebbe portata molto lontano dal suo bisogno fondamentale: fare soldi perché tutte le tragedie della sua vita erano accadute per mancanza di denaro.

“E lo faceva per noi”, anche quando “non ci vedeva”: chissà cosa mi sarebbe successo nella malattia che ho avuto, se non mi avesse dato i soldi per curarmi con professionisti di alto livello.

 

Una mia cugina lontana, che ha potuto curarsi solo con lo psichiatra della mutua, senza poter fare una psicoterapia, pur avendo la mia stessa malattia, la differenza di cura salta agli occhi.

 

Sono queste differenze di destino di una vita, che ti è data oltretutto una sola volta…

 



Mia nonna  Chiara era, per mia madre, l’unico modello di essere umano cui valeva rifarsi, e faceva tutto come lei…anche il minestrone e “il cundiun”!

“La nonna faceva così e così…”, e valeva per tutto,  tanto è vero che io stessa ripeto il suo comportamento in tante cose.

Mi ripeteva all’infinito, secondo la situazione,  i suoi detti  e i suoi proverbi  che, diventati miei da tempo, oggi  li ripete  anche mia figlia.. e il figliolino che ha nella pancia, il signor Nicolò, l’han chiamato, in otto mesi ne ha già imparato qualcuno…

 

Per me, queste frasi, proverbi, scenette di gente varia hanno rappresentato tutta la conoscenza della vita che ho avuto in quegli anni e, anche una speciale saggezza, sorta dalla pratica, che porto ancora con me, una cosa che sento “preziosa”.

 

Una parte della personalità di mia nonna  è parte della mia coscienza ed è solo lei che mi ha salvato dal restare una nana ratrapita, lei unica che ha visto che crescevo e così facendo, mi ha dischiuso un futuro in cui non ero più “eternamente piccola”: mi ha regalato “la speranza” su me stessa.

Solo per questo precedente, ho potuto reagire al medesimo tentativo di “tenermi piccola e incapace” , un non-io, messo in atto da mia sorella “per ingenuità di aiutarmi”.

 

 

Mia nonna non era molto simpatica a tutti, anzi per molti era antipatica: aveva fatto una vita molto dura, sempre molto seria per le responsabilità di cui si era fatto carico, non sorrideva, non era “femminile”, rideva poco, ma quando rideva era uno spettacolo di arguzia e di allegria.

Lei era una che “c’era sempre”, anche se potevi non accorgertene:  proprio come me, dico con orgoglio.

Mia figlia, ancora oggi che ha 27 anni e sta diventando mamma, avrebbe voluto una mamma femminile, dolce e sempre comprensiva: che sempre consola e tutto accetta (e vuole tuttora: gentilmente ieri mi ha detto al telefono che con mia sorella si trova molto bene e che con lei va d’accordo  almeno all’80%). Una volta si diceva “piglia e porta a cà” e anch’io mi sono presa tutta me stessa, così poco femminile, né dolce né comprensiva, e mi sono portata di peso a cà.

Anch’io da ragazza (dieci anni meno di lei) sognavo una mamma così, ma poi, con gli anni, osservando il mondo, mi sono accorta che queste mamme meravigliose, queste “vere mamme” (forse della scatole dei biscotti?), quando arriva un pericolo serio, si spaventano più di te, piangono e non si muovono incollate dove si trovano.

Ho avuto invece una mamma che, quando succedeva una tragedia, non emetteva il minimo lamento e si chiedeva subito: “Cosa c’è da fare?”, mentre si rimboccava le maniche.

Cerco di spiegare a mia figlia che le persone sono come le monete, hanno un davanti e un retro, ti danno certi vantaggi e svantaggi a seconda di come sono di carattere, ma quelle che ti danno un tipo di vantaggio, non ti possono anche dare l’altro tipo di vantaggio, ti devi invece prendere lo svantaggio relativo. Lei mi ascolta e certamente capisce: lei sa tutto il mio impegno per renderla autonoma fornendole il massimo di strumenti in modo che possa vivere bene e sicura anche quando non ci saremo più.

Ma poi mi chiama al telefono alla sera e comincia piangendo: “Sai, in questo periodo soprattutto, ho proprio bisogno di una mamma.” Infatti oggi mia sorella mi ha detto: “Se io avessi una figlia incinta, mi piazzerei vicino a lei e non mi muoverei più. ” E farebbe certamente la sua felicità immediata…

Ma voi non li vivete questi dilemmi? Il mio non è veramente un dilemma, io so che un giorno mi ringrazierà, magari io sarò laggiù, ma finalmente proverà per me un po’ di gratitudine e di vero amore.

Un  sogno il mio? Forse, ma almeno comprovato da tanti fatti.

 

Ho perso il filo, ma avevo già deciso che per oggi facevo pausa qui: per me e per voi. Io adesso me ne vado a nanna, sono le 23.03, come vuole che dica Nemo che è stato ferroviere, per me è già tardi, niente cristalli ai piedi, ma ciabatte, e una bella zucca che con la borragine fa una bella zuppa, se voi siete degli esseri notturni, vi marco “la buona notte” più tardi, all’ora che volete: lo indovinerò. Ciao Chiara.

 


 



 

 

 

 

 


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3 risposte a da ” una storia come tante…” cerco di “spiegare” l’origine della mia malattia perché solo di questa ho molti dati precisi e dettagliati.

  1. mel ville scrive:

    cara chiara, ho letto il tuo ultimo articolo con estremo interesse e attendo il seguito.Il commento che mi è venuto, non so se c’entri molto, è un po’ lungo e illustrato, te lo manderei sul tuo indirizzo e.mail, ma non l’ho trovato nel blog. Proverò a inserirlo qui, ma temo che non ci stia. Vedremo.

  2. nemo scrive:

    I nostri antenati, man mano che il tempo passa e che invecchiamo, acquistano un’ aura ‘mitica’, fin che ce ne sarà memoria ( tempo brevissimo ). Avverrà anche per noi, sicuramente.

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