UN NATALE D’ANTAN COSI’ SIMILE AL NOSTRO. UN RACCONTO AUTOBIOGRAFICO DI DONATELLA D’IMPORZANO

[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2011/12/Sister-Act-2-Oh-Happy-Day.mp3|titles=Sister Act 2 – Oh Happy Day]

CANTICO DI NATALE ANNI CINQUANTA

 

 

L’aria è molto fredda, il cielo è  grigio e distante. La porta della nostra drogheria è semichiusa per  attutire il gelo che viene dalla piazza. La vigilia di Natale è arrivata, ma c’è un po’ di tristezza nell’aria. Gli affari non vanno per niente bene, i clienti sono pochi e  sicuramente quasi tutti  taccagni  o di scarsi mezzi: entrano per comprare mezzo etto di caffè , dieci pastiglie Valda, un quarto di olio d’oliva, una scatola di idrolitina. Per lo zucchero, in genere, portano un sacchetto da casa , in modo che, facendone la tara ,non ci siano  sprechi nel peso. Nostra mamma, come in tutte le feste, ha fatto una bella vetrina, con carta argentata, ciotole di vetro con canditi di cedro, di  ciliegie, di arance, uva sultanina, scatole di cacao e di the che viene  nientemeno che da Ceylon, come dice l’etichetta . Per noi bambini questo è l’autentico segnale del Natale che sta arrivando, insieme alle vacanze che sono già iniziate da un giorno. Ci divertiamo a stare in negozio come i grandi e a vedere entrare  ed  uscire le persone . E’ bello anche guardare fuori: dal mattino presto  si  sono installati in piazza con un banco  provvisorio, sicuramente abusivo, fatto di due cavalletti e un asse abbastanza lungo, due o tre individui che da noi si chiamano “lingere”. Sono giovanotti, ma nemmeno tanto giovani, mal messi  e con una fama da  “faignants”, da fannulloni. Quello di loro che viene abitualmente chiamato  “Rovinafigli”, in memoria di un’epica lite da lui sostenuta contro alcuni suoi stretti famigliari, è  a capo dell’impresa. Hanno costruito con cartoni  e colla delle capanne un po’ storte che probabilmente non vedranno mai nascere il Bambino. Speravano di fare un po’ di soldi, ma in tutta la giornata non sono riusciti a vendere niente. Si fa scuro e il freddo si sente di più. Entra in negozio, per riscaldarsi un po’, Gambin  (così è chiamato da tutti nella piazza ma non sappiamo il perché). Possiede un  baracchino (lui lo chiama  azienda) dirimpetto  al nostro negozio. Vende ostriche ed altri frutti di  mare e normalmente si tira su , inverno ed estate, bevendo” cicchetti” uno dopo l’altro, reggendo bene tutti i generi di alcolici.  Mia mamma, che  si immedesima nel fallimento dei venditori di capanne (loro  in più  stanno anche al freddo all’aria aperta),  esprime la sua  pena   per loro : vorrebbe avere tanti soldi per comprargliele lei tutte quelle capanne. Gambin sostiene invece che non darebbe nemmeno un soldo a degli scansafatiche  poco di buono che dovrebbero solo andare a lavorare.  Si rompe inevitabilmente l’atmosfera di comprensione universale e

 

 

 

acquarello di mario bardelli

 

siamo riportati tutti sulla spietata terra. La sera si è fatta più scura, i negozi stanno tirando giù le saracinesche, anche Gambin è andato a chiudere la sua azienda. Nella quiete un po’ sorda della sera natalizia sentiamo delle urla  nella piazza. Finalmente qualcosa di interessante da  vedere, anche per noi bambini:  Rovinafigli, ormai in preda ad una rabbia violenta e ai tanti bicchieri  bevuti per scaldarsi, sta scagliando a terra, una per una, le  capanne invendute, praticamente tutte. Bestemmie volano insieme ai rozzi manufatti, qualche  passante si ferma incuriosito, tutti noi, grandi e piccini, assistiamo alla fine violenta di grandi speranze. L’ostricaio è l’unico che tenta di opporsi a quella tempesta distruttiva .”Ma dai, non fa cuscì.! Ti purerai vendile l’annu proscimu” e intanto afferra una capanna. “ Ti vei, ‘sta chi a l’è bèla, tegnila!. “Ma Rovinafigli è ormai al di là di ogni ragione; ”Na, a veuio buttà tutto. A sun  in disgrasiau. Maledetu u Natale e chi u l’ha inventau”. Gambin, con  aria  quasi paterna e un po’ falsa, prende in mano un’altra capanna:” Sta chi damela a mi, ciutostu che butala, cuscì duman a fassu u presepe a ca mea . In fundu i nun son cuscì brute”.

Di fronte alla valutazione involontariamente così modesta del suo lavoro, l’ira sale ancor di più:” Na, a devu buttà tutu, lascime sta, a sun nasciu disgrasiau! Ti u dixi anche tu che i sun  brute”. La rabbia e la violenza  sono contagiose :  finalmente anche l’ostricaio  esprime il suo vero  e più profondo parere e al diavolo l’amore per il prossimo. Tenendo la capanna  in mano, quella che non era poi così brutta, esclama inesorabilmente il giudizio: “ Sci, ti l’hai raixiun. I sun brute. Adessu a posciu ditelu che i sun propiu di brutesci! A te do ina man anche mi !” e giù a buttare capanne per terra e a saltarci addosso con i piedi. Davanti a  tutto quel furore, un po’ di gente si è radunata e guarda divertita. Nessuno tenta di fermare i due invasati, qualcuno dice che è sacrilegio  distruggere in quel modo delle cose destinate al Bambino. Mentre il gruppetto di curiosi si scioglie, si sente un commento anonimo ad alta voce:” Però i l’eira propriu brute! U l’è staitu meju butale”.

 

macerie di capanne di legno in Piazza Eroi Sanremesi 19 (foto d’epoca ritoccata e colorata)

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2 risposte a UN NATALE D’ANTAN COSI’ SIMILE AL NOSTRO. UN RACCONTO AUTOBIOGRAFICO DI DONATELLA D’IMPORZANO

  1. nemo scrive:

    Una condizione sociale misera, allora molto comune, inimmaginabile ora ( anche se la povertà non manca … ). Le festività ci regalano anche un po’ di mestizia ….

  2. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Così stampata è più divertente! Belle le macerie lignee e natalizie ( dove le hai prese?). Grazie per la stampa e per tutto. Un abbraccio poco natalizio. Ciao. Do

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