7 LUGLIO 2012, ORE 21:35 “ALFIN SON TUA ALFIN SEI MIO” DALLA SCENA DELLA PAZZIA DELLA LUCIA DI DONIZETTI (1835), UN CAPOLAVORO. SE A VOI, OGGI, IN QUESTO ISTANTE, VI FACESSERO TUTTO CIO’ E DOVESTE SUBIRE LA VIOLENZA O LE TENEREZZE, CHE IN QUESTO CASO SONO COMUNQUE VIOLENZA, E LA LETTERA FALSA E LE TRAME E LUI LONTANO DA VOI, IL TIMORE PER LA SUA VITA: SIETE PROPRIO SICURI CHE RIUSCIRESTE A NON IMPAZZIRE COME LUCIA?

 

 

 

 

NOTA DI CHIARA IN FONDO

 

 


atto
Secondo
scena
Quinta
Lucia, Alisa e detti.
(Lucia è in succinta e bianca veste: ha le chiome scarmigliate, ed il suo volto, coperto da uno squallore di morte, la rende simile ad uno spettro, anziché ad una creatura vivente. Il di lei sguardo impietrito, i moti convulsi, e fino un sorriso malaugurato manifestano non solo una spaventevole demenza, ma ben anco i segni di una vita, che già volge al suo termine)
CORO (Oh giusto cielo! 

Par dalla tomba uscita!)

LUCIA Il dolce suono 

mi colpì di sua voce!… Ah! quella voce
m’è qui nel cor discesa!…
Edgardo! Io ti son resa:
fuggita io son da’ tuoi nemici… ~ Un gelo
mi serpeggia nel sen!… trema ogni fibra!…
vacilla il piè!… Presso la fonte, meco
t’assidi alquanto… Ahimè!… sorge il tremendo
fantasma e ne separa!…
Qui ricovriamci, Edgardo, a piè dell’ara…
sparsa è di rose!… un’armonia celeste
di’, non ascolti? ~ Ah, l’inno
suona di nozze!… il rito
per noi, per noi s’appresta!… Oh me felice!
Oh gioia che si sente, e non si dice!

Cantabile
LUCIA
Ardon gl’incensi… splendono 

le sacre faci intorno!…
Ecco il ministro! Porgimi
la destra…. Oh lieto giorno!
Alfin son tua, sei mio!
A me ti dona un dio…
ogni piacer più grato
mi fia con te diviso
del ciel clemente un riso
la vita a noi sarà!

RAIMONDO, (sporgendo le mani al cielo) 

In sì tremendo stato,

di lei, signor, pietà.

ALISA,
CORO
Tempo di mezzo
RAIMONDO S’avanza Enrico!…
atto
Secondo
scena
Sesta
Enrico, Normanno e detti.
ENRICO (accorrendo) 

Ditemi:

vera è l’atroce scena?

RAIMONDO Vera, pur troppo!
ENRICO Ah! perfida!… 

ne avrai condegna pena…

(scagliandosi contro Lucia)

RAIMONDO, T’arresta… Oh ciel!…
ALISA,
CORO
RAIMONDO Non vedi 

lo stato suo?

LUCIA (sempre delirando) 

Che chiedi?…

ENRICO Oh qual pallor! 

(fissando Lucia, che nell’impeto di collera non aveva prima bene osservata)

LUCIA Me misera!…
RAIMONDO Ha la ragion smarrita.
ENRICO Gran dio!…
RAIMONDO Tremare, o barbaro, 

tu déi per la sua vita.

LUCIA Non mi guardar sì fiero… 

segnai quel foglio è vero… ~
Nell’ira sua terribile
calpesta, oh dio! l’anello!…
Mi maledice!… Ah! vittima
fui d’un crudel fratello,
ma ognor t’amai… lo giuro…
chi mi nomasti? Arturo! ~
Ah! non fuggir… perdono…

GLI ALTRI Qual notte di terror!
LUCIA Presso alla tomba io sono… 

odi una prece ancor. ~

Deh! tanto almen t’arresta,

ch’io spiri a te d’appresso…
già dall’affanno oppresso
gelido langue il cor!

Un palpito gli resta…

è un palpito d’amor.

LUCIA
Spargi di qualche pianto 

il mio terrestre velo,
mentre lassù nel cielo
io pregherò per te…

al giunger tuo soltanto

fia bello il ciel per me!

(resta quasi priva di vita, fra le braccia di Alisa)

 

 

Lucia di Lammermoor è un’opera in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto da The Bride of Lammermoor (La sposa di Lammermoor) di Walter Scott.

La prima assoluta ebbe luogo al teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835: nei ruoli dei protagonisti figuravano Fanny Tacchinardi (Lucia), Gilbert Duprez (Edgardo) e Domenico Cosselli (Enrico). In seguito lo stesso Donizetti curò una versione francese che andò in scena al Théâtre de la Renaissance di Parigi il 6 agosto 1839.

È la più famosa tra le opere serie di Donizetti. Oltre al duetto nel finale della prima parte, al vibrante sestetto Chi mi frena in tal momento? e alla celebre scena della pazzia di Lucia, la struggente cabaletta finale Tu che a Dio spiegasti l’ali è considerata una dei più bei pezzi d’opera tenorili.

Trama [modifica]

L’azione si svolge in Scozia, alla fine del XVI secolo, nel castello di Ravenswood.

Antefatto [modifica]

La nobile famiglia Asthon, alla quale appartengono i fratelli Enrico e Lucia, ha usurpato i beni e il castello della famiglia Ravenswood, il cui unico erede è Edgardo. Edgardo e Lucia si amano segretamente.

Parte prima (La partenza) [modifica]

Quadro primo – Durante una battuta di caccia, Lord Enrico Ashton viene a sapere dell’amore di Lucia per l’odiato Edgardo e giura di ostacolarlo con ogni mezzo.

Quadro secondo – Nel parco del castello, Lucia attende Edgardo e racconta ad Alisa, sua dama di compagnia, l’antica lugubre storia di un Ravenswood che in quello stesso luogo uccise per gelosia la propria amata il cui fantasma, da quel giorno, si aggira inquieto presso la fontana. Lucia le confessa di aver visto ella stessa il fantasma (Regnava nel silenzio). Alisa interpreta il racconto come un cattivo presagio e mette in guardia Lucia dal rischio di subire la stessa sorte.

Edgardo annuncia a Lucia di dover partire per difendere le sorti della Scozia. Ma prima intende stendere la mano in segno di pace al fratello di lei, Enrico, chiedendola in sposa. Lucia, consapevole dell’odio serbato dal proprio fratello nei confronti di Edgardo, chiede a quest’ultimo di attendere ancora. Edgardo e Lucia si scambiano gli anelli nuziali e si congedano giurandosiamore e fedeltà eterni (Verranno a te sull’aure).

Parte seconda (Il contratto nuziale) [modifica]

Atto primo, quadro primo – Le lotte politiche che sconvolgono la Scozia indeboliscono il partito degli Asthon e avvantaggiano quello di Edgardo. Enrico, per riequilibrare le sorti della contesa e salvare la sua casata, impone alla sorella di sposare un uomo ricco e potente, Lord Arturo Bucklaw. Al rifiuto della fanciulla, che non ha mai ricevuto lettere di Edgardo poiché le stesse sono state intercettate ed occultate da Enrico e da Normanno, egli le dice che Edgardo ha giurato fede di sposo ad un’altra donna, offrendole quale prova una falsa lettera, e con l’aiuto di Raimondo, padre spirituale della ragazza, la convince ad accettare le nozze con Arturo.

Atto primo, quadro secondo – Arturo attende trepidante la promessa sposa all’altare. Lucia viene, ma la cerimonia nuziale è sconvolta dall’inattesa irruzione di Edgardo (Chi mi frena in tal momento). Alla vista del contratto nuziale firmato da Lucia il giovane maledice l’amata e le restituisce l’anello. Lucia, impietrita dalla disperazione, gli ridà il suo.

Atto secondo, quadro primo – Enrico ed Edgardo si incontrano presso la torre di Volferag e decidono di porre fine ad ogni discordia con un duello, che viene fissato per il giorno dopo, all’alba.

Atto secondo, quadro secondo – Al castello, la lieta festa nuziale viene interrotta da Raimondo, che tremante comunica agli invitati la notizia che Lucia, impazzita dal dolore, ha ucciso Arturo durante la prima notte di nozze (Dalle stanze ove Lucia). Lucia, fuori di sé, compare tra gli invitati con un pugnale tra le mani e gli abiti insanguinati. Ella crede di vedere Edgardo, immagina le sue nozze tanto desiderate con lui e lo invoca. Mentre il coro la compiange, entra Enrico, che saputo del misfatto, fa per uccidere la sorella, ma Raimondo e Alisa lo fermano, mostrandogli in che stato è ridotta. Lucia si scuote: crede di aver sentito Edgardo ripudiarla e gettare a terra l’anello che si erano scambiati. Lucia non regge al dolore, e muore nello sconcerto generale. Enrico fa portare via Lucia, mentre Raimondo accusa Normanno, il capo degli armigeri, di essere il responsabile della tragedia.

Atto secondo, quadro terzo – Giunto all’alba tra le tombe dei Ravenswood per battersi in duello con Enrico, Edgardo medita di farsi uccidere. D’improvviso è turbato dall’arrivo di una processione proveniente dal castello dei Lammermoor, piangendo la sorte di Lucia. La campana a morto annuncia la morte della ragazza. Edgardo, che non può vivere senza di lei, si trafigge con un pugnale (Tu che a Dio spiegasti l’ali).

Organico orchestrale [modifica]

La partitura di Donizetti prevede l’uso di:

Curiosità [modifica]

Fanny Tacchinardi Persiani nella parte di Lucia nel 1838, litografia di Edward Morton

Il 21 marzo 2006, al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Roberto Abbado, l’opera Lucia di Lammermoor è stata messa in scena nella sua edizione originale: Donizetti aveva infatti pensato, per la “scena della pazzia”, all’uso della glassarmonica (o armonica a bicchieri), integrata con l’orchestra sinfonica. Circostanze pratiche costrinsero però Donizetti a rinunciare a questa originale soluzione e a riscrivere la partitura. L’edizione critica dell’opera ha reintegrato la parte per glassarmonica, che ben esprime, secondo quanto detto dal critico Paolo Isotta nel suo articolo sul Corriere della Sera del 22 marzo 2006, “l’atmosfera spettrale e nel contempo il totale distacco dalla realtà in che Lucia è precipitata.

La “Scena della pazzia” [modifica]

La Scena della pazzia è la seconda “Scena ed Aria” della protagonista. Si tratta probabilmente della più celebre scena di pazzia della storia dell’opera, nota soprattutto nella versione modificata dai soprani dell’epoca, con l’aggiunta di una lunga cadenza col flauto.

Nel libretto corrisponde alle scene V-VII della parte seconda, atto secondo. Nella partitura al numero 14.

La sua struttura è:

  • Scena (recitativo): Eccola! […] Il dolce suono / Mi colpì di sua voce (Do minore, 121 battute)
  • Cantabile: Ardon gl’incensi […] Alfin son tua (Larghetto, Mi bemolle maggiore, 44 battute nella versione originale)
  • Tempo di mezzoS’avanza Enrico (Allegro, Do bemolle maggiore, 92 battute)
  • CabalettaSpargi d’amaro pianto (Moderato, Mi bemolle maggiore, 175 battute)

Brani celebri [modifica]

  • Cruda, funesta smaniacavatina di Enrico (Parte I)
  • Regnava nel silenzio, cavatina di Lucia (Parte I)
  • Sulla tomba che rinserraduetto tra Lucia e Edgardo (Parte I)
  • Il pallor funesto, orrendo, duetto tra Lucia e Enrico (Parte II, Atto I)
  • Chi mi frena in tal momento?, sestetto tra Lucia, Edgardo, Enrico, Raimondo, Alisa, Arturo (Parte II, Atto I)
  • Il dolce suono mi colpì di sua voce, scena ed aria di Lucia (Parte II, Atto III – scena della pazzia)
  • Tombe degli avi miei, scena ed aria di Edgardo (Parte II, Atto III)

Trasposizioni cinematografiche [modifica]

Discografia [modifica]

Anno Cast (Lucia, Edgardo, Enrico, Raimondo) Direttore Etichetta
1933 Mercedes CapsirEnzo De Muro LomantoEnrico Molinari, Salvatore Baccaloni Lorenzo Molajoli Arkadia
1953 Maria CallasGiuseppe Di StefanoTito Gobbi, Raffaele Arie Tullio Serafin EMI
1959 Maria Callas, Ferruccio Tagliavini, Piero Cappuccilli, Bernard Ladysz Tullio Serafin EMI
1961 Joan Sutherland, Renato Cioni, Robert MerrillCesare Siepi John Pritchard Decca
1965 Anna MoffoCarlo BergonziMario Sereni, Ezio Flagello Georges Prêtre RCA
1970 Beverly Sills, Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli, Justino Diaz Thomas Schippers Westminster Records
1971 Joan Sutherland, Luciano PavarottiSherrill MilnesNicolai Ghiaurov Richard Bonynge Decca
1976 Montserrat CaballéJosé Carreras, Vincente Sardinero, Samuel Ramey Jesus Lopez Cobos Philips Records
1983 Edita GruberovaAlfredo KrausRenato Bruson, Robert Lloyd Nicola Rescigno EMI
1990 Cheryl StuderPlacido Domingo, Juan Pons, Samuel Ramey Ion Marin Deutsche Grammophon
1997 Andrea Rost, Bruce Ford, Anthony Michaels-Moore, Alastair Miles Charles Mackerras Sony

Bibliografia [modifica]

  • William Ashbrook, Donizetti. Le opere, prima edizione in lingua ingleseDonizetti and his Operas, Cambridge University Press, 1982, trad. it. di Luigi Della Croce, EDT, Torino 1987, pp. 145-151, 314-315 – ISBN 88-7063-047-1
  • Nicola Cipriani, Le Tre Lucie. Un romanzo, un melodramma, un caso giudiziario. Il percorso di tre vittime del “Pensiero maschileZecchini Editore, Varese, 2008, pp. 276, ISBN 88-87203-66-0
  • Emanuele d’Angelo, Lucia di Lammermoor. Il libretto e la memoria letteraria, «La Fenice prima dell’Opera», 2011, 2, pp. 27-44.

 

nota di chiara: LA MUSICA “SA” QUELLO CHE TANTI PSICHIATRI E PSICOTERAPEUTI DI QUALUNQUE LINEA NON SEMPRE SANNO, ANZI, A ME NON NE E’ CAPITATO UNO CHE SAPESSE: LE NOTI DOLENTI, SCURE, CON SUONI DI “U” E DI “O” VI AVVISANO SUBITO CHE NON SI TRATTA DI QUEL SOGNO FELICE CHE LUCIA VIVE, L’ESTASI DELL’AMORE RISOLTO E’ INAFFERRABILE PERCHE’ CONTEMPORANEAMENTE LUGUBRE, UN DELITTO SI E’ CONSUMATO, IL MALATO E’ CLINICAMENTE SU DI GIRI, TECNICAMENTE, E’ ECCITATO, FELICE, ILARE, MA LA MUSICA AVVERTE: E’ UN SOGNO DI FELICITA’ CONSUMATO SU UN ABISSO DI ORRORE. l’ECCITAZIONE SAREBBE IL CONTRARIO DELLA DEPRESSIONE E DEL LUTTO, MA QUANDO DIVENTA “MANIA” E DELIRIO, SI TRATTA DI UN RITO LUTTUOSO CELEBRATO CON CANTI CHE SOLO ALL’INESPERTO APPAIONO DI FELICITA’.

 

 

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

7 risposte a 7 LUGLIO 2012, ORE 21:35 “ALFIN SON TUA ALFIN SEI MIO” DALLA SCENA DELLA PAZZIA DELLA LUCIA DI DONIZETTI (1835), UN CAPOLAVORO. SE A VOI, OGGI, IN QUESTO ISTANTE, VI FACESSERO TUTTO CIO’ E DOVESTE SUBIRE LA VIOLENZA O LE TENEREZZE, CHE IN QUESTO CASO SONO COMUNQUE VIOLENZA, E LA LETTERA FALSA E LE TRAME E LUI LONTANO DA VOI, IL TIMORE PER LA SUA VITA: SIETE PROPRIO SICURI CHE RIUSCIRESTE A NON IMPAZZIRE COME LUCIA?

  1. diletta luna scrive:

    bellissima la musica, classica o popolare è sempre bella, “l’ultimo scalino per arrivare a dio “. La trama dell’opera invece non mi piace, perchè questi casi tragici della vita non mi dicono granchè ,direi che mi lasciano indifferente come la favola di cappuccetto rosso o simili. La vita normalmente è ben altro. Non so dire, poi, se trovandomi in quella situazione di Lucia sarei impazzita o no, credo invece che avrei fatto di tutto per non mettermi in circostanze simili. Sto confermandomi nell’idea che per me non è tanto importane la causa della pazzia quanto questa in se stessa. Bella comunque l’idea di mettere sul blog anche della musica ( da L.Dalla a Donizetti). La musica , è vero, sa dire di più delle parole.

    • Chiara Salvini scrive:

      cara Diletta, rispondo d’impeto, anche se in ritardo, a cose tue che toccano la pazzia. Non so che esperienze tu possa aver avuto, ma è difficile trovare un normale più gnucco di te sull’argomento. Tu non credi alle fabulae e per questo non credi esista la pazzia, che è una fabula che un povero infelice racconta a se stesso, e agli altri, quando non ce la fa più a sostenere quella- veritiera?- che sta vivendo. Ti può capitare un lutto che non puoi sostenere perché “quel” lutto significa che la tua vita-così come l’hai conosciuta fino ad oggi- non sta più insieme e dello sconosciuto tutti hanno terrore. Non è solo che a te pare così, ma quasi sempre è così. Ci sono persone alle quali ci appoggiamo e che ci fanno da colonne portanti, forse per te era così tua madre quando eri giovane, non lo so. L’impressione che dai è che non ti sei mai sentita “perduta” di fronte a qualcosa più forte di te: se non hai vissuto una debolezza così drammatica difficile risulta per te capire altri che invece, questa esperienza, hanno dovuto attraversarla. In genere quando questo si verifica, si origina la pazzia perché l’esperienza nuova e recente si “incolla” su un punto dolente, un’altra debolezza gravissima, che rigurda un passato molto lontano, quando non avevi parole per alleviare le emozioni. Qualcosa successo nella prima infanzia o anche in gestazione. Insieme fanno una pappa moltiplicatrice di angosce. Se hai già vissuto un abbandono che può essere tante cose (una presenza della madre o del padre che non c’era, una mancanza di cibo, un “latte cattivo” come quello di mia madre quando doveva allattare mia sorella e lei era tutta congestionata dietro al lavoro, o traumi, stupri per esempio), quando questo si presenta di nuovo nella realtà, tu l’interpreti e lo vivi insieme all’altro, diventa una palla di neve e non ce la fai più. In genere queste primitive esperienze sono sconosciute al soggetto. Ma se le potesse sapere, capirebbe che “non è l’unico responsabile della sua malattia”, come invece si sente lui. Un peso tremendo che fiacca ogni ossigeno. A te non interessano le cause, ma sono proprio quelle che ci permettono di sgravare il soggetto di colpe. Per esempio, ho pubblicato una lettera di mia zia, sorella di mia mamma, nella quale lei sosteneva che non ero mai stata malata ma solo molto viziata. Ecco pronta una maniera dove appoggiarsi per sostenere che la colpa era solo mia e di quelli che mi hanno viziato, due accuse con un piccione solo.
      “questi fatti tragici della vita mi lasciano…”: MA SAI CHE TI TIREREI IL COLLO! Elimini in un botto uno stuolo sterminato di gente che soffre e ha sofferto, ma a te non importa. Hai anche detto che l’intervista di BB che raccontava cose sue terribili, se l’era inventata, solo perché a te non è capitato niente di simile. Sono però sicura che piangi e strepiti sulla Shoa perché è un fatto culturale e di moda: non ce l’ho con te anche se sono cattiva, ce l’ho con i normali come te che non si trovano mai davanti a situazioni insostenìbili perché eliminano con un meccanismo mentale (negazione o allucinazione negativa) tutto quello che non reggono bene, che non è “costruttivo” e poi però RIFIUTANO GLI ALTRI CHE NON SONO CAPACI DI ALLUCINARE COMNE LORO. CONSIDERATI MORSICATI COL VELENO! ciao, baci ch.

  2. diletta luna scrive:

    so che mi tireresti il collo, ma che non me lo tirerai, però. Questo almeno voglio dirti. Per il resto il tuo ragionamento è lungo e solo ora lo leggo. Mi ci vuole tempo e stasera è tardi. Ti dirò solo che mi sento più vicina ai non normali che ai normali, ma non mi viene mai in mente di domandarmi il pechè delle mie anormalità o pazzie, come dici tu. Certo che ne ragioneremo ancora, mi interessa quello che pensi tu , ma non credere che nella mia vita non mi sia mai sentita ” perduta” e però mi è capitato di ” incollare ” situazioni ,ma..più in là non arrivo !

  3. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Sono perfettamente d’accordo con Bruna sulle cause della pazzia e sulla facilità con cui le persone ne attribuiscono la “colpa” a chi invece ne è vittima, cosa che fa aggravare ancora di più lo stato del poveretto cui è caduto il cielo sulla testa. Sicuramente c’è una grande paura da parte della maggioranza delle persone a riconoscere la pazzia come una malattia, forse perché ne abbiamo una fifa boia e quindi ci rifiutiamo addirittura di considerarla come qualcosa che fa parte della realtà, potrebbe essere anche della nostra realtà. In più la società in cui viviamo valorizza al massimo la concretezza, la razionalità, il pragmatismo e non vuole vedere, alla faccia della razionalità che sbandiera, ciò che non è immediatamente catalogabile; da qui le varie etichette.

    • Chiara Salvini scrive:

      ciccy, mia bella, mi impegnavo a rispondere al tuo commento, anche per poi affrontare Diletta Luna che non è d’accordo…ma per quanto mi riguarda PARLI COME UN LIBRO STAMPATO, come dicevano a casa i miei! Non ho nulla da aggiungere, è un unissono di due violini perfetti! ciao, libretto violinesco, buon giorno! Siamo al 31 di luglio: non sei contenta che abbiamo un giorno in più? Sono idiota, non ho dubbi, ma mi sembra un guadagno. grazie della collaborazione ALLA CAUSA! ch.

  4. diletta luna scrive:

    non sono proprio d’accordo con parecchie delle affermazioni di Donatella. Cause della pazzia ? E chi è così convinto di trovarle di qui o di là, su che cosa basa le sue convinzioni ? Facilità delle persone di attribuirne la colpa a chi ne è vittima ? Non conosco persone che attribuiscono questo tipo di colpa ( la zia che dice : ti hanno viziato ecc. non fa testo). Paura di riconoscere la pazzia come una malattia ? Ma dove ? Io conosco più gente che attribuisce la ” malattia della pazzia” a chi magari non ce l’ha affatto. Rifiutiamo di considerarla come qualcosa che fa parte della realtà? Ma dove sono queste persone che rifiutano questo? La realtà della pazzia può essere negata, seondo me, solo da chi non capisce niente della vita . —-Comunque sempre pronta a confrontare queste mie opinioni diverse da quelle della Do.

    • Chiara Salvini scrive:

      Intanto le cause della pazzia, come per tutti i fatti storici, anche la storia di vita è storia, naturalemnte, di un caso individuale sia pure, ma a volte è proprio approfondendo un caso singolo che si ha uno spaccato in profondità di un periodo storico: ho un vecchio amico degli anni Sessanta che è uno storico, cattedra a Venezia, insomma tutte le sacralità del caso (è inoltre molto divertente), si chiama GIGI CORAZZOL, se mai leggerà – per ora intende guardare il blog per vedere i quadri di Mario Bardelli che un tempo gli erano piaciuti molto – sono cose per me dimenticate, non ho i libri a mano ecc., ma lui potrebbe aiutarci a capire che anche un caso individuale è storia.
      Ecco, un libro l’ho trovato su Internet: Si tratta de “Il mercante di Prato” di Iris Origo, mi pare sia attualmente pubblicato da Il Corbaccio, 20 euro:

      “Apparso per la prima volta nel 1957, il libro racconta la storia di Francesco Datini. Vissuto nella seconda metà del XIV secolo, Datini rappresenta il prototipo del mercante moderno: viaggiatore instancabile, dopo aver vissuto ad Avignone, tornò in Toscana e avviò delle imprese commerciali a Pisa, Genova, Barcellona, Valenza, Maiorca e Ibiza. La sua vita è registrata nella corrispondenza e nei registri contabili, scoperti alla fine dell’Ottocento durante il restauro del suo palazzo: decine di migliaia di documenti, un fondo archivistico eccezionale che è servito a tutti gli studiosi dell’economia e del capitalismo italiani ed europei e che l’autrice ha utilizzato per costruire un ritratto vero di un uomo dell’umanesimo italiano”.
      Ne ho in mente un altro che ho usato in un mio scritto, ma è nebbia fitta. Comunque si capisce quello che voglio dire: non fai studiare alla “tua povera vittima troppo amata” FeFe, le cause remote, recenti, la goccia finale …? Così è anche per la storia della malattia mentale di una persona, per parlare di quello che so. Tutto il mio impegno, testi, blog, come avrai capito da tempo, è basato su questo: 1. la convinzione che una persona (che poi lei non c’entra in quanto tale) – malata mentale, nel mio caso – ha una storia; 2. se di questa è in grado di fornire molti dati, documenti, testimonianze possibili sue e di chi l’ha curata, l’ha conosciuta e frequentata ecc. ; 3. . se trova qualcuno esperto che raccolga questi dati- – 4. una volta depurata e messa in un contesto scientifico da chi lo sa fare – possa essere utile ad una visione più generale che potrebbe servire anche ad altri. Insomma, esiste la possibilità: 5. conclusione: che, a certe condizioni di documentazione, di capacità di elaborarle e, in seguito, a condizione di qualcuno, che ha un’inquadramento generale scientifico, e che intenda assumersi tale compito, stante tutto questo, esiste la possibilità che si possa passare “dal particolare”, che in sé non fa testo, al generale”.

      Adesso che nessuno sappia le cause ecc. è ovvio: lo sai bene che nello studio della storia, a parità di documentazione, oppure quando uno o più storici, con lavoro di archivio, portano alla luce documenti nuovi, “le interpretazioni” (perché solo di questo si tratta, non di “realtà obbiettiva” come ingenuamente si è portati a credere) si modificano. Inoltre, per chiudere, anche se non c’entra granché col mio discorso, la storia è sempre “storia partigiana” : per quanto tu voglia avvicinarti alla verità, parti sempre dalla tua messa a fuoco sul mondo, hai un codice di valori, una concezione della realtà fatta più di “passioni, emozioni, ethos, esperienze particolari della tua storia, che ti guidano” piuttosto che muoverti con l’esclusiva razionalità, come la si chiama e che NON ESISTE. Tu lo sai bene, la razionalità – anche quella degli scienziati! – esiste su un vulcano, che si cerca di tenere buono, che sta sotto, se si può parlare di spazio in queste cose!. Lo storico fa un lavoro scientifico nonostante questo, perché mette a disposizione degli altri (la scienza è pubblica) i suoi documenti e le sue interpretazioni, il suo modo di collegare e intendere i fatti, le mentalità, le convinzioni ecc. di quel periodo…in modo tale che altri possano cimentarsi e “falsificare” quello che ha prodotto, accettando in parte o in toto o rifiutando ecc. Può diventare una scienza – comunque sempre con una sua qual provvisorietà e nuove verifiche- quando una comunità di scienziati, qui di storici, si scoprono d’accordo su alcuni punti principali, allora si parla di “nuova visione di…”, ma l’anima di una qualsiasi scienza è la discussione e il non acquietarsi mai in risultati che definitivi non possono essere: ci vorrebbe dio per la verità obbiettiva, come ha già scritto una scienziato importantissimo all’inizio dell’Enciclopedia francese, quella famosissima del Settecento, LAPLANCHE, un brano interessantissimo, ma lo lasceremo alla prossima puntata della telenovela. Non ho risposto, e hai ragione, ma ho messo…come si dice…? i prodromi, che parola buffissima! per una risposta. ciao ti voglio bene, e lo sai, ch.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *