27 SETTEMBRE 2012 ORE 16:15 DEDICATO A DILETTA LUNA, LEI SA PERCHE’. QUELLA CHE CHIARA CHIAMA LA RICETTA AUREA PER GUARIRE UN MALATO DI MENTE, DAL COSIDDETTO ROMANZO 2006, CHE POI MAGARI E’ DEL 97/ 98, E SOPRATTUTTO NON E’ UN ROMANZO, MA A CHI IMPORTA?

 

 

chiara: metto sempre questa musica perché, appunto, è una “Consolazione” (n.3, LISTZ)

però non sono del tutto convinta di questa interpretazione, mi piace suonata così veloce, ma poi…E voi?

 

 

5.  2

 

 

 

La “ricetta aurea” per guarire un malato di mente è per me trattarlo come soggetto capace di intendere e di volere fino a conclamata e “pubblica” (ripetibile) prova contraria.

 

E anche dopo conclamata verifica, continuare a trattarlo come soggetto, con visionaria ostinazione, perché un essere umano non è mai incapace assolutamente di intendere e di volere.

 

C’è sempre un piccolo omino rimasto in lui, di cui prendersi cura con tutto il rispetto che si ha per una persona, rimasta piccola ma che può  e deve crescere.

 

“Visionaria ostinazione” significa solo che davanti ad un soggetto che non mi appare più persona, creo nella mia mente, per volontà di cura, un’immagine di lui persona, un soggetto tale e quale io mi sento, e, attraverso questa rappresentazione presente nella mente, mi rivolgo al lui proiettandogliela blandamente, senza invadere.

 

Questo mio atto gli fornisce a poco a poco una placenta in cui poter cominciare a sentirsi “esistente”, pur nella condizione in cui si trova: gli offre gratuitamente quell’appartenenza al genere umano della  cui mancanza soffre atrocemente.

 

Uno psicotico ridotto a cosa non ha più universo cui appartenere e “senza universo cui appartenere”, non possiamo vivere.

 

Voglio dire di più: nessun sano di mente, cui non sia concesso di sentirsi una persona, può sopravvivere in modo umano.

 

 

 

 

Vedere uno psicotico sempre come una persona, significa anche prendere delle misure per difenderlo da se stesso e per impedirgli di fare delle violenze ad altri: ma dobbiamo agire mantenendo al massimo  la sua dignità.

 

Vedo necessaria una pubblica verifica della sua incapacità di intendere e di volere perché, dalla mia esperienza, non ci si può affidare all’affetto dei familiari e neppure all’esperienza di un solo medico: è necessaria un’équipe medica e paramedica per fare una diagnosi verosimile.

 

 

Trattarlo come soggetto è, per me, già la cura.

 

Vorrei cercare di spiegarne le ragioni.

 

1.  Prima cosa ci mettiamo, noi, davanti a lui, con una differente attitudine, se lo sappiamo uguale a noi nei “diritti umani”.

 

Così facendo

 

2.  lo risarciamo di una ferita incalcolabile che è essere stato trattato o anche solo visto come una cosa.

 

 

3. Inoltre, è fondamentale seguire il modello di Pascal (inginocchiati inginocchiati e avrai fede).

 

Il malato, sentendosi trattato per lungo tempo come soggetto, si riconosce, ad un certo punto e gradualmente, in questa immagine, e molto lentamente la indossa come abito suo.

 

Vestirà l’immagine tutta di soggetto o, più prudentemente, la vestirà parzialmente, ma sarà comunque una grande vittoria.

 

“Avendo una faccia, uno va lontano nella cura”.

 

 

4.  A quel punto, rinato come soggetto esistente, anche se lo è solo “più o meno”, comincia anche a poter produrre alcuni pensieri.

 

5.  Questo avviene soprattutto se “allenato alla parola”, cioè a mettere in parole parti di se stesso, briciole e sillabe, all’inizio, che a poco a poco diventeranno una frase con soggetto, verbo, complemento.

 

Arrivato a questo stadio è curato, anche se mantiene un certo grado di delirio che gli fa da supporto.

 

Col tempo comincia ad aver una doppia visione: “è delirio, ma me lo immagino io”.

 

Questa maggiore sanità va considerata con molta attenzione, anche se non viene al caso farlo adesso.

 

Voglio dire solo che, a seconda delle circostanze, è meglio rafforzargli il delirio, piuttosto che svelarglielo, per dargli la possibilità di reggere quello che la vita, in quel momento, gli chiede di sopportare.

 

 

 

 

5.  2

 

 

 

La “ricetta aurea” per guarire un malato di mente è per me trattarlo come soggetto capace di intendere e di volere fino a conclamata e “pubblica” (ripetibile) prova contraria.

 

E anche dopo conclamata verifica, continuare a trattarlo come soggetto, con visionaria ostinazione, perché un essere umano non è mai incapace assolutamente di intendere e di volere.

 

C’è sempre un piccolo omino rimasto in lui, di cui prendersi cura con tutto il rispetto che si ha per una persona, rimasta piccola ma che può  e deve crescere.

 

“Visionaria ostinazione” significa solo che davanti ad un soggetto che non mi appare più persona, creo nella mia mente, per volontà di cura, un’immagine di lui persona, un soggetto tale e quale io mi sento, e, attraverso questa rappresentazione presente nella mente, mi rivolgo al lui proiettandogliela blandamente, senza invadere.

 

Questo mio atto gli fornisce a poco a poco una placenta in cui poter cominciare a sentirsi “esistente”, pur nella condizione in cui si trova: gli offre gratuitamente quell’appartenenza al genere umano della  cui mancanza soffre atrocemente.

 

Uno psicotico ridotto a cosa non ha più universo cui appartenere e “senza universo cui appartenere”, non possiamo vivere.

 

Voglio dire di più: nessun sano di mente, cui non sia concesso di sentirsi una persona, può sopravvivere in modo umano.

 

 

 

 

Vedere uno psicotico sempre come una persona, significa anche prendere delle misure per difenderlo da se stesso e per impedirgli di fare delle violenze ad altri: ma dobbiamo agire mantenendo al massimo  la sua dignità.

 

Vedo necessaria una pubblica verifica della sua incapacità di intendere e di volere perché, dalla mia esperienza, non ci si può affidare all’affetto dei familiari e neppure all’esperienza di un solo medico: è necessaria un’équipe medica e paramedica per fare una diagnosi verosimile.

 

 

Trattarlo come soggetto è, per me, già la cura.

 

Vorrei cercare di spiegarne le ragioni.

 

1.  Prima cosa ci mettiamo, noi, davanti a lui, con una differente attitudine, se lo sappiamo uguale a noi nei “diritti umani”.

 

Così facendo

 

2.  lo risarciamo di una ferita incalcolabile che è essere stato trattato o anche solo visto come una cosa.

 

 

3. Inoltre, è fondamentale seguire il modello di Pascal (inginocchiati inginocchiati e avrai fede).

 

Il malato, sentendosi trattato per lungo tempo come soggetto, si riconosce, ad un certo punto e gradualmente, in questa immagine, e molto lentamente la indossa come abito suo.

 

Vestirà l’immagine tutta di soggetto o, più prudentemente, la vestirà parzialmente, ma sarà comunque una grande vittoria.

 

“Avendo una faccia, uno va lontano nella cura”.

 

 

4.  A quel punto, rinato come soggetto esistente, anche se lo è solo “più o meno”, comincia anche a poter produrre alcuni pensieri.

 

5.  Questo avviene soprattutto se “allenato alla parola”, cioè a mettere in parole parti di se stesso, briciole e sillabe, all’inizio, che a poco a poco diventeranno una frase con soggetto, verbo, complemento.

 

Arrivato a questo stadio è curato, anche se mantiene un certo grado di delirio che gli fa da supporto.

 

Col tempo comincia ad aver una doppia visione: “è delirio, ma me lo immagino io”.

 

Questa maggiore sanità va considerata con molta attenzione, anche se non viene al caso farlo adesso.

 

Voglio dire solo che, a seconda delle circostanze, è meglio rafforzargli il delirio, piuttosto che svelarglielo, per dargli la possibilità di reggere quello che la vita, in quel momento, gli chiede di sopportare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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4 risposte a 27 SETTEMBRE 2012 ORE 16:15 DEDICATO A DILETTA LUNA, LEI SA PERCHE’. QUELLA CHE CHIARA CHIAMA LA RICETTA AUREA PER GUARIRE UN MALATO DI MENTE, DAL COSIDDETTO ROMANZO 2006, CHE POI MAGARI E’ DEL 97/ 98, E SOPRATTUTTO NON E’ UN ROMANZO, MA A CHI IMPORTA?

  1. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Non so se regge il paragone, ma penso che tutti noi, se siamo trattati come esseri umani, cioè siamo considerati in tutto e per tutto degni di stare al mondo come gli altri, con la stessa dignità, stiamo immensamente meglio e stiamo meglio tutti quanti. Verso il malato mentale, per ignoranza o per mancanza di esperienza, in genere, almeno nella nostra epoca, non c’è stato rispetto e considerazione. E’ una strada ancora lunga perché la malattia mentale sia considerata
    come le altre ed il malato possa avere dalla ” società” lo stesso rispetto che si ha, o che si dovrebbe avere, verso ogni malato.

  2. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    La musica che hai messo è bellissima. Ricordo che la prima volta che sono venuta a casa tua, in via Marsaglia, hai suonato sul piano ” Sogno d’amore “, che in certi punti assomiglia a ” Consolazione”. Un episodio molto romantico!

  3. diletta luna scrive:

    non vorrei essere quella che fa sempre da” bastian contrario”, ma sia nelle parole di chiara che in quelle di Donatella, trovo qualcosa che non mi suona giusto. E’ vero, tutti ci sentiamo meglio se, come dice Do, veniamo considerati e trattati come esseri umani, però non trovo che la ns. società non abbia ancora capito questo problema. Se mai non ha ancora capito che chiunque, sano o malato, va trattato con dignità e c’è ancora una grande disparità di trattamento tra persona e persona ( l’adulto, il vecchio, il bambino, il povero, il ricco, l’ignorante, il colto il debole o chi ha dei poteri, ecc. ) Nei riguardi dello psicotico la mia esperienza mi porta invece a dire che c’è il rispetto e la comprensione, almeno in senso lato. Poi uno sgarbo o un’incomprensione può capitare anche tra sani, ovvio. Nella mia vita ho conosciuto e trattato, più o meno da vicino, sei o sette persone ( malate )e non mi è mai capitato di trovare che ci fossero dei trattamenti da “cosa ” anzichè da esseri umani. I trattamenti diversi, secondo me, dipendono da momenti ed episodi particolari, non da cattiva volontà o sbagliata comprensione. La ” ricetta aurea “, proprio come dice chiara ,è essere o diventare ” allenato alla parola”. Questa per me è una gran bella e buona cura universale e non solo per lo psicotico. ( che significherebbe se no il ” et verbum caro factum est ” ? ( – la parola divinizzata !!! – il potere, a volte buono,ma a volte cattivo, della parola ). Sono andata fuori tema? Non credo, ma comunque voglio sottolineare che per me la parola è il mezzo più importante nei rapporti ( sociali, politici, medici ed anche amorosi-affettivi ) tra le persone.

    • Chiara Salvini scrive:

      sei in tema pienissimo centrato, cara la mia maestrina dalla penna rossa e blu, il tema è proprio quello! Sono contenta tu l’abbia letto. Anche trattare un malato da “non malato”, cioè come tratteremo un altro nostro amico o nostro parente, se del caso, è una maniera di trattarlo come cosa, non vederlo “nella sua realtà e nei suoi specifici bisogni” che sono suoi e non nostri, bisognerebbe cercare di guardare l’altro (normale o malato) come si guarda un campo sconosciuto, liberandosi da quella illusione brutta di “conoscerlo a pieno”, solo perché ci ciabattiamo insieme da tanti anni, vederlo come “sconosciuto” o inizio di una conoscenza nuova, che fa tabula rasa delle idee precedenti, fare un’inchiesta o una ricerca “per conoscere”, dirci: “non sappiamo”, dò il bianco nella testa con coraggio, e adesso con liberalità di mente cerchiamo di sapere: qual’è il suo bisogno principale? Per esempio, “non essere controllato”, se non prende le medicine non posso non controllarlo, ma quante volte gli mostro di controllarlo, come un cicca cicca che Lucy fa alla testa rotonda di Charlie Brown, e lui si dice: “Non è la testa rotonda, sono quei “cicca cicca” che mi fanno veramente male?” E’ quel rimarcare, nostra fonte di soddisfazione, che fa veramente male. E come siamo sordi a tutti gli stimoli!: la persona risponde in un modo che un neonato saprebbe interpretare, ma no, noi insistiamo e insistiamo non volendo capire. Capire ci obbligherebbe a “tir indietro noi” e far posto a lui e a questo egoismo non vogliamo rinunciare.
      Oggi, alla data 29 settembre 2012 ore 05:24, così lo trovi subito, ho scritto una parola, non mia si capisce, che andrebbe ricordata come bandiera fiammante, la parola e soprattutto il tono, il modo, le espressioni, il portamento, non so come dire, la situazione da cui è nata, questo accoramento difficile da figurarsi, ebbene, tutto quel pezzetto di filmato che ho visto al tg, dovrebbe essere sulla bandiera del malato mentale come di chiunque voglia essere trattato come persona. Ce lo diciamo sempre “trattare come persona”, e noi cristiani o noi socialisti atei, siamo convinti di trattare tutti come persone, perché no? E’ il nostro credo, viviamo in funzione di quell’idea…MA NON E’ VERO, IO SONO FISSATA E GUARDO E LO VEDO, E’ PROPRIO CHE L’INFERNO E’ LASTRICATO DI BUONE INTENZIONI A PARTIRE DA ME CHE ANCHE ME NE CREDO, ESSENDO STATA SUL TEMA BOLLATA A SANGUE O TRATTATA PER SECOLI COME UN PACCHETTO! Mi faccio attenzione ossessiva, appunto come uno traumatizzato, perché io lo sono stata, eppure quanti errori, quanto soverchiare l’altro! Eppure, santo di un cielo, io so come si sta, io lo so, è orrendo, e lo faccio ancora molto nonostante sia forse l’impegno più grande della mia vita, dettato dalla mia storia. grazie di aver risposto. Voglio riunire in un articolo i vostri interventi e il mio. ciao ma sainte o ma santé, decidi tu, ch.

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