29 SETTEMBRE 2012 ORE 05:46 “ELEZIONI”, UN RACCONTO BELLO DI DONATELLA D’IMPORZANO

 

 

 

Ho sempre partecipato con interesse e con vera passione agli scontri elettorali. Dal dopoguerra in poi, i mesi di aprile e maggio hanno significato per me non solo il ritorno della bella stagione, l’aria più tiepida, il verde tenero delle foglie appena nate, ma anche i palchi per i comizi  nelle piazze, gli inni suonati a pieno volume, la gente che si radunava e discuteva, i volantini multicolori, insomma quell’atmosfera frizzante che sottolinea l’imminenza di un evento. Ricordo con nostalgia i comizi del dopoguerra, le parole infuocate dei grandi tribuni, il calore degli applausi e dei fischi  con cui venivano sottolineate le frasi più significative. Sui palchi lasciati liberi dagli oratori alla fine delle manifestazioni i bambini giocavano, mimando i discorsi che ancora facevano infervorare gli adulti rimasti in piazza.

L’Inno dei Lavoratori era la colonna sonora di quella meravigliosa festa. Mi piaceva quella marcetta non tanto per ragioni politiche, ma perché mi sembrava di procedere insieme a tanti, uomini e donne, verso un futuro gioioso. Gli altri inni mi piacevano anche loro, ma erano troppo fiacchi o troppo solenni e non mi davano quella  specie di ebbrezza che si ha quando  ci si aspetta di  divertirsi insieme a molti. Io stavo proprio vicinissimo ad una grande chiesa e  sentivo anche le campane, che  interrompevano ad intervalli regolari i comizi  e le musiche. Nascevano polemiche, tafferugli, dibattiti infuocati, poi, terminato lo scampanio, come bravi scolari dopo l’intervallo, tutti si rimettevano ad ascoltare l’oratore di turno. Ho visto anche una processione della Madonna Pellegrina. Mi piaceva quella statua, vestita con un manto bellissimo, che sembrava guardare tutti amorevolmente dall’alto, un po’ preoccupata per quel  suo procedere ondeggiante tra la folla, con la corona che traballava ad ogni scossa.

Lo spettacolo più bello era la preparazione: gli elettricisti che mettevano le luminarie, i negozianti che tralasciavano i loro affari per costruire grandi festoni di carta multicolore, le fioraie che  mettevano in grosse ceste i petali delle rose  già un po’ sfiorite che sarebbero stati gettati sulla strada immediatamente prima del passaggio della Vergine. La  colonna sonora era ” Noi vogliam Dio”, cantato in un coro sommesso  dai partecipanti, che sembravano davvero chiedere qualcosa di importante e di irrinunciabile alla Madre Celeste.  Volute deliziose di incenso arrivavano fino a me e anch’io, nella mia totale materialità, mi sentivo profondamente commosso da non so bene che cosa, come quando all’improvviso viene da piangere senza motivo perché qualcosa si scioglie dentro di noi e ci ritroviamo  più liberi e più indifesi di fronte al mondo. Beh, io sono un muro, sì un muro vero, perciò, se vi dico queste cose mi dovete credere. A quei tempi ero  un muro scampato ai bombardamenti, con l’intonaco  un po’ scrostato, ma arzillo e vitale come tutti i   sopravvissuti alla guerra. I miei strati più profondi, delle magnifiche pietre di torrente che mi avevano permesso di resistere ai colpi e agli spostamenti d’aria causati dalle bombe, cantavano dentro di me come fossero ancora accarezzate dall’acqua. Non  mi importava  granché di avere un aspetto un po’ malconcio: mi appiccicavano in continuazione  dei manifesti, che poi qualcuno nottetempo strappava. Ero tutto sporco di colla, ma ero fiero delle cose che comunicavo.  C’erano parole importanti su quei pezzi di carta: libertà, pace, progresso, ricostruzione. Mi trasmettevano una gran voglia di fare, come da tanto tempo non provavo più. Mi divertiva sentire i commenti di quelli che si fermavano a leggere: erano frasi molto diverse, chi era per la Russia e chi per l’America, chi  per la Chiesa e chi per il Socialismo, ma tutti parlavano  e sembravano appassionati. C’era anche chi mi scriveva sopra con la vernice rossa ” Viva Stalin”, ma io non mi arrabbiavo, anzi pensavo che avrei potuto conservare  di quegli anni una memoria più duratura e meno effimera di quella su carta . Se  si dessero la pena di scrostarmi, troverebbero  dentro di me quella scritta, come altre più anonime e qualunquiste: ” Siete tutti ladri”, “Abbasso tutti e viva me”,” Viva il partito della bistecca”. Non ho mai sopportato la scemenza e quando l’ho dovuta subire mi sono sempre augurato che qualcuno di buona volontà un giorno la sconfessasse ed io potessi dare vivente testimonianza di uomini barbari e irragionevoli vinti dalla serenità della ragione. Ad un certo punto  della mia memoria ci sono più scritte che manifesti : ” Viva Mao”, ” Vietato vietare”,” Uno, due, cento Viet-Nam”: Non è che capissi tutto, però mi sembrava che chi scriveva su di me si riferisse ad avvenimenti importanti che stavano accadendo nel mondo e questo mi faceva viaggiare  con la fantasia che, per un muro, è il massimo di spostamento concesso. C’è stato poi un periodo di gran silenzio. Da chiacchiere che sentivo vicino a me  ho intuito che qualcosa  aveva sostituito le parole, almeno quelle scritte, un oggetto chiamato Tivu , che le persone guardano regolarmente ogni sera in casa propria prima di addormentarsi. Insomma un concorrente sleale, che non mi ha più permesso di testimoniare le idee degli uomini e che mi ha estromesso con violenza subdola dalla storia. Attualmente sono stato restaurato, che vuol dire che mi hanno dato la solita riverniciata. Le persone si sono fatte più educate e non mi scrivono più addosso. Anzi, hanno messo degli appositi tabelloni, proprio qui davanti a me, per appiccicarci i manifesti. Visto il contenuto, sono contento di non doverli più sopportare: ci sono degli enormi faccioni, poco rassicuranti a dire il vero, che invitano la gente a votarli, non si sa bene il perché. Il perché infatti non viene spiegato. L’immagine ha sostituito le idee e le parole che le esprimevano. Io però, avendo molto tempo a disposizione  ed essendo per natura meditativo, riesco a sapere molte cose da quelle  facce.  Mentre credono che nessuno ascolti, si dicono tra loro quello che pensano davvero e che io avevo già intuito.  Molti manifesti si vergognano di essere lì, per la carta sprecata e per le facce che hanno stampate addosso. Certi  confessano di fare di tutto per fare apparire ancora più disgustosi i vari personaggi e sono grati a quelli che nottetempo  vanno a cambiare gli slogan o aggiungono particolari esilaranti alle facce.  Ultimamente sono stati molto grati a quelli che hanno aggiunto ad una faccia che imperversa un bel naso rosso da pagliaccio. Io sto dalla loro parte, dalla parte della carta stampata  con su facce di gente malvissuta che ha la pretesa di fare gli interessi degli altri per potere fare meglio i propri. Allora sento le mie vecchissime pietre di torrente che vorrebbero rivoltarsi come in una piena. Ma poi la rabbia si trasforma in un mormorio sommesso, quasi un canto, che mi dice: ” Sta’ tranquillo, sono passati i Turchi, passeranno anche loro e noi saremo  invece qui con te, ad assistere alla giostra infinita degli uomini”.

 

 

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