238 aprile 2013 ore 05:44 CRISI MONDIALE COME GUERRA: SOLO NEI PENSATORI ANTICHI POSSIAMO TROVARE UN FILO CHE SBANDOLI LA MATASSA. CENTO ANNI E MOLTO DA DIRE A NOI OGGI, CH. /// ANTONIO GRAMSCI, 24 NOVEMBRE 1917

ANTONIO  GRAMSCI,   “LETTURE”    (24 NOVEMBRE 1917),   SCRITTI GIOVANILI 1914-1918   (EINAUDI 1958),  pp. 130-133

Nota:  tra il 6 e il 14 novembre in Russia i bolscevichi con Lenin hanno preso il potere.

Corsivo chiara.

 

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Tre anni di guerra hanno reso sensibile il mondo. Noi sentiamo il mondo, prima lo pensavamo solamente. Sentivamo il nostro piccolo mondo, eravamo compartecipi dei dolori, delle speranze, delle volontà, degli interessi del piccolo mondo nel quale eravamo immersi piu’ direttamente. Ci saldavamo alla collettività più vasta solo con uno sforzo di pensiero,  con uno sforzo enorme di astrazione. Ora la saldatura e’ diventata piu’ intima. Vediamo distintamente ciò che prima era incerto e vago. Vediamo uomini, moltitudini di uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi.
L’universalità del pensiero si è concretata, tende almeno a concretarsi. Qualcosa crolla necessariamente in noi e negli altri. Si è formata una temperie morale nuova: tutto e’ mobile, instabile, fluido. Ma le necessità del momento urgono, e perciò il fluido tende a stagnare, cio’ che non e’ altro che avventura spirituale vuole diventare definitivo. Lo stimolo al pensiero si pone come pensiero bello e perfetto. Cio’ che è solo velleità si pone come volonta’ chiara e concreta. E nasce il caos, la confuzione delle lingue, e si incrociano le proposte più pazzesche con le più luminose verità.
Scontiamo così la nostra leggerezza di ieri, la nostra superficialità di ieri. Disabituati al pensiero, contenti della vita del giorno per giorno, ci troviamo oggi disarmati contro la bufera. Avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi. Ci accontentavamo di poco: la conquista di una piccola verita’ ci riempiva di tanta gioia come se avessimo conquistata tutta la verità. Rifuggivamo dagli sforzi, ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle, sia pure provvisoriamente. Eravamo dei mistici inconsapevolmente. O davamo troppa importanza alla realtà del momento, ai fatti, o non ne davamo alcuna. O eravamo astratti perché di un fatto, della realtà facevamo tutta la nostra vita, ipnotizzandoci, o lo eravamo perché mancavamo completamente di senso storico, e non vedevamo che l’avvenire sprofonda le sue radici nel presente e nel passato, e gli uomini, i giudizi degli uomini possono fare dei salti, devono fare dei salti, ma non la materia, la realtà economica e morale.

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Una crisi spirituale enorme è stata suscitata. Bisogni inauditi sono sorti in chi fino a ieri non aveva sentito altro bisogno che quello di vivere e di nutrirsi.  E ciò proprio nel momento storico…in cui è avvenuta la maggiore distruzione di beni che la storia registri, di quei beni che soli possono appagare la maggior parte di quei bisogni.

Le pubblicazioni nuove, le nuove riviste, non mi danno, non riescono a darmi alcuna delle soddisfazioni che io cerco. Ciò, del resto, non è una ragione di sconforto. Le soddisfazioni le devo cercare in me stesso, nell’intimo della mia coscienza, dove solo possono comporsi tutti i dissidi, tutti i turbamenti suscitati dagli stimoli esterni. Questi libri non sono altro per me che stimoli, che occasioni per pensare, per scavare in me stesso, per ritrovare me stesso le ragioni profonde del mio essere, della mia partecipazione alla vita del mondo. Queste letture mi convincono ancora una volta che un grosso lavoro deve essere ancora fatto da noi socialisti: lavoro di interiorizzazione, lavoro di intensificazione della vita morale.
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Gli errori che si sono potuti commettere, il male che non si è potuto evitare non sono dovuti a formule o a programmi. L’errore, il male era in noi, era nel nostro dilettantismo, nella leggerezza della nostra vita, era nel costume generale, dei cui pervertimenti anche noi partecipavamo inconsapevolmente.

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Progrediamo per intuizioni, più che per ragionamenti; e ciò porta a una instabilità continua: siamo dei temperamenti più che dei caratteri. Non sappiamo mai ciò che i nostri compagni potranno fare domani; siamo disabituati al pensare concreto, e perciò non sappiamo fissare ciò che domani si debba fare, e se non lo sappiamo per noi, non lo sappiamo per gli alrti, che ci sono compagni di lotta, che dovranno coordinare i loro sforzi ai nostri sforzi.

Nella complessa vita del movimento proletario manca un organo, sentiamo che manca un organo. Dovrebbe esserci, accanto al giornale, alle organizzazioni economiche, al partito politico, un organo di controllo disinteressato, che fosse il lievito perenne di vita nuova, di ricerca nuova, che favorisse e coordinasse le discussioni, all’infuori di ogni contingenza politica ed economica.

 

(firmato  a.g., “il Grido del Popolo, 24 novembre 1917, XXII,  n.

 

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