28 GIUGNO 2013 ORE 22:48 LA PARTE MALEDETTA DI GEORGES BATAILLE—PRIMA EDIZ. 1949// SECONDA: 1967 // EDIZ. ITALIANA 2003

Georges Bataille, La parte maledetta

di Valentina Sperotto

Scheda di lettura

 

 

G. Bataille, La Part maudite précédé de La Notion de dépense, Éditions de Minuit, Paris 1949 reed. 1967

 

tr. It. di F. Serna, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, Bollati Boringhieri, Torino 2003

 

La parte maledetta viene definita da Bataille come un’opera di economia politica, si tratta però di un’economia definita dallo stesso filosofo come generale, ovvero distinta da quella scienza economica ristretta di cui si occupano gli economisti “di professione”. Tale definizione risulta più chiara alla luce del contenuto del testo stesso: Bataille non si occupa, come l’ economia politica ristretta, isolatamente del sistema produttivo e del consumo, bensì considera la produzione e il consumo nel quadro più ampio all’interno del quale tali attività si svolgono. Bataille sostiene addirittura di considerare il sistema economico integrato a quello naturale, dell’intero globo originato dallo stesso dono dispendioso del sole. La parte maledetta, prima di diventare il titolo di un progetto più ampio che avrebbe dovuto comprendere diverse opere di Bataille tra cui La nozione di dépènse, L’Erotismo e La Sovranità, è nato come articolo che Bataille scrisse per La Critique Social nel 19.. ed è pubblicata in Italia in un volume che comprende anche un testo successivo ad essa legato: La nozione di dépense.

Questo articolo rappresenta un momento centrale nel pensiero di Bataille, lo conferma il fatto che ne sono state rinvenute sette versioni differenti. Il principio alla base, tanto de La parte Maledetta quanto de La nozione di dépense, è il dispendio. Bataille sostiene infatti, in controtendenza rispetto alla maggior parte delle analisi economiche del tempo, che l’economia generale della natura, ma anche il principio su cui originariamente si fondavano gli scambi economici era la dépense (dispendio improduttivo) ossia «il gioco dell’energia non limitato da alcun fine». Come l’organismo dispone di un’energia in eccesso rispetto a quella che gli serve per la semplice sopravvivenza e che utilizza o per crescere o, se non può essere utilizzata in questo senso, viene spesa improduttivamente, così il sistema, considerato al di fuori della logica individuale, disporrà di un eccesso di energia non utilizzabile per il proprio ulteriore accrescimento e che dovrà essere dissipato. La ragione per cui le teorie economiche sembrano sostenere il contrario è data dal fatto che esse generalizzano una situazione isolata, essendo ristrette applicano – a torto secondo Bataille – la logica dell’individuo al sistema. Tuttavia, come in natura, al singolo i problemi si pongono sempre in termini di necessità, è solo nel sistema, nel gioco dell’energia relativo alla materia vivente nella sua totalità che il problema si pone in termini di lusso. Secondo Bataille il passaggio da un’economia ristretta a un’economia generale è una vera e propria rivoluzione copernicana che non considera la ricchezza come mero elemento destinato all’accumulazione o all’espansione del sistema stesso, ma come fin da principio destinata almeno in parte all’uso improduttivo (se non proprio, come nell’antichità, alla dissipazione, come nel caso della costruzione delle piramidi).

Si tratterebbe con tale rovesciamento di subordinare al dono il perseguimento della crescita. Nell’esposizione di quelle che Bataille definisce le “leggi dell’economia generale” Bataille inizia innanzitutto con il mostrare come il dispendio e il lusso siano alla base del rigoglio e dell’equilibrio in natura, cominciando dall’esempio del sole e poi analizzando i tre principali elementi di lusso della natura: la manducazione, la morte e la riproduzione sessuata. Nell’analizzarli egli mette in luce come tutto in natura tenda a restituire la ricchezza sotto forma di dono. Così anche la morte è un lusso il quale «viene da noi considerato allo stesso modo che quello della sessualità, dapprima come una negazione di noi stessi, poi, in un improvviso rovesciamento, come la profonda verità del movimento di cui la vita è l’esposizione.»1

Allo stesso modo che per la natura anche per la produzione e il consumo di beni, nonostante la tecnica e l’attività produttiva richiedano inizialmente un investimento e un accumulo di energie, questo a sua volta darà luogo a un’energia eccedente, fino al lusso.

Il secondo elemento fondamentale per quanto riguarda l’economia generale è che la vera eccedenza si dà a livello collettivo, generale e non a livello individuale. In questo senso da una parte il rifiuto della guerra e dall’altra il rifiuto della dilapidazione lussuosa hanno come conseguenza il fatto che quel surplus di ricchezze che una società genera sia la parte maledetta di quella stessa società. La maledizione corrisponde secondo Bataille alla prospettiva angosciosa dell’individuo che vede nell’effervescenza dello scialo messe a repentaglio le proprie sicurezze, «la maledizione è l’opera distruttiva e costruttiva insieme, la de-creazione di creazione, che ci consegna un’altra natura, sconosciuta a ogni produzione concettuale o fattuale.»2

Così l’economia generale che Bataille propone vuole essere in primo luogo una presa di coscienza di sé, a partire dai dati storici, di una consapevolezza nuova del fatto che quella che l’uomo ritiene una vita serena e all’insegna della pienezza, sia in realtà un esser votati al lavoro senza mai godere veramente dei suoi frutti. Questa separazione tra il lavoro dell’individuo e la possibilità di godere dell’eccesso che tale lavoro produce, dipende innanzitutto da quella maledizione che, tramite il rapporto utilitario, separa l’individuo dalle cose e dall’altro in generale, quando, originariamente tra l’io e l’altro, tra il soggetto e l’oggetto, vi sarebbe un’intima condivisione. Proprio questa è la ragione che porta Bataille a dedicare ampio spazio, nella prima delle tre sezioni di dati storici, ai riti sacrificali che si svolgevano presso gli Aztechi. Il sacrificio, sottraendo la vittima all’utilità, sospende il tempo profano per restituire all’uomo l’intima unione – originaria – del sacro. Così la religione nel suo complesso, nonostante nella maggior parte dei casi non si arrivi al sacrificio umano, è questo lungo e angosciato sforzo di restituire all’ordine divino la povertà delle cose dominata dall’utile, che vede la subordinazione del presente al futuro. Come Bataille ribadisce anche nella parte dedicata al rapporto tra capitalismo e riforma protestante: «La religione è il piacere che una società attribuisce all’uso delle ricchezze eccedenti: all’uso o meglio alla distruzione, almeno del loro valore utile. Ecco ciò che dà alle religioni il loro ricco aspetto materiale, che cessa soltanto di essere vistoso quando una vita spirituale emaciata toglie al lavoro un tempo che avrebbe potuto impiegare a produrre. Il solo punto è l’assenza di utilità, la gratuità di queste determinazioni collettive.»3

Un altro esempio importante di consumo improduttivo che Bataille considera è il potlàc, esempio di prestazione totale analizzata da Marcel Mauss nel suo famoso Saggio sul dono che aveva influenzato molto Bataille e a cui si riferisce anche in questo testo; il potlàc è l’usanza da parte di alcune popolazioni di scambiarsi doni in quantità tali da poter portare alla rovina il donatario dal punto di vista materiale, ma che gli consentono di migliorare il proprio rango e il prestigio della propria famiglia o tribù.

Potlàc e sacrificio sono esempi che servono a Bataille per mostrare come nelle società umane si possano rintracciare forme e istituzioni il cui senso è distogliere dal consumo produttivo e che eccedono la logica dell’utilità.

 

La seconda parte dei dati storici è dedicata all’analisi delle due religioni che egli considera opposte, Islam e Buddhismo, al fine di mettere in luce quanto sia determinante per una società la sua eccedenza, il cui impiego determina l’evoluzione storica stessa in quello che, nella maggioranza dei casi, è un ciclo in cui si alternano periodi di austerità nei costumi e di accumulo delle ricchezze a periodi di prodigalità e dilapidazione.

Così anche nella terza parte di dati storici il punto di partenza è il legame, già messo in luce da  Max Weber, tra il capitalismo, su cui si basa essenzialmente tutta l’economia moderna, e il protestantesimo (in particolare il calvinismo) la cui morale austera e la negazione di un sistema basato sul consumo intenso di risorse costituisce la base ideale per un’economia volta ad accumulare il proprio surplus. Così con Lutero, secondo Bataille, si assiste ad una santificazione di Dio che va di pari passo alla desacralizzazione della vita umana. Desacralizzazione, dunque riduzione alla ragione e al principio di utilità del rapporto tra il soggetto e l’oggetto, e l’altro che coincide con la loro separazione esteriore.

 

La disamina dell’età moderna procede con un’analisi del pensiero di Marx, che, dice Bataille, escludendo l’azione sentimentale (estetica) porta a compimento tale processo che rende la cosa (l’economia) come indipendente e separata rispetto ad altre preoccupazioni, considerando quindi la soluzione materiale come sufficiente alla liberazione dell’uomo. Tuttavia come si può facilmente notare questo va in controtendenza rispetto alla ricerca di quell’intima unità originaria che l’uomo cerca nel lusso, nell’eccesso e di cui Bataille ha dato esempio.

 

La parte maledetta si conclude con un capitolo dedicato ai dati attuali (si parla del secondo dopo guerra) e con l’analisi del Piano Marshall che a prima vista sembra rispondere, essendo un investimento a fondo perduto e un trasferimento di ricchezze senza contropartita, alla necessità di dépense che Bataille ha individuato. Tuttavia non sfugge il fatto che il se il Piano Marshall prevedeva un trasferimento di risorse il fine ultimo di tale operazione era la crescita delle forze produttive. L’economia capitalista allora ricade anche in quest’occasione in quello che Bataille considera essere il suo problema fondamentale. Applicare al sistema la logica di crescita e accumulazione dell’individuo, ignorando «i fini generali, che ne danno il senso e il valore».

In particolare ciò che viene perso di vista nell’economia capitalista è l’esistenza di un limite per la crescita, quello che Bataille definisce «un punto di saturazione». Ogni nuova tecnica consente l’accrescimento delle risorse, se a questo non corrisponde un modo di spendere le risorse che sia di puro dispendio, si ricorrerà alla guerra o ad altre forme di consumo inutile, magari fatto passare come necessario.

 

L’economia generale proposta da Bataille è allora la presa di coscienza che si oppone alla cecità dell’economia ristretta, alla sua ricchezza che, è benefica, ma anche disastrosa nei suoi effetti, problematica nel momento in cui si propone come fine un accrescimento –paradossale – del livello di vita mondiale. L’economia generale è allora innanzitutto coscienza di sé, coscienza della necessità che abbiamo dell’intimità con la cosa, del sacrificio, che solo consente di porre la cosa sacra. La crescita stessa dovrebbe «collocarsi in rapporto all’istante in cui si risolverà in puro dispendio» poiché se si subordina l’intera attività umana alla sola crescita, questa è votata a perdere la propria autonomia. Questo è tuttavia il passaggio più difficile non solo in pratica, ma anche da accettare a livello teorico, scrive Bataille che «la conoscenza infatti vi si oppone nel senso ch’essa cerca di cogliere qualche oggetto da acquisire, qualche cosa, non il nulla della pura dépense.»4

Si tratta invece di accettare a livello conoscitivo il nulla della dépense ovvero di arrivare alla consapevolezza che vi è un momento nel processo di crescita che si risolve, necessariamente, in dispendio.

1 G. Bataille, La Part Maudite in OC VII, tr. It di F. Serna, La Parte Maledetta preceduto da La nozione di dépense, Bollati Boringhieri, Torino 2003 p. 85

2 F. Rella, Lo sguardo ulteriore della bellezza, saggio introduttivo a G. Bataille, La parte maledetta, op.cit. p. 25 3 Ivi p. 159 4 Ivi p. 220

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