18 luglio 2013 ore 08:12 Se lo conosco un po’ (mah!), STEFANO FELTRI E’ UNA PERSONA SERIA : QUI, TITOLO A PARTE, CI SPIEGA QUALCOSA DELLA GERMANIA CHE NON SAPPIAMO—COME VERIFICARE? LEGGENDO ALTRO, E LASCIANDO DEPOSITARE “LA POLVERE” (SCUSA, STE) DI QUESTO NELLA MENTE! CIAO STE, CHIARA

 

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Stefano Feltri, 1984. Modenese, laureato in economia alla Bocconi, giornalista professionista. Ho cominciato a scrivere sulla Gazzetta di Modena. Poi ho collaborato con varie testate, tra cui Diario Lo Specchio de La Stampa. Dopo uno stage a Radio24, ho lavorato per il Foglio e per Il Riformista. Sono responsabile dell’economia al Fatto Quotidiano dalla sua fondazione, nel 2009. Ho una rubrica su Linus e collaboro con la trasmissione di Lilli Gruber, Otto e Mezzo, su La7.

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Quel che Renzi poteva dire alla Merkel

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A giudicare dai resoconti che sono filtrati, mentre era in aereo tra Firenze e Berlino, Matteo Renzi si è letto la Gazzetta dello Sport: con Angela Merkel, oltre che del Pd, ha parlato del passaggio di Mario Gomez dal Bayern Monaco alla Fiorentina. Chissà come sarebbe andata se, invece, avesse studiato un paper di cui si parla molto in queste settimane, “A German model for Europe?”, firmato da un economista tedesco che lavora a Berlino, Sebastian Dullien, e pubblicato dallo European Council on Foreign Relations, il più autorevole think tank paneuropeo.
Renzi ci avrebbe trovato più spunti che nelle notizie di calciomercato. Sintesi: il “miracolo” tedesco è costruito sulla Agenda 2010 di riforme approvata nel 2004 da Gerhard Schroeder e che applica la ricetta più vecchia del mondo, abbassare i salari. Fatto 100 il costo nominale di una unità di lavoro nel 1999, quello della Germania oggi è arrivato quasi a 85, l’Italia è sopra 110. Non è aumentata la flessibilità o la facilità di licenziamento in modo apprezzabile (alla faccia dei feticisti dell’abolizione dell’articolo 18), anzi la protezione dei lavoratori è cresciuta. Ma le riforme dell’assistenza sociale e dei servizi per l’impiego hanno ridotto il “salario di riserva”, cioè quello sotto il quale si preferisce restare disoccupati. Risultato: nel 2008, alla vigilia della crisi la Germania aveva una delle percentuali più alte d’Europa di lavoratori a bassi salari (secondo la definizione canonica di inferiori a 9 euro l’ora), ben il 20 per cento degli occupati, sette milioni di persone.
Anche il fenomenale surplus della bilancia commerciale – la misura di quanto le esportazioni superano le importazioni – è dovuto più al calo della domanda interna che agli aumenti di competitività (parola che tanto piace ad Angela Merkel): tra il 1999 e il 2010 perfino la Grecia ha avuto un aumento di competitività maggiore rispetto alla Germania, secondo i calcoli ufficiali Ameco della Commissione europea.
La morale è questa, scrive Dullien nel paper: se tutti seguissero l’approccio tedesco, l’unico risultato sarebbe l’impoverimento dei lavoratori di tutta Europa. Con il brio che gli è proprio Renzi poteva riassumere il punto con una storiella: due campeggiatori sono in tenda e sentono un orso che sta per assalirli. Il primo si prepara a scappare, l’altro cerca le scarpe e comincia a infilarle. “Perché perdi tempo? Tanto l’orso è più veloce”, dice il primo. L’altro replica: “Non devo correre più in fretta dell’orso, mi basta essere più veloce di te”. Se entrambi si mettessero le scarpe, l’unico risultato sarebbe che l’orso mangerebbe entrambi. Che è quello che la Germania ci sta chiedendo.

Il Fatto Quotidiano, 17 Luglio 2013

 

@stefanofeltri

 

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