18 luglio 2013 ore 08:29 FERDINANDO SALLEO (ex ambasciatore a Washington) IL CASO ABYAZOV E LA FARNESINA (DA REPUBBLICA ONLINE)

IL CASO ABLYAZOV E LA FARNESINA
FERDINANDO SALLEO
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L’inestricabile imbroglio dell’espulsione dall’Italia della signora Shalabayeva e della figlioletta è cominciato alla fine di maggio con la visita dell’ambasciatore del Kazakhstan al nostro ministero dell’Interno e, sembra, dal successivo affannarsi dei diplomatici kazaki presso altre autorità italiane responsabili della sicurezza ed è culminato infine con il rimpatrio per via aerea delle due dopo varie traversie non proprio trasparenti, anzi piuttosto agitate, messe in atto con maniere a dir poco spicce.
L’ambasciatore, si legge nei resoconti della stampa, avrebbe richiesto al Viminale la cattura di un ricercato kazako, Ablyazov, pericoloso e armato, indicandone la residenza romana dove costui non si trovava più, ma dove vivevano componenti della sua famiglia.
I commentatori stranieri e italiani hanno sollevato un putiferio per il modo con cui la faccenda è stata condotta e chiedono che sia fatta luce, i kazaki si trincerano dietro un mandato di cattura internazionale per Ablyazov al quale Londra avrebbe invece concesso lo status di rifugiato politico. Il governo è in imbarazzo, il Viminale e la Farnesina scambiano messaggi che giustificano il proprio ruolo, si assicura che le responsabilità saranno accertate e punite, il mondo politico è in pieno fermento.
Soprattutto nel mondo d’oggi, caratterizzato dalla diffusione dei rapporti tra i governi e dalla loro gestione interministeriale, viene in mente invece un provvidenziale decreto di Napoleone che voleva prevenire casi di confusione o di ingorgo istituzionale che senza dubbio accadevano già. Nel lontano 1808 il decreto imperiale del 25 dicembre (proprio il giorno di Natale!) vietava ai ministri, a parte ovviamente quello competente per gli affari esteri, di corrispondere con agenti diplomatici stranieri. L’articolo 2 del decreto emanava precise disposizioni con cui si proibiva ai ministri di rispondere verbalmente o per iscritto ad alcuna domanda, protesta o questione di piccola o grande importanza, presentata da un agente straniero: la sola risposta consentita era che «dovessero rivolgersi al ministero delle Relazioni esterne».
È impensabile oggi concentrare sugli Esteri l’enorme e diversificata congerie dei rapporti tra gli Stati, le questioni tecniche o finanziarie che vengono discusse in via bilaterale persino nelle materie di competenza dell’Unione europea, se non altro per preparare i Consigli, ancor più le materie contenziose che sorgono con Paesi terzi, specie se hanno carattere di urgenza. È logico e pratico per gli ambasciatori trattare le questioni nelle sedi competenti, stabilire relazioni di lavoro con i ministeri “tecnici” e soprattutto con gli uffici del capo del governo, Palazzo Chigi, l’Eliseo o la Cancelleria. Nelle ambasciate dove ho servito, oltre al ministero degli Esteri, ho spaziato tra la Casa Bianca e il Congresso, il Cremlino e il Comitato Centrale, la Cancelleria federale e la Difesa, l’Adenauer Haus dove sedeva l’opposizione.
Tuttavia, per quel che ne rimane dopo oltre due secoli, l’antico monito imperiale vale ancora perché non è diretto ai diplomatici stranieri, quanto alle autorità nazionali affinché non dimentichino che il coordinamento delle relazioni estere ha un luogo costituzionalmente a ciò deputato dove la visione d’insieme di tutti gli elementi prende forma concreta e, collocato al centro, può orientare le decisioni del governo e prevenire disfunzioni e brutte figure.
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