29 dicembre 2013 ore 09:55 LA POESIA AMERICANA MODERNA —DI PIERO SCARUFFI—-SE VOLETE QUALCOSA DI “SERIO-DOCUMENTATO-VARIO VARISSIMO— CHE HA DEL MERAVIGLIOSO”—-VISITATE IL SUO BLOG! SENTO IL 2013 SCRICCHIOLARE NELLA SUA SFINITE OSSA CHE SONO ORMAI OSSICINE IN FRANTUMI CHE SI AVVIANO ALLA POLVERE —ANCHE GLI ANNI I SECOLI E L’UNIVERSO: PULVIS EST—TUTTO COME NOI—MALEDIZIONE!—VOLETE FARE L’ONORE DELLE ESEQUIE A QUESTO ANNO ORRENDO “MOLTO QUASI” PER TUTTI? NO, ASSOLUTAMENTE NO, MA IN FONDO AD UNA COSA VIVA BISOGNA PUR DIRE “CIAO”! —–FACCIAMO COSI’, SE SIETE D’ACCORDO: “CIAO E NON TORNARE MAI PIU’!” TUTTO IL BLOG+ L’UNIVERSO INTORNO DI MILIARDI DI ESSERE VIVI E LE ROCCE—

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ANCHE PIERO SEMBRA SCESO DALLE STELLE? SE NON LUI, NOI SENZ’ALTRO!

 

 

 

La Poesia Americana Moderna
(Copyright © 1990 Piero Scaruffi)
Piero Scaruffi (QUI IL SUO BLOG)

 

 


La Ballata

La nazione americana entro’ nel nuovo secolo senza poeti. Gli unici tre esponenti di valore internazionale della poesia americana erano morti tutti e tre da pochi anni: Walt Whitman, il bardo che aveva attinto alla retorica e alla ritmica dei predicatori e dei “medicine show” ambulanti per fondare l’ epos nazionale su basi autenticamente americane; Emily Dickinson, la visionaria, estatica, eretica poetessa della solitudine piu’ radicale; Sidney Lanier, testimone “maledetto” dei grandi drammi politici e sociali del secondo Ottocento.

Per quanto innovativi nella forma e nei contenuti (si pensi alle esplicite allusioni erotiche di Whitman, al suo metro sbilenco, alle violente trasgressioni formali di Dickinson) essi furono sottovalutati dalla critica e soltanto oggi e’ possibile riconoscere appieno la portata rivoluzionaria della loro opera.

In questi poeti erano gia’ presenti i temi naturali della lirica americana: il conflitto fra il puritanesimo delle origini e la sfrenata ascesa del capitalismo, l’ anelito a un individualismo libero e moderno contro i soffocanti pregiudizi del calvinismo, la travolgente evoluzione di un corpus sociale passato in pochi decenni dall’ indipendenza alla guerra civile, da un’ economia agricola a un’ economia industriale, dallo spazio epico delle grandi praterie a quello angusto di metropoli sempre piu’ disumane.


La Rinascenza

La cosiddetta “rinascenza” della poesia americana coincise grosso modo con la prima guerra mondiale. Tutti gli scrittori di questa generazione emersero con le raccolte pubblicate fra gli anni 1913 e 1918.

La grande guerra segno’ per gli americani la fine dell’ isolamento politico, e la presa di coscienza della propria potenza. Indirettamente servi’ ad assimilare una volta per tutte le angosce e i traumi dei terremoti sociali del secolo precedente.

Non e’ un caso che molti dei poeti di questa generazione siano sedotti dal fascino del melting pot americano, dove a dominare non e’ piu’ l’ “eroe” leggendario, ma l’ insieme di macchiette domestiche che compongono la “comunita’”, spesso vista nel suo degradarsi (ultimi residui psicologici della guerra e dell’ industrializzazione).

Si pensi a Edwin Robinson, autore delle biografie di sbandati ed eccentrici di “The man against the sky”(1916), erede della tradizione inglese del monologo drammatico e fondatore della nuova poesia narrativa (scrisse diversi, popolarissimi romanzi in versi); e aEdgar Lee Masters, del quale furono celebri gli epigrammi sepolcrali in versi liberi di “Spoon River Anthology”(1915).

L’ America si riconobbe soprattutto in Robert Frost, rivelato da “A boy’s will”(1913), malinconico menestrello della vita rurale, del rapporto fra uomo e paesaggio, influenzato dal movimento dei georgiani inglesi, e destinato a diventare il poeta laureato d’ America.

Altri protagonisti cominciarono invece a usare la poesia a fini dichiaratamente politici. Cosi’ Vachel Lindsay, ultimo dei menestrelli che recitavano per strada e nei bordelli, ultimo cantastorie epico e patetico dei grandi miti popolari, anch’ egli figlio bastardo dei predicatori itineranti del West: “Rhimes to be traded with bread”(1912).

Il piu’ vicino ai “tempi moderni” fu Carl Sandburg, affermatosi con i “Chicago poems”(1916), primo apocalittico cantore della metropoli industriale che espresse un fervido populismo democratico nelle forme rivedute e adattate della ballata e del salmo in versi liberi, facendo compiere al folclore whitmaniano una transizione cruciale.

Soltanto Frost e Robinson sono sopravissuti nel gusto dei moderni, ma fu questa generazione di poeti a gettare la base per il vertiginoso sviluppo che porto’ la lirica americana ai vertici mondiali.

Determinante fu l’ apporto del movimento anti-romantico dell’ imaginismo, ostile alla verbosita’ dei poeti vittoriani, al didattismo dei pedanti, all’ estetismo ridondante dei decadenti, che favoriva invece la concisione e la concentrazione dell’ epigramma giapponese o greco. Cullato da Pound durante il suo esilio inglese, venne presto monopolizzato da Amy Lowell, la quale confuse imaginismo con impressionismo, ma ebbe il grande merito di lanciare una campagna di opinione contro le sclerotiche convenzioni poetiche del tempo.

Fu grazie all’ imaginismo che la “ballata” e l’ intero modo americano di fare e fruire poesia si trasformarono radicalmente e assunsero le connotazioni metafisiche che gli erano sempre state estranee.


I metafisici

La poesia pura degli anni Venti rimise in discussione tutta la tradizione e i legami stessi con la letteratura inglese. Caratterizzata dalla propensione per la forma del poema esteso, da un raffinato eruditismo, da un livello di meditazione astratta che lambisce la filosofia, e dall’ afflato cosmico, questa poesia stabili’ il paradigma a cui i lirici americani si sarebbe ispirati per il resto del secolo.

Il poeta-filosofo per eccellenza e’ Wallace Stevens, la cui opera si configura come una vertiginosa discesa negli abissi piu’ tenebrosi del rapporto fra io e cosmo, come una riflessione continua sull’ atto stesso del poetare. Giunto all’ apologia della poesia assoluta come unico mezzo di conoscenza, Stevens postulo’ l’ esistenza di quella “supreme fiction” che divenne lo scopo unico della sua arte.

Da molti ritenuto il piu’ duraturo dei lirici del nostro secolo, Ezra Pound ha lasciato un’ opera criptogrammatica che gli esegeti impiegheranno qualche secolo a decifrare in tutti i suoi aspetti. I “Cantos”, uno dei massimi monumenti della cultura moderna, furono concepiti come poema ideografico e come enciclopedica, caotica, babelica summa della civilta’ umana, che, coerentemente, impiega la citazione (in lingua originale) come suo primario mezzo di espressione. L’ imponenza di questo multiforme e immane groviglio di frammenti e’ subito apparente, anche se la comprensione del suo senso ultimo (non certo quello letterale, che tratta dell’ usura nei secoli) e’ e rimarra’ assai ardua. I diversi commentari pubblicati (a partire da quello storico del 1957 che per la prima volta consenti’ di “leggere”, se non “comprendere”, i primi Cantos) si limitano a scalfire la superficie di questa miniera sconfinata di significati: spesso una lirica puo’ essere compresa soltanto seguendone le evoluzioni nelle varie versioni e revisioni attraverso cui Pound giunse a ridurre e sintetizzare in quella lirica l’ equivalente di un intero poema.

Thomas Stearn Eliot fu invece il poeta metafisico per eccellenza. Cresciuto studiando Dante e Donne, pervenne a una forma scarnificata e sintetica di simbolismo, da oracolo biblico, che si serve di immagini preziose come di riferimenti mitologici e superstizioni magiche. Il tema della sua opera, la degradazione della civilta’ umana, la decadenza dei valori morali, l’ apocalissi incombente, in particolare nei quintessenziali poemetti di “Waste land” e “Four quartets”, ben si sposo’ al clima pre-bellico (nazismo) e poi a quello post-bellico (guerra fredda), e venne assunto pertanto a emblematico della sua epoca.

Alla triade dei tre maggiori poeti americani si puo’ aggiungere il loro coetaneo William Carlos Williams , che pure reagi’ al loro eccessivo astrattismo recuperando il realismo e la forma ballata della tradizione, e pervenne cosi’ a “Paterson”, poema dedicato a una cittadina e a un suo abitante, e che fonde l’ ispirazione populista di un tempo con lo spirito meditativo dei nuovi tempi.

A questi nomi occorrerebbe aggiungere anche quello dell’ inglese William Auden, britannico in tutto e per tutto, ma emigrato negli Stati Uniti nel 1939. Ala poesia marxista e freudiana di Auden, per quanto lontanissima dall’ universo espressivo degli americani, ebbe un profondo e benefico influsso sul piano stilistico. Ricordiamo che Auden rinnovo’ quasi tutte le forme poetiche, dal sonetto all’ elegia, dall’ ode alla ballata.


L’ eta’ d’ oro della poesia americana

Gli anni Venti e Trenta videro fiorire diversi stili di poesia. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto attendere, la corrente metafisica non riusci’ mai a monopolizzare l’ America letteraria, la quale continuo’ invece a dedicare spazio e affetto tanto alla tradizione quanto all’ esperimento: agli epigrammi di una classica perfezione di Hilda Doolittle, ai poemi narrativi, dai toni drammatici e profetici, e venati di gelido nichilismo, di Robinson Jeffers (oggi in via di rivalutazione), alle cadenze musicali, al limite dell’ ipnotico, degli scavi psicologici di Conrad Aiken.

Anche coloro che intesero la poesia come veicolo di temi contemporanei si distribuiscono fra due estremi opposti, ben rappresentati da Archibald MacLeish, strenuo assertore di una poesia pubblica che si occupi della vita politica del paese, e Edna Millay,bohemienne anti-conformista, uno dei primi miti del bohemianismo del Greenwich Village.

Il rigoglio e il fervore creativo della scena poetica produsse non solo varieta’, ma anche qualita’. Fra le punte piu’ alte della poesia del tempo possiamo mettere sia Moore sia Cummings.

I bestiari favolistici di Marianne Moore, esercizi di impressionismo ed eleganza ritmica ricchi di echi e riverberi, un flusso continuo di dettagli che lambisce il conversazionale, rappresentano una delle voci piu’ originali e anomale dell’ intero panorama mondiale.

Edward Cummings, anarchico irriverente e visionario, dedito alla piu’ eccentrica sperimentazione tipografica, poeta barocco, cantabile e sempre oltraggioso (ma piu’ vicino in realta’ all’ individualismo degli eroi americani che non al dadaismo o al futurismo), conio’ una forma moderna di poesia popolare.

“Reazionari” furono battezzati i poeti che ignorarono volutamente le innovazioni formali dell’ epoca e rimasero fedeli ai metri tradizionali. Louise Bogan fu la piu’ puntigliosa dal punto di vista tecnico, ma le sue intuizioni sortirono effetti piu’ universali quando vennero messe in pratica dal discepolo Theodore Roethke per organizzare il suo vasto e tumultuoso mondo spirituale, teso a evocare ed esorcizzare l’ incubo di alienazione del suo presente.

Furono comunque i sudisti (i cosiddetti “agrarianisti” o “fuggitivi”) a dotare gli stili e le forme antiquati di un senso moderno, nel pieno rispetto di regole metriche e formalismi di dizione: le elegie domestiche, cariche di sovratoni biblici e radicate nel linguaggio “alto” dell’ aristocrazia sudista, di John Ransom, le lucide parabole morali di Allan Tate , che ripudia la carenza di valori della societa’ democratica e industriale, invasata di ricchezza materiale, a favore della ricchezza spirituale del vecchio Sud, e lo stile energico e colloquiale, tragico e magniloquente di Robert Penn Warren .

Fra i “reazionari” si distacca solitario il genio di Hart Crane , terzo grande di questa generazione, il quale, omosessuale alcoolizzato, inquieto e miserabile, suicidatosi a trentatre’ anni, contro il pessimismo cosmico di Eliot concepi’ “The Bridge”, un complesso poema sinfonico dedicato ai miti dell’ America e fitto che metafore che ne propongono diversi significati.


Modernismo e Realismo

La poesia piu’ recente ha dimostrato che i poeti Americani tendono ad essere soprattutto degli individualisti e degli stilisti. La poesia Americana e’ piu’ che mai un esperimento nel linguaggio, molto piu’ indipendente dai contenuti di quanto possa sembrare a prima vista (e in cio’ sta anche la forza di alcuni nomi che furono sottovalutati in vita).

In questo senso il modernismo e’ la prima scuola da esaminare, ma non tanto per sperimentalismi linguistici fini a se stessi come quelli di Laura Riding , certamente una delle piu’ audaci, quanto per gli imponenti risultati ottenuti nel campo del poema alla Pound. Qui troviamo due dei punti di riferimento obbligati della poesia moderna: Charles Olson , poeta ermetico che ricorre spesso al gergo di strada e alle libere associazioni, il cui “Maximus” e’ composto da una serie di liriche incentrate su una cittadina tipo e sull’ anfitrione che guida il lettore in un viaggio dantesco fra gli orrori del mondo capitalista; e Louis Zukofsky , il quale concepi’ sulla falsariga dei “Cantos” il suo monumentale poema “A”, un altro dei grandi puzzle irrisolti della critica moderna.

Il “New Criticism” aveva ormai spodestato la vecchia intelligentia, e pertanto gli esperimenti non avevano piu’ il carattere di novita’ rivoluzionaria. Le forme di poesia che piu’ destarono sclapore furono invece quelle che, rifacendosi all’ urbanesimo materialista di Sandburg, tornarono con violenza e passione alla lirica realista. Il canzoniere americano di quegli anni e’ ricco di opus estranei ai conflitti fra modernisti e tradizione: le cronache di emarginazione e sfruttamento di Kenneth Fearing , cantore dei bassifondi metropolitani in uno stile quasi giornalistico; i “blues” moderni, sincopati e caustici, del negro Langstone Hughes , protagonista del “rinascimento di Harlem”; la poesia di Kenneth Rexroth , pioniere di quel sentimento anti-conformista che sarebbe stato proprio dei beat; di Ogden Nash , commentatore sociale comico e satirico, le cui rime sono banali come i limerick per bambini; di Kenneth Patchen , intellettuale di sinistra che deve la sua celebrita’ alle liriche erotiche e alle satire sociali, spesso infarcite di spunti surreali e di invettive eretiche; di Muriel Rukeyser altra dura critica sociale.

Nessuno di questi lirici riesce pero’ a lambire i vertici di Zukofsy e Olson, che dominano solitari la loro generazione. Molti critici hanno visto in cio’ l’ inizio di una marcata decadenza della poesia americana, non a caso parallela all’ emergere di forme velleitarie, e artisticamete assai dubbie, di contro- cultura.


L’ Alienazione

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati segnati dalle crisi sociali piu’ dure del secolo. La civilta’ del benessere ha a sua volta generato una tipologia di crisi sociale che ancora non e’ stata forse compresa a dovere da chi si e’ lasciato condizionare dalle antiquate prassi marxiste e freudiane.

I poeti Americani hanno partecipato a questo momento di confronto assumendo atteggiamenti che si possono ricondurre a due linee di fondo: l’ alienazione e la meditazione.

Alla prima riconducono i tre poeti comunemente associati dalla carriera di auto-distruzione che li porto’ a una prematura morte per suicidio: John Berryman , uno dei nomi maggiori di questa generazione, la cui “poetica del martirio” si e’ espressa nelle forbite e vertiginose “Dreams Songs” sulla condizione umana e sulla alienazione dei tempi moderni, Delmore Schwartz , il cui stupefacente virtuosismo trova compiuta espressione nel poema autobiografico in blank verse “Genesi”, tipico di quel fitto coniugare tragedia greca e emotivita’ biblica che fu proprio del poeta ebreo, e il piu’ cupo Randall Jarrell , titolare di una angoscia esistenziale che rasenta la paranoia e che spesso e’ commovente nella sua cosciente impotenza.

La scuola metafisica era ormai quella dominante in tutte le universita’. Fra i discepoli piu’ originali di Eliot e Auden si contano Karl Shapiro , John Ciardi , Howard Nemerov

Maggiore attenzione merita forse il monaco trappista Thomas Merton , caso singolare di poeta simbolista nella cui opera confluiscono il visionarismo di Blake, la meditazione orientale e la teologia cristiana di Sant’Agostino.

Al centro dell’ attenzione e’ stato a lungo Robert Lowell , tipico intellettuale liberal conteso fra spinte retrograde e progressiste, piu’ sincero quando abbraccia il moralismo convenzionale dei puritani che non quando tenta la protesta sociale, forte e penetrante nel monologo drammatico e nel poema narrativo, la cui carriera poetica culmino’ nei “Life Studies”, esperimenti di confessione pubblica al limite della seduta psicanalitica (afflitto da attacchi di follia, Lowell trascorse diversi mesi in cliniche psichiatriche).

Benche’ la vicinanza nel tempo non consenta ancora di stilare “classifiche”, ci pare innegabile la maggiore attenzione prestata dalla critica internazionale a Lowell e Berryman, seguiti da Merton e Schwarz, con l’ avvertenza pero’ che le fortune del primo e del quarto si sono venute via via assottigliando. Le nostre personali simpatie vanno piuttosto a Berryman, la cui statura ci pare crescere di anno in anno man mano che si allontana il clamore del suo suicidio.


I Contemporanei


La West Coast e i Beat

La California godette in questi anni il suo rinascimento. Se Rexroth ne fu il padre spirituale, Robert Duncan , complesso, erudito discepolo di Olson, e pertanto di Pound, conferi’ nobilta’ lirica ai delirii simbolisti dei beat.

Il cenacolo dei poeti di San Francisco fu, ed e’, la libreria “City Lights” di Lawrence Ferlinghetti, declamatore pubblico di lunghi poemi orali che affrontavano i problemi politici del tempo. Grazie a questi poeti il rapporto fra poeta e pubblico venne alterato a favore di una piu’ profonda sintonia e simbiosi.

Fu a San Francisco che si acquartierarono i beat, e fu li’ che attrassero l’ attenzione dei media (per lo stile di vita piu’ che per i loro scritti).

Il movimento, originariamente sorto fra i bohemienne del Greenwich Village e imparentato con i divi delle soffitte dove si suonava be-bop, trovo’ i suoi naturali ispiratori in Blake e Whitman. Sono loro i riferimenti, per esempio, del visionario e caotico universo lirico di Allen Ginsberg e del tono profetico con cui egli descrisse l’ apocalisse incombente sul desolato panorama urbano del dopoguerra. Lo stile spesso estatico, celebratorio, magniloquente di Ginsberg e degli altri, minori, esponenti del movimento, suona oggi piu’ vicino, in stile, ai sermoni dei puritani (contro cui intendeva operare) che non alle avanguardie europee (con cui venne erroneamente associato). Gary Snyder si e’ invece ispirato alla meditazione orientale e ai ritualismi dei pellerossa nelle sue digressioni sul mondo moderno. Fra le poche voci che sopravvivono di quella stagione va menzionata anche quella di Gregory Corso , che ha cantato in toni commoventi la disperazione dell’ emarginazione.

Padrino piu’ tardi del fenomeno della contestazione e della contro-cultura, il movimento Beat mostra oggi tutte le carenze strutturali che ai tempi vennero oscurate dalla celebrita’ della “moda”.


L’ Impegno Civile

Di pari passo si e’ mossa la poesia dell’ impegno civile e politico. Robert Bly , erede del trascendentalismo e iniziatore della scuola del “primitivismo romantico”, e’ stato forse il poeta pubblico per eccellenza di questo periodo, anche se le voci piu’ prepotenti sono state femminili: Adrienne Rich , sensibile alle istanze democratiche degli anni Sessanta e a quelle femministe degli anni Settanta; Denise Levertov , la piu’ qualificata, titolare di uno stile visionario ed elegante che nasce dall’ incrocio fra l’ oggettivismo di Olson e l’ imaginismo di Williams; e la negra “arrabbiata”, femminista militante, Nikki Giovanni .


Sperimentalismo

Alla testa dello sperimentalismo vanno messi Philip Whalen, influenzato dalla pittura astratta nelle sue invenzioni tipografiche e dal jazz nelle sue improvvisazioni libere Robert Creeley , allievo di Olson ma portato alla piu’ pura minimalita’ espressiva, May Swenson , attenta alla composizione tipografica dei versi, e soprattutto Galway Kinnell , uno dei poeti piu’ originali e difficili di oggi, il quale codifica le violente emozioni di un misticismo agonizzante in una scrittura squilibrata e demenziale (vedi il lungo poema “The Book of Nightmares”). Jorie Graham, poetessa profetica e mitologica nella tradizione di Blake, ha sperimentato nuove forme di narrazione in versi.


Surrealismo

E’ sorprendente come la poesia Americana sia rimasta a lungo insensibile alle novita’ letterarie di oltre oceano. Soltanto negli anni Settanta si e’ avvertito nettamente l’ impatto della poetica surrealista. Naturalmente, essendo completamente diverse le condizioni socio-storiche (e, banalmente, il momento temporale), le istanze surrealiste sono state liberamente interpretate.

La scuola che piu’ ha contribuito a tener vivo il dibattito sulla “forma” e’ stata quella dei cubisti, fedeli ai processi compositivi della Stein e, in generale, a tutte le tecniche poetiche sviluppate dalla poesia francese dopo il dadaismo: Kenneth Koch ,Frank O’Hara , William Merwin , John Ashbery ne sono gli esponenti storici.

Merwin, immensamente dotato, inizio’ come poeta esistenziale e pessimista, caratterizzato da uno stile barocco e favolistico che ne faceva il rappresentante piu’ virtuoso del nuovo classicismo, salvo poi (da “Moving Target”) sterzare verso una poesia aspra ed epigrammatica, certamente maturata durante il suo soggiorno francese.

Ashbery, altro “grande” di questa generazione, ha applicato il surrealismo, in particolare la tecnica delle associazioni libere, alla forma del poema narrativo e del monologo drammatico, raggiungendo esiti di grande sottigliezza metafisica. Il baricentro della sua carriera e’ rappresentato dal piu’ famoso di tali poemi, quel “Self-Portrait in a Convex Mirror”, pubblicato nel 1975 e subito insignito di diversi premi nazionali, un lavoro tipico del suo procedere per associazioni mentali che sembrano ondeggiare attorno al filo del discorso, filo che in realta’ non viene mai perduto. Ad esso sono seguiti lavori sempre piu’ concettuali, culminati in “A Wave”(84), labirintico e delirante carosello di meditazioni astratte. La intricata plurita’ di significati dei suoi poemi e’ stata avvicinata alla musica di Elliot Carter e ai dipinti di Jackson Pollock.

Fra i piu’ giovani ricordiamo Charles Simic, frammentario, criptico e minimale, e Stephen Dobys, autore di narrazioni fantastiche, spesso orrifiche.


Il Neo-classicismo

Dalla sintesi del tradizionalismo e della scuola metafisica e’ scaturita una forma di neo-classicismo che ha il vantaggio di essere facilmente fruibile dal gusto moderno, anche se su di esso pesa sempre il sospetto di plagio.

Il tradizionalismo sopravvive di mutazione in mutazione attraverso l’ opera di poeti che reagiscono alla crescente “barbaricita’” del verso moderno, all’ aggressivita’ e alla volgarita’ delle immagina in esso implicite o esplicite. Citiamo lo stile “alto”, accademico ed estetizzante, isolato nel panorama di una poesia che si e’ fatta sempre piu’ rozza ed istintiva, di Richard Wilbur , e la metrica impeccabile di Anthony Hecht , il piu’ acceso difensore del verso convenzionale e anche uno dei piu’ abili imitatori della cadenza eliotiana.

Su tutti va messa Elizabeth Bishop , il cui meticoloso verso ricorda quello di Moore, ma le e’ superiore in intensita’ colloquiale, e rappresenta certamente uno dei risultati piu’ suggestivi dell’ ultima lirica. Sulle sue tracce, con un linguaggio barocco e allusivo, si situa Amy Clampitt.

A parte si situa James Dickey , rapsodista brillante fedele al romanticismo di Roethke. Con lui si apre la schiera dei lirici “domestici”, per esempio Stephen Dunn, che ripiegano sui piccoli eventi del privato. Ultimo bardo del naturalismo e’Hayden Carruth, le cui “georgiche di strada” sono dedicate ai ceti piu’ umili.

Altro poeta maggiore di questa generazione e’ probabilmente James Merrill , che sugli insegnamenti di Eliot e Pound (soprattutto la prassi dell’ accumulo di frammenti e citazioni che fu del secondo) ha saputo erigere un’ opera poetica di carattere autobiografico, ben riassunta dal monumentale “Changing Light at Sandover”(82), nel quale traccia una sorta di storia universale della mitologia.

Autobiografica e’ anche la complessa liturgia drammatica di Richard Howard, piu’ vicino pero’ alla sensibilita’ di un narratore come Henry James. Mentre John Hollander ha messo a frutto una spiccata propensione per l’ allegoria in poesie criptiche fitte di riferimenti mitologici.


Poeti Confessionali

Passata la sbornia collettiva dei Sixties, giunta a un punto di rottura la civilta’ del benessere che ne aveva consentito gli eccessi, piombata su tutti la cappa scura di una crisi economica, anche la poesia e’ ritornata sui suoi passi, alla ricerca di una dimensione piu’ intima e modesta.

I “Canti Pisani” di Pound e i “Life Studies” di Lowell sono alla base del ritorno prepotente della tematica autobiografica, egocentrica, solipsista. Primo esponente di rilievo ne fu William Snodgrass , uno dei poeti piu’ eleganti di oggi, maestro della stanza ritmata, seguito piu’ recentemente da Louis Simpson , che e’ oscillato fra poesia confessionale e epos whitmaniano, e da Paul Zweig, depresso e fatalista, morto prematuramente di cancro; ma le piu’ dotate furono due donne, Anne Sexton , che sposa la mitologia confessionale di Dickinson ai simbolismi magici di Eliot, e Sylvia Plath, morta suicida a soli trentun anni e subito innalzata a emblema della condizione femminile.

Da loro discende l’ arte del monologo drammatico a cui ha ridato lustro la poetessa di colore Ai (Florence Anthony), una delle novita’ piu’ salienti degli anni Ottanta. Attraverso un primo libro in cui allineava le voci epigrammatiche, violente e dirette, di prostitute, piscotiche, vittime di stupro, e casalinghe frustrate, e’ giunta ai soliloqui piu’ estesi di “Killing Floor”, che esplorano gli stati mentali alterati di personaggi come Trotsky e Aguirre. In “Sin”(86) la folla dei suoi ego ha assunto sembianze dantesche: la memoria li bracca senza pieta’, reiterando all’ infinito il loro peccato.


Ultime

In prospettiva non sembra azzardato identificare in Ashbery, Bishop, Merrill e Merwin le voci piu’ salienti dell’ ultima generazione, e inserire dopo di loro Ai, Kinnell, Levertov, Plath e Sexton, conferendo pertanto una palese preminenza alle scuole surrealista e confessionale.

Le voci emerse negli ultimissimi anni sono ancora confuse e incerte. Nomi che hanno fatto breccia sono quelli di Mark Strand, Fredrick Morgan, Richard Hugo. Ma il corpus poetico di questi scrittori e’ ancora troppo limitato perche’ se ne possa asserire la “tenuta”.

Gli anni Ottanta si chiudono nel segno di un sensibile risveglio della Poesia, uscita assai prostrata dalle vicende degli anni Sessanta e poi passata in secondo piano durante la crisi economica. Il boom dell’ era Reagan, il piu’ prolungato del Dopoguerra, che ha ridotto la disoccupazione ai livelli piu’ bassi del mondo occidentale, ha in qualche modo favorito anche il ritorno della Poesia. Non solo elevando il tenore di vita, che e’ comunque condizione necessaria affinche’ le nuove leve possano guardare alla Poesia senza la prospettiva di un futuro di stenti, ma anche recidendo con brutalita’ i pregiudizi, gli stereotipi e i luoghi comuni che gli anni Sessanta avevano eletto a dogma assoluto dell’ arte moderna (impegno civile, sperimentalismo ad oltranza, anti-sentimentalismo, etc.). La maggiore liberta’ di espressione si e’ indirettamente riflessa in una frammentazione dell’ orizzonte poetico contemporaneo in tante piccole unita’ indipendenti, ciascuna concentrata sui propri mezzi e i propri fini, invece che sull’ obbedienza cieca agli schemi comportamentali imperanti.

Tanto “American Poetry” quanto “Modern Poetry”, le due riviste faro, sono tornate al formato dell’ epoca d’ oro. Gli editori si sono moltiplicati, e cosi’ gli autori, forse anche eccedendo la capacita’ di consumo del pubblico Americano. Si sono riaccesi i tradizionali cenacoli cittadini, soprattutto a San Francisco, Chicago e New York, le tradizionali capitali del verso, ed e’ tornata di moda la “serata con il poeta”, generalmente tenuta presso un “bookstore” specializzato, durante la quale l’ invitato legge le proprie opere e le commenta con il pubblico.

Un fatto estremamente positivo, pur nei suoi risvolti consumistici, e’ che poeti come Ashbery siano stati pubblicati in paperback, in edizioni a diffusione di massa, molto prima che avessero ricevuto un riconoscimento internazionale, e che riviste come Time e quotidiani come il New York Times dedichino loro articoli paragonabili a quelli sulle star di Hollywood. E’ un fenomeno senza eguali in Europa, dove soltanto pochi adepti conoscono i poeti viventi.

Se esistono le premesse per un’ altra grande stagione di Poesia, esistono anche evidenti pericoli. La troppa facilita’ con cui si “diventa” poeti rischia di abbassare il livello qualitativo della produzione poetica (proprio come accadde negli anni Sessanta). D’altronde costi di stampa sempre piu’ bassi sono alla portata di una popolazione sempre piu’ folta di dilettanti, ne’ sarebbe auspicabile l’ opposto. Certo sono pochi oggi ad applicare l’ austero metodo di Eliot e Pound, che pubblicavano soltanto dopo un lungo lavoro di sintesi.

Un altro potenziale pericolo e’ dovuto proprio allo sviluppo ecnomico di questo decennio. Non solo sono stati creati milioni di posti di lavoro, ma essi sono stati creati un po’ in tutti i settori, anche in quelli umanistici che sembravano ormai destinati all’ estinzione. Ai laureati di oggi si presenta un ventaglio di opportunita’ nel mondo industriale che certamente distogliera’ molti, e forse proprio i piu’ dotati, dalla poco redditizia missione di Poeta.


PROSPETTO SINOTTICO

 

1869 Masters Edgar Lee
1869 Robinson Edwin
1874 Frost Robert
1874 Lowell Amy
1874 Stickney Joseph
1878 Sandburg Carl
1879 Lindsay Vachel
1879 Stevens Wallace
1883 Williams William Carlos
1885 Pound Ezra
1886 Doolittle Hilda
1887 Jeffers Robinson
1887 Moore Marianne
1888 Eliot Thomas Stearn
1888 Ransom John
1889 Aiken Conrad
1892 MacLeish Archibald
1892 Millay Edna
1894 Cummings Edward
1897 Bogan Louise
1899 Crane Hart
1899 Tate Allan
1901 Riding Laura
1902 Fearing Kenneth
1902 Hughes Langstone
1902 Nash Ogden
1903 Cullen County
1903 Rakosi Kare
1904 Eberhart Rick
1904 Zukofsky Louis
1905 Kunitz Stanley
1905 Rexroth Kenneth
1905 Warren Robert Penn
1908 Roethke Theodore
1910 Olson Charles
1911 Bishop Elizabeth
1911 Cunningham J.V.
1911 Patchen Kenneth
1913 Rukeyser Muriel
1913 Schwartz Delmore
1913 Shapiro Karl
1914 Berryman John
1914 Jarrell Randall
1915 Merton Thomas
1916 Ciardi John
1916 Viereck Peter
1917 Lowell Robert
1919 Duncan Robert
1919 Ferlinghetti Lawrence
1920 Nemerov Howard
1921 Wilbur Richard
1923 Dickey James
1923 Hecht Anthony
1923 Levertov Denise
1923 Simpson Louis
1923 Whalen Philip
1925 Koch Kenneth
1926 Ammons Archie
1926 Bly Robert
1926 Creeley Robert
1926 Ginsberg Allen
1926 Merrill James
1926 O'Hara Frank
1926 Snodgrass William
1927 Ashbery John
1927 Kinnell Galway
1927 Merwin William
1927 Swenson May
1927 Wright James
1928 Sexton Anne
1929 Rich Adrienne
1930 Corso Gregory
1930 Snyder Gary
1932 Plath Sylvia
1943 Giovanni Nikki

 

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3 risposte a 29 dicembre 2013 ore 09:55 LA POESIA AMERICANA MODERNA —DI PIERO SCARUFFI—-SE VOLETE QUALCOSA DI “SERIO-DOCUMENTATO-VARIO VARISSIMO— CHE HA DEL MERAVIGLIOSO”—-VISITATE IL SUO BLOG! SENTO IL 2013 SCRICCHIOLARE NELLA SUA SFINITE OSSA CHE SONO ORMAI OSSICINE IN FRANTUMI CHE SI AVVIANO ALLA POLVERE —ANCHE GLI ANNI I SECOLI E L’UNIVERSO: PULVIS EST—TUTTO COME NOI—MALEDIZIONE!—VOLETE FARE L’ONORE DELLE ESEQUIE A QUESTO ANNO ORRENDO “MOLTO QUASI” PER TUTTI? NO, ASSOLUTAMENTE NO, MA IN FONDO AD UNA COSA VIVA BISOGNA PUR DIRE “CIAO”! —–FACCIAMO COSI’, SE SIETE D’ACCORDO: “CIAO E NON TORNARE MAI PIU’!” TUTTO IL BLOG+ L’UNIVERSO INTORNO DI MILIARDI DI ESSERE VIVI E LE ROCCE—

  1. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Come è grande e infinito ogni mondo, ogni pezzo di mondo, ogni infinitesimo pezzo di mondo, e noi così piccini per tutto!

    • Chiara Salvini scrive:

      ma non ti senti bene a stare piccina? io sì, e mi rimpicciolisco sempre di piu’…diminuiscono le tue responsabilita’ di sapere questo o quello e poi di saperlo bene (vedendo solo l’aspetto culturale) altrimenti alla fine non parli piu’, niente di noi vale la pena di essere detto o scritto—per quanto piccino, una persona e’ sempre una vita che vede il mondo con un suo punto di vista particolare e non si puo’ mai dire se le sue quattro idee anche rabberciate non possano essere utili ad un altro—Quello che conta e’ non spacciarle per verità, cosa che magari non fa nessuno, ma mi pare che se uno e’ convinto di quel “quasi niente” che come essere umano relativo (appunto:c’è la sua morte, non è un assoluto in niente, men che meno nel sapere), forse il modo di porgerle…Questo e’ quello che cerco di fare sempre, anche se- appunto come essere relativo, cioè che sbaglia anche quando ce la mette tutta- parecchie volte avrò fatto l’arrogante in possesso della verita’—eh mi, amen, e’ inerente a noi uomini! Chi legge e chi scrive, deve darlo per scontato! ciao ma belle chiara

  2. Reviews scrive:

    I do consider all of the concepts you have presented
    in your post. They are really convincing and will definitely work.

    Still, the posts are too short for novices. May just you please extend them a little from next
    time? Thanks for the post.

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