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La generazione Telemaco e la critica letteraria. Due libri di Stefano Ercolino

by Clotilde Bertoni

di Remo Ceserani

[Questo articolo è apparso su «Alias»]

Mi chiedo se si stia affacciando la generazione Telemaco anche sulla scena degli studi di teoria letteraria e nella pratica critica. Sembrerebbe di sì. La risposta positiva la suggerisce il caso di un giovane studioso, ventinovenne, che si chiama Stefano Ercolino e viene da San Giovanni Rotondo (Foggia). Specialista straordinariamente agguerrito di storia e teoria del romanzo, egli è stato allievo di Massimo Fusillo nell’Università dell’Aquila e di Franco Moretti in quella di Stanford: due padri-Ulisse, quindi, ma senza che ci fosse alcun bisogno di ribellarsi contro di loro, semmai, con il loro consenso, di superarli in prontezza di riflessi e qualche spavalderia.

Nonostante il cognome, che sembra echeggiare in diminutivo il nome del mitico personaggio dalle tante fatiche, Ercolino si presenta senza diminutivi, avendo costruito il suo profilo di studioso del romanzo a tappe forzate e superando brillantemente molteplici prove: buoni studi classici e moderni, cinque lingue, amplissime letture, carriera veloce, da generazione Telemaco: laurea magistrale nel 2009, dottorato nel 2013, numerose scuole di specializzazione e borse di studio (la Fulbright a Stanford, la Humboldt alla Freie di Berlino); un primo libro ricavato dalla tesi di laurea sul romanzo “massimalista”, uscito in inglese da Bloomsbury nel 2014 con il titolo The Maximalist Novel. From Thomas Pynchon’s Gravity’s Rainbow to Roberto Bolano’s 2666 (187 pagine, $ 110)di prossima uscita in italiano presso Bompiani; un secondo libro, ricavato dalla tesi di dottorato e appena uscito in inglese da Macmillan con il titolo The Novel-Essay, 1884-1947 (194 pagine, Ł 55).

Nella storia di quel grande genere flessibile, adattabile e onnivoro che è il romanzo, Ercolino isola due momenti storici e l’elaborazione di due “forme” o “morfologie”: quella del romanzo massimalista, nell’epoca nostra della modernità liquida (a cui ha dedicato il primo libro) e quella del romanzo/saggio, che sarebbe nato nel momento di crisi del grande romanzo della modernità (realista, naturalista), negli ultimi decenni dell’Ottocento e nel corso del Novecento.

Cosa intende Ercolino per romanzo massimalista? Egli ha identificato, dopo una lettura in profondità di alcuni testi campione, dieci caratteristiche che considera specifiche del nuovo genere: lunghezza, uso del modo enciclopedico, coralità dissonante, esuberanza diegetica, compiutezza, onniscienza del narratore, immaginazione paranoica, utilizzo di media diversi e diverse forme della rappresentazione, impegno etico, realismo ibrido. Come si vede alcune caratteristiche sono di tipo formale, altre, come l’immaginazione paranoica (suggerita da Hofstadter), di tipo più propriamente tematico. I testi presi in esame, che hanno tutti in comune la presenza delle dieci caratteristiche, sono sette: Gravity’s Rainbow (912 pagine) di Thomas Pynchon, Infinite Jest (1079) di David Foster Wallace, Underworld (827) di Don DeLillo, White Teeth (448) di Zadie Smith, The Corrections (672) di Jonathan Franzen, 2666 (1105) di Roberto Bolaño e 2005 dopo Cristo (401) del collettivo italiano che si è dato il nome di Babette Factory. Come si vede, con l’eccezione del cileno Bolaño e dei quattro italiani che formano il collettivo Babette Factory, si tratta in gran parte di scrittori americani. Ercolino spiega che la sua è una proposta sperimentale e aperta. Ciascuno può aggiungere, con il suo permesso, molti altri casi: io direi, per esempio, Die Letzte Welt del tedesco Ransmeyr Harmonia caelestis dell’ungherese Esterházy o Storia umana e inumana dell’italo-ungherese Giorgio Pressburger. A favore comunque della preferenza riservata alla narrativa americana si può portare la famosa barzelletta sugli elefanti, quella che racconta di scienziati francesi, tedeschi, russi, italiani, tutti impegnati a dare una descrizione definitiva degli elefanti, che hanno prodotto libri come Les éléphants et l’amour, Tiefenpsychologie der Elephanten ecc., surclassati tutti dagli americani che, succubi del loro grandioso sogno imperiale, ne hanno prodotto uno intitolato How to make the elephants bigger and better.

Cosa intende Ercolino per romanzo-saggio? Si tratta, secondo lui, di un genere ben definito, emerso in Francia negli ultimi decenni dell’Ottocento, come reazione ai trionfi del romanzo naturalista di Zola e Maupassant e in concomitanza con la prima grande crisi epistemologica della Modernità e dei suoi apparati simbolici. Rispetto al libro sul romanzo massimalista, qui ci muoviamo, più che sul terreno delle analisi tematiche, su quello delle forme e in particolare della forma che si realizza in romanzi con forte presenza di elementi saggistici e filosofici nella narrazione. Ciò che interessa, per esempio, a Ercolino, non è tanto di stabilire quali sono i temi di Guerra e pace di Tolstoj (la guerra, il contrastato rapporto fra aristocratici e contadini russi, le passioni di Natascia, del principe Andrej, di Pierre Bezukov, i temi del tempo e della coscienza, ecc.), quanto di capire perché a un certo punto della scrittura, il grande narratore russo ha sempre di più abbandonato il filo della narrazione, inserendo in molte pagine, e addirittura in tutte quelle dell’epilogo, le sue riflessioni sulla storia. Il sostegno fondamentale al discorso di Ercolino è fornito da una «teoria dell’emergenza delle forme letterarie», così espressa: «Le forme letterarie emergono. Trattasi di generi, modi, configurazioni della trama o dispositivi formali, essi si sviluppano a partire da forme più semplici. Così avviene per il romanzo-saggio, che è emerso come genere letterario composito da forme di base preesistenti, come il romanzo e il saggio».

Diviso in quattro capitoli, il libro contiene anzitutto una brillante analisi di À rebours di Huysmans e di Inferno di Strindberg, che Ercolino conduce appoggiandosi alle teorie sul saggio di Lukács, Adorno e Max Bense. Nel secondo capitolo egli approfondisce l’analisi del romanzo di Huysmans, secondo lui fondativo del genere, e avvia un confronto con il genere del romanzo di formazione, affrontando la Montagna incantata di Thomas Mann, e stabilendo una netta distinzione fra il romanzo-saggio come lui lo concepisce e il dialogismo di Dostoevskij studiato da Bachtin, che gli pare sostanzialmente estraneo al genere che sta delineando. Il terzo capitolo è dedicato a un’analisi approfondita dell’Uomo senza qualità di Musil, a una discussione del saggismo di Musil come essenzialmente “non-moderno” e a un rapido percorso filosofico-letterario sul saggismo, da Montaigne a Broch. Il quarto capitolo, molto denso e acuto, è incentrato (Ercolino parla di una “gran coda”), sul Dottor Faustus di Mann, affrontato con ampia utilizzazione dell’interpretazione negativa dell’illuminismo offerta a suo tempo da Adorno e Horkheimer.

Il libro di Ercolino è breve, compatto e succoso. Rispetto al libro precedente egli sembra ora privilegiare, ispirandosi alle teorie di Moretti, non più una morfologia dei generi ma una vera e propria biologia dei generi (di qui il concetto di emergenza). Ciò lo porta a irrigidire le sue definizioni e a rendere netti e impenetrabili i limiti e i confini fra un genere e l’altro. Ne fanno lo spese non solo il dialogismo di Dostoevskij, ma anche la tradizione ironico-filosofica (peraltro a lui chiaramente presente e familiare) che ha corroso dall’interno, in parallelo con quella fantastica, la tradizione realistica dell’Ottocento, quella che Giancarlo Mazzacurati chiamava la “linea sterniana”, cioè la linea che, partita dai modelli inglesi del Settecento, ha ispirato autori tedeschi, russi, italiani, spagnoli, sudamericani, con punte alte, che avrebbero potuto forse fare la loro parte nella scena descritta da Ercolino, impersonate da narratori come Huxley, Unamuno o Pirandello (autore quest’ultimo di vere e proprie novelle-saggio come La trappola).

Ma la caratteristica fondamentale dei Telemachi dei nostri giorni è, oltre che la invidiabile brillantezza, una certa impazienza, una disponibilità ad affrontare senza timore le sette fatiche e una gran voglia di bruciare le tappe.

 

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