ore 19:48 DA UN ORDINE PERENTORIO DI NEMO// che -PARTITO OGGI VIATRENO alle?…non so—-// E ARRIVATO ALLE 14,25 /// di pubblicare, ma SENZA LE AGGIUNTE-SCEMATE DI CHIARA: L’ARTICOLO DI REP. IERI: ANDREA CAMILLERI E I SUOI GRANDI AMORI “ANGELICALI”…al fondo fondo cercheremo la seconda Angelica…

R2 Cultura  da repubblica del 28 agosto  pp. 40-41

ludovico ariosto: ragazzi, non ci crederete, ma anche lui è emiliano! controllerò!
Nasce a Reggio Emilia nel 1474  e muore a Ferrara nel 1533—il quadro che lo ritrae così “lui perfetto”, come sapete, è del Tiziano–


Angelica nel romanzo in versi dell’Ariosto, è talmente bella che non sa come difendersi da tanti spasimanti; di lei è innamorato anche Orlando, il campione dell’esercito di Carlo Magno, il paladino per eccellenza in lotta con i Mori….Angelica invece si innamora  del giovane e bello e indifeso Medoro, un moro, e lo sposerà– uscendo di scena a testa in giù in un certo capitolo–per decisione dell’autore–

A questo tradimento, così considerato,  Orlando non se ne fa una ragione, non trova un significato alla storia e alle relazioni dei personaggi, soprattutto non riesce a rifarsi un’immagine “degna” di sé, il paladino di Carlo—Per tutto questo, solo la pazzia gliene fornisce uno, ma fuori dalla realtà, dal momento che “per lui” nella realtà non ce n’erano — Forse è la pazzia più famosa della storia della letteratura…chissà\
nato a Porto Empedocle (Sicilia) nel 1925!

Il padre di Montalbano rievoca le figure di donne che gli hanno segnato la vita. Come l’eroina di Ariosto. O la pasionaria della Russia di Lenin con lo stesso nome.
L’amore furioso di Camilleri per Angelica e il suo doppio
ANDREA CAMILLERI

“DUE sono le Angeliche delle quali sono stato innamorato. Quella creata dalla poesia di messer Ludovico Ariosto mi iniziò ad un sentimento d’amore, esaltante e struggente. Imparai a leggere correntemente che avevo sei anni. E da allora non smisi più. La mia prima lettura era stata un romanzo di Conrad, “La follia di Almayer”, dopo aver chiesto e ottenuto da mio padre il permesso di mettere mano tra i libri della sua biblioteca. Mio padre non era un intellettuale, però aveva un particolare gusto per le buone letture. Divorai alla rinfusa Conrad, Melville, Simenon, Chesterton, Maupassant e, tra gli italiani, Alfredo Panzini, Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli…
I nonni materni abitavano nell’appartamento accanto al nostro, ma la biblioteca di nonno Vincenzo non m’interessava, era piena di manuali Hoepli sulle coltivazioni dei cereali e sull’allevamento del bestiame, c’era qualche libro educativo per l’infanzia, mancavano del tutto i romanzi. Nonno aveva anche raccolto i fascicoli di una pubblicazione storico-geografico- economica che riguardava le regioni italiane. Molti li aveva fatti rilegare, ma una trentina, sfusi, giacevano nel ripiano più basso dello scaffale. Un giorno, del tutto casualmente, m’accorsi che essi coprivano, nascondendolo, un grosso volume. Lo tirai fuori. Era di mole considerevole, due volte più alto e largo di un libro normale- sulla pesante rilegatura rosso-bruna c’era scritto a caratteri dorati: Ludovico Ariosto, Orlando furioso . I fogli, lucidi, erano molto spessi. Mi colpirono, a prima vista, le meravigliose illustrazioni di Gustavo Doré.
Mi impadronii del libro, tanto nessuno si sarebbe accorto della sua sparizione, e me lo portai nella mia stanza. Da quel momento, e per qualche anno, convissi con Angelica della quale m’innamorai perdutamente per le fattezze che le aveva dato Doré. I cui disegni mi avevano già provocato l’emozione indescrivibile di vedere per la prima volta com’era fatto il corpo nudo di una donna. Era forse per questi disegni che il libro era stato seminascosto?
paul gustave doré   Angélique

Doré non aveva mai disegnato Angelica senza veli, ma io le prestai il corpo di una fanciulla ignuda, i polsi legati alti a un ramo, che illustrava non ricordo più quale altro episodio. Percorrevo delicatamente con l’indice i contorni di quel corpo, li carezzavo ad occhi socchiusi, il cuore impazzito, ripetendo dentro di me come una litania il nome d’Angelica.
Ricordo anche che dentro il mio cervello di decenne, educato da quattro anni di ottime letture tutt’altro che infantili, due precisi episodi del poema mi si stamparono in maniera indelebile. Uno era la storia di Fiammetta che riesce a tradire i suoi due amanti pur giacendo nel letto in mezzo a loro. L’altro era il fatto che Angelica, pur essendo corteggiata da eroici guerrieri e da ricchi nobili, s’innamora di un povero pastore, Medoro, e se ne va a vivere con lui.
Capivo come Orlando, alla notizia, fosse andato fuori di testa, ma ancor di più, istintivamente, comprendevo la scelta di Angelica e mi schieravo dalla sua parte. Al primo ginnasio mi misero in una classe mista. Tutti i miei compagni s’innamorarono subito di Liliana. Io no, era bella, innegabilmente, ma troppo dissimile da Angelica. Prima di entrare in classe, lasciavamo i cappotti negli appendiabiti disposti lungo il corridoio. Alla fine delle lezioni, i miei compagni si precipitavano a prendere il cappotto di Liliana e a tenerglielo aperto mentre lei l’indossava. Era una gara che non escludeva spintoni, cazzotti e insulti.
Quasi sempre vincevano i due più robusti, Giogio e Cecè, figli di ricchi commercianti. […]. Ma un giorno Liliana guardo Cecè che le teneva il cappotto pronto per essere indossato e gli disse, gelida: «Rimettilo a posto». Cecè, allibito, ubbidì. Allora Liliana, inaspettatamente, mi chiamò. Io, che dopo avere assistito a quella scena mi stavo
avviando all’uscita, mi voltai, sorpreso. Di rado mi aveva rivolto la parola. «Andrea, me lo tieni il cappotto per favore?» […] E così scoprii che in ogni donna alberga, più o meno segretamente, un poco d’Angelica.

L’altra Angelica l’incontrai a Roma negli ultimi mesi del 1949 o nei primissimi del 1950, non ricordo bene. Ero allievo-regista all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. […] Un giorno notai, al tavolo accanto al mio, una vecchietta minuta, vestita con proprietà, che aveva anche lei ordinato un cappuccino e una brioche. Per un attimo, sollevò il viso e mi guardò. Ebbi un tuffo al cuore.
I suoi occhi, grandi e vivissimi, erano identici a quelli di mia nonna Elvira. Io nonna l’adoravo, avevo più nostalgia della nonna che dei miei genitori. Forse tenni troppo a lungo lo sguardo fisso su di lei perché la vecchia signora tornò a guardarmi, stavolta sorridendomi. Quel sorriso e quello sguardo avevano un fascino indicibile, le annullavano in un attimo gli anni che le pesavano sulle spalle, la facevano tornare ragazza. Non riuscii a controllarmi. Le mie gambe si mossero senza che io gliel’avessi ordinato. Presi la tazza e la brioche, mi alzai, mi avvicinai al suo tavolo.
«Mi permette?» Mi fece cenno d’accomodarmi. Poi mi domandò, un po’ sorpresa: «Mi ha riconosciuta?».
Perché avrei dovuto riconoscerla?
«No, ma lei, mi perdoni, mi ricorda cosi tanto mia nonna che…» Sorrise. Ah, quel sorriso!
«Come si chiama sua nonna?» «Elvira.» «Io mi chiamo Angelica. Angelica Balabanoff. » Sobbalzai, per poco non caddi dalla sedia. Sapevo chi era Angelica Balabanoff, la grande rivoluzionaria russa, l’amica di Lenin, colei che aveva “creato” Mussolini…
La domanda mi scappò dalle labbra prima che potessi trattenerla.
«Com’era Lenin?» Dovevano averle rivolto quella domanda migliaia di volte. Rispose subito e sbrigativamente: «Un uomo di un’onestà ferrea. Un angelo feroce». Ma non aveva intenzione di parlare di politica con me perché cambiò subito discorso domandandomi cosa facessi. Appena seppe che mi occupavo di teatro, i suoi occhi s’illuminarono. Mi parlò dandomi del tu.
«Che conosci di Cechov?» «Credo tutto.» «Da giovane» sospirò «sarei stata una perfetta Nina nel Gabbiano . » E cominciò a parlarmi di Cechov con un fervore e una competenza che mi stupirono. Me ne parlava però non per insegnarmi qualcosa, ma da pari a pari, quasi fosse una mia compagna d’Accademia. Ogni tanto, senza rendersene conto, mi carezzava il dorso della mano.
E così scoprii che la seconda passione della Balabanoff, dopo la politica, era il teatro. Quando venne l’ora d’andarmene e la salutai, lei mi disse: «A domani. E non dirmi signora, chiamami Angelica».
Non so perché, mi recai il giorno dopo all’appuntamento con il batticuore, come per un incontro amoroso. Non avevo raccontato a nessuno d’averla conosciuta, del resto i miei compagni non avrebbero nemmeno capito di chi stavo parlando.
Non mi disse mai dove abitava, come trascorreva i suoi giorni. Il mese terminò, ci eravamo visti cinque volte, il giorno appresso avrei riscosso la borsa di studio. La parentesi dei cappuccini si era, al momento, chiusa.
«Angelica, posso invitarla a pranzo domani?» Mi guardò sorpresa. Poi consentì.
«Va bene.» Si fece dare l’indirizzo del ristorante, mi disse che sarebbe venuta all’una, aggiunse che aveva un appuntamento e che non poteva trattenersi ancora con me. Mi porse la mano. Io mi chinai e gliela sfiorai con le labbra. Allora lei mi abbracciò e mi baciò sulle guance alzandosi in punta di piedi.
Non solo non si presentò al ristorante, ma non venne più nemmeno al caffè. Sparì dalla mia vita. Ne soffrii a lungo.”
*
IL LIBRO
Donne di Andrea Camilleri (Rizzoli,pagg. 210 euro 17,50) Il racconto che qui pubblichiamo è Angelica


angelica balabanoff nasce a kiev in ucraina nel 1978 e scomparve a Roma nel 1965– voglio ricordarla così, non nelle foto da vecchia, almeno per ora…va bene?

fai clic su wikipedia,
se vuoi sapere la vita di una donna interessantissima———-(chiara)—-sempre legata al Partito Socialista Italiano—poi con Lenin ebbe vari incarichi—- fu a capo della Terza internazionale…ma alla rivolta di Krostadt (un soviet, ultimo rimasto,  fatto fuori dall’esercito di Lenin perché ribelle alle misure anti-consigliari o assolutiste di Lenin. )–
–   lei, dopo varie discussioni con i capi del partito (li sapete, c’erano tutti–no epurazioni ancora), tornò in Italia, e si legò al Partito Socialista collaborando all’  “Avanti!”,  con direttore Benito Mussolini–etc etc.  “San Francesco disse”, ma un dì ve lo dirò!

Cosa mi è sembrato curioso?
Dopo una vita così, come dire, certamente rivoluzionaria, e nella  Russia degli Zar!,
alla scissione del partito socialista a Palazzo Barberini a Roma, lei va con Saragat— Forse temeva, come mio nonno Pepìn, che fosse progetto di Nenni trovare un accordo con i comunisti  che, poi, ma posso sbagliarmi, mai avvenne in maniera .struttura per dire duratura. Ma forse, del mancato accordo, la responsabilità non è dei socialisti di Nenni…ma dei comunisti che guardavano più lontano cioè al “compromesso storico” con la DC ( con ben altro elettorato in numeri) che mai avrebbe tollerato di governare con i socialisti—Perché lo dico?  Perché nel  partito socialista, modestamente e secondo me (spero che basti, se no piango!) c’è una vena di “fantasia” o, meglio, di utopia un’onestà a certi principi…per esempio nel ’48 mai avrebbero votato, crede chiara, l’art. 7 della Costituzione e, forse…ma come saperlo?  Senza l’appoggio esterno dei comunisti il governo sarebbe caduto e la ricostruzione dell’Italia così assolutamente necessaria a tutti, ma soprattutto a chi stava male senza “pane e lavoro”——————ditelo voi, che lo sapete meglio di me…

un articolo di Repubblica, mi pare del ’98, dove fa un elenco di fatti sulle scissione della sinistra italiana dal ’21….intitolandolo: la scissione, il male del paese.
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  1. Donatella D'Imporzano scrive:

    Bellissime queste storie di Camilleri. Vengono in mente anche i nostri amori ” mistici” !

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