ore 23:02 DALL’IRRESISTIBILE MAGLIETTA ROSSA DI NEMO—PORTATA COME UNA BANDIERA // SOCIALISTA! // AL I° FESTIVAL DI CULTURA DEMOCRATICA –PD BORDIGHERA…….

 

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…arrivò anticamente il suggerimento di:

 

“INTERVISTA DI ANTONIO GNOLI   A MILENA VUKOTIC”

 

DA REP. CULT  DI DOMENICA 12 AGOSTO   pp. 52-53

 

 

R2 CULT-Cultura- STRAPARLANDO (testo dopo l’immagine -giornale)

 

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Milena Vukotic

Piacerebbe iniziare questo “straparlando” con una lettera a Milena Vukotic. Per dirle: «Cara Milena, lei è una straordinaria attrice che da sola avrebbe potuto arricchire un pezzo di storia del cinema e del teatro italiano. E se ciò non è accaduto è per l’insipienza e la pigrizia di tutti coloro, tra i registi importanti e no, che l’hanno usata senza accorgersi del dono prezioso che avevano tra le mani».
Ma poi penso che le vite vanno prese per quello che sono e che anche nel piccolo, soprattutto nel piccolo, “nel tribale” (aggiunta chiara), c’è, inatteso, del grande. Sovente misconosciuto.
In una mattina di sole aspro Milena Vukotic mi attende nella sua casa romana del quartiere Salario. Una blusa leggera, pantaloni chiari e un trucco lieve che adorna due occhi in permanente stupore mi accolgono con calma e un moto di apparente tristezza. Tutto intorno, nella stanza che è poi lo studio dove l’attrice lavora, libri e foto di famiglia dove un passato musicale sembra affiorare con evidenza: «Vede, quello grande è il ritratto della nonna. Una donna straordinaria. Pianista eccelsa, dicono. Morì di febbre gialla a Rio dopo aver dato alla luce mia madre che dunque per caso, e per sventura, nacque in Brasile. E il governo di quel paese, per quei fatti drammatici, le assegnò una pensione a vita».
E restò lì?
«No, tornò in Italia e fu affidata a una famiglia per bene che le fece a sua volta studiare pianoforte».
Che anni erano?
«Nonna Gemma era del 1867. Era nata a Pisa e cominciò a fare concerti a sette anni. C’era già allora la moda dei bambini prodigio. Morì a 26 anni. Fatti due conti direi che la mamma cominciò a studiare pianoforte e composizione ai primi del Novecento. Fu allieva di Casella e Respighi e tra i compagni di corso a Milano ebbe Victor de Sabata».
Che ricordo ne ha?
«Di una donna libera e generosa. Non avendo avuto una vera madre ha sempre sognato di esserlo pienamente. Nonostante la carriera di concertista ebbe 4 figli».
E il nome Vukotic?
«Da mio padre, le cui origini erano slave, precisamente montenegrine. Strana figura di letterato e diplomatico. Studiò un po’ di musica, venne a Roma e all’inizio entrò nella cerchia dei futuristi. Parlava a volte della sua esperienza con il teatro di Bragaglia. Alla fine, la carriera di diplomatico prese il sopravvento. Ho passato la mia infanzia viaggiando: Londra, Vienna, poi in Olanda e a Istanbul e soprattutto a Parigi che fu la mia città formativa. Coincise con la separazione dei miei genitori».
E lei?
«Ero giovane, un po’ turbata e silenziosa. Mio padre se ne andò, fu un addio senza veri traumi. Mia madre aveva il suo lavoro, necessario per provvedere a tutto. Fui sistemata in un pensionato e mi dedicai alla danza. Anni importanti che arricchirono la formazione artistica. Nel saggio finale al Conservatorio ebbi il primo premio e questo mi consentì di entrare all’Opera di Parigi».
Sorprende un po’ questo esordio nella danza.
«Perché? Dopotutto per alcuni anni è stata la mia compagna, la mia abitudine. Per sei mesi lavorai con Roland Petit e poi, avendo bisogno di guadagnare, entrai nella compagnia del maestro de Cuevas. Fu un’esperienza meravigliosa che durò tre anni. La compagnia, sotto l’egida di quest’uomo straordinario, per importanza era succeduta ai balletti russi di Diaghilev. E molte stelle come Hightower, Skibine e un giovane Nureyev vi presero parte. Ma quando arrivò Nureyev io non c’ero già più».
Perché decise di abbandonare un mondo così promettente?
«In Italia la danza era considerata un’arte per pochi eletti, un piccolo mondo chiuso. E anche vagamente pretenzioso. D’altro canto, a Parigi avevo studiato anche teatro ».
E il cinema?
«Arrivò in modo curioso, dopo che vidi La strada di Federico Fellini. Fu un colpo di fulmine. Un incantamento. Io che non sono mai stata sicura di niente fui sicura di volerlo incontrare. Giunsi al suo cospetto con una lettera di presentazione che dimenticai di dargli. Restai a lungo muta. Ma era un silenzio senza imbarazzi. Mostrò interesse alla mia storia. Promise un suo interessamento. Furono le basi per una collaborazione e un’amicizia che sarebbe durata nel tempo. Fino alla fine».
Negli ultimi anni, si dice, fosse un uomo amareggiato.
«Sentiva che le porte del cinema, che per lui erano sempre state spalancate, non si aprivano più. Una sera venne da me a cena. C’era anche Paolo Villaggio. Scoprii, improvvisamente, un uomo malinconico. Paolo era scintillante, provocatorio, surreale. Federico si ritraeva come a giustificare un’assenza. Quando ci fu il commiato, guardandomi si scusò di non essere quel maestro di ironia alla quale ci aveva abituati. Disse: “Scendere a patti con la vita è meno piacevole di quello che può sembrare”. Sono sicura che non si sarebbe ammalato se avesse continuato a lavorare».
Lo ha visto negli ultimi giorni?
«Passò le ultime settimane al Policlinico. Andavo tutti i pomeriggi. Ricordo l’assembramento dei fotografi e dei giornalisti. Federico era in coma. Poi arrivò la notizia della sua morte. È strano. Ma, quella domenica, non c’era nessuno ad accoglierla. Solo io, il suo parrucchiere e un suo aiuto. Ci guardammo e l’aiuto disse: “Forse dovremmo farlo sapere al Vaticano che Fellini è morto. E che suonino le campane di Roma”. Telefonammo. Ci risposero che solo i papi e i sovrani avevano diritto alle campane della città».
Non ha lavorato molto con Fellini.
«Non tantissimo. È prevalsa l’amicizia. Del resto, non ho mai chiesto nulla. Una volta che eravamo assieme mi disse: sai tra i miei sensi di colpa, e sono tanti, c’è anche quello di non averti dato dei ruoli importanti».
Come reagì?
«Mi sembrò di arrossire. Non me lo aspettavo. Gli risposi: tu sei il cinema. Tu decidi. Ed è vero. Ricordo che quando Buñuel mi chiamò per un ruolo nel Fascino discreto della borghesia , Fellini fu il primo a cui lo dissi. Ne fu felice. Stimava tantissimo Buñuel: “È il solo che sia riuscito a trasformare i sogni in realtà”, commentò e aggiunse: “Ma quanti anni ha?”. A Parigi, dove giravamo, riferii a Buñuel l’apprezzamento. “Ah, grande Fellini. Che età ha?”, chiese divertito».
Com’era Buñuel sul set?
«Poteva farti fare qualunque cosa. Ma senza imporla. Solo con il fascino e la delicatezza dei suoi modi. Interpretavo una cameriera che doveva dire di essere stata lasciata dal suo fidanzato. Lui cambiò il copione e aggiunse: perché troppo vecchia. Venne da me e mi disse: non le dispiace sembrare una donna di 70 anni?»
……………………………..


chiara:   SIAMO ARRIVATI A META’ DELL’INTERVISTA—NON SO COME PROSEGUIRE A COPIARLA DA REPUBBLICA ONLINE—
“MA CI PENSERO’ DOMANI!” (la vostra piccola Rossellina O’Hara)

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2 risposte a ore 23:02 DALL’IRRESISTIBILE MAGLIETTA ROSSA DI NEMO—PORTATA COME UNA BANDIERA // SOCIALISTA! // AL I° FESTIVAL DI CULTURA DEMOCRATICA –PD BORDIGHERA…….

  1. nemo scrive:

    Cara Rossellina O’Hara, grazie per avere qui ricordato Milena Vukotic, straordinaria attrice e donna così poco valorizzata in Italia, ma appartenente di diritto alla mia ‘famigliare’ tribù. E grazie anche per avere ‘notato’ la maglietta rossa del socialista d’antan …

    • Chiara Salvini scrive:

      “notare-ricordare-custodire i miei affetti” anche quando “l’altro o gli altri” / “non ci sono più”, perché—— in portoghese si dice:–“vocé està in outra” // pr. vossé està in otra // oppure: notra —(in quella O” dovrebbe balenare un “U”…ma pazienza) che vorrebbe dire sia “ha un altro interesse” “è altrove” “Ha girato pagina” o forse “tutti insieme questi significati———-

      (dicevo: notare-ricordare-custodire) credo sia l’unico mestiere che io abbia fatto “sempre” fin da bambina ecc. —Solo per questo posso rivedere le persone anche dopo 40-50…anni e sentire come le avessi lasciate la sera prima—Insieme alla persona che incontro nuovamente, mi arriva alla testa “una specie di scheda o di radiografia”, certamente e ovviamente “prodotta da me”, ma sempre con certi riscontri di realtà.

      Mi dirai: perché sta pappardella per un generico “grazie” di persona molto educata? Intanto mi auguro che qualcun altro legga cosa scrivo, io stessa penso di avere una testa che funzioni “in modo diverso” che puo’ anche sembrare strano ad altri ( e me lo dicono, ovviamente!)—mi piacerebbe ricevere un commento di +- vicinanza o lontananza //—Ma so bene che non sarai l’unico ad esserti fermato qualche ora fa o letto dal un piccolo veicolo aereo—-credendo di capire…Il tempo, il tempo…-Sul mio diario di ragazzina c’è una poesia del Carducci che si chiama: “Dipserata” —è il poeta che sente disperatamente di dover correre correre sempre di più
      “in quanto inseguito dal cavallo della Morte” che sta sempre per “acciuffarlo. E’ un modo “degno” di annullare la Morte che vedo molto diffuso alla mia età. Con questo blog, io stessa faccio questo. Il “far qualcosa” toglie l’angoscia/depressione.

      Quello che faccio con amici e anche conoscenti “è il mio naturale” che credo sia più apprezzabile da lontano. E “lontano” chiara sta bene. In questi anni, difficile “dire bene”, ma sembra che stia bene solo così- Lontano da tutti “gli intimi”—anche da Nicolo’ perché noi non possiamo quasi mai essere soli con lui, perciò -è ovvio-con lui ci-mi arriva addosso tutta una maniera di educare-

      Per associazione libera, allora risponderò come rispondeva mio padre (e certamente mio nonno) :” Le grazie le fa solo la Madonna. Chiara invece dirà: ” sono già io una madonna e da un momento aspetto che mi tirino su in cielo. Per cui la “gentilezza” è tantissimo gradita perché quasi tutti noi abbiamo un enorme buco nella testa alla voce “gentilezza”, ma credimi, questo mio modo di essere, certamente per una specie di eccesso di allenamento, è diventato naturale e mi dà inoltre piacere, come tanto piacere mi ha dato “la tua svettante maglietta rossa” mentre parlavi. Invece. se si puo’ —ma so che non si puo’ dire—la tua presentazione della senatrice…ecco, anche tu mi sei sembrato come me in altre cose “super allenato” ma “la spontaneità” Io l’ho sentita solo a momenti. A volte è il ricevitore che è appannato, altre volte è l’emittente che è stanco di tanto lavoro come è mettere su un festival così bello. p Comunque è da tempo che ho perso varie occasione buone per ritirarmi dal proscenio dicendoti prima un bel “ciao” “con bacioni”, come diresti tu—chiara—è tutto nero perché se no non leggo—

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