ORE 18:49 ALLA CAMERA IL JOBS ACT E’ APPROVATO CON 316 FAVOREVOLI / 6 CONTRARI DI CUI 2 DEL PD –5 ASTENUTI—260 DEPUTATI SONO USCITI DALL’AULA DI TUTTI I PRINCIPALI PARTITI + 30 DEPUTATI PD CHE COSI’ HANNO ESPRESSO IL LORO DISSENSO, PRIMA DI USCIRE DALL’AULA HANNO FIRMATO UN DOCUMENTO CHE ESPRIME LE RAGIONI DEL LORO DISSENSO // METTENDO IN CHIARO I PRINCIPALI PUNTI IN CUI IL JOBS ACT SI DISCOSTA DALLO STATUTO DEI LAVO

25 dicembre 2014  —18:27

Jobs act: 260 deputati non partecipano

Contro 1 di Fi, 2 del Misto, 2 Pd e 1 di Pi

(ANSA) – ROMA, 25 NOV – Sono in tutto 260, stando ai tabulati del voto in Aula, i deputati che non hanno partecipato al voto finale sul Jobs act. Tutti i partiti di opposizione, dal Movimento 5 Stelle a Sel, da Forza Italia alla Lega, hanno deciso di uscire dall’Aula al momento del voto. Ad essi vanno sommati poi i parlamentari Pd che hanno espresso con il non voto il loro dissenso rispetto al provvedimento. Hanno votato ‘no’, in dissenso dai rispettivi gruppi, sei deputati: 1 di FI, 2 del Misto, 2 del Pd e 1 di PI.

 

 

 

DA REPUBBLICA—25 DICEMBRE 2014

 

 

 


Jobs act, la Camera approva con 316 sì. Ora il ddl passa al Senato
Stefano Fassina e Gianni Cuperlo, esponenti della minoranza Pd

(ansa)
ROMA – Via libera della Camera al ddl delega sul lavoro con 316 sì. Il Jobs act adesso torna all’esame del Senato.

 

L’Aula della Camera riprende l’esame del Jobs act, mentre la minoranza del Pd si spacca tra astensione (cuperliani) e voto contrario (civatiani). E una ‘fronda’ composta da trenta deputati dem firma un documento in cui spiega le ragioni per le quali non prenderà parte al voto.

Terminata la votazione dei 109 ordini del giorno, sono in corso le dichiarazioni prima del voto finale. Il via libera dell’Assemblea di Montecitorio dovrebbe giungere oggi, con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia a suo tempo stabilita dalla conferenza dei capigruppo. Il provvedimento per avere l’ok definitivo, deve tornare in Senato, poiché il testo è stato modificato dalla commissione Lavoro dove sono stati approvati gli emendamenti frutto dell’accordo tra il governo e la minoranza Pd, che puntava a ridimensionare la possibilità di modificare lo Statuto dei lavoratori.

SCHEDA – Tutte le norme del Jobs Act

Le novità. Tra le novità più significative introdotte durante l’esame in Commissione c’è la norma sull’articolo 18 che da una parte esclude per le nuove assunzioni la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici (prevedendo solo un indennizzo “certo e crescente con l’anzianità di servizio”) e dall’altra parte conserva il diritto al reintegro nel posto di lavoro solo per i licenziamenti “nulli e discriminatori” e per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato” che poi verranno definite nei decreti delegati dall’esecutivo.

L’appello all’unità di Orfini. All’interno del Pd, come detto, non si placano i malumori della minoranza. Il presidente del partito, Matteo Orfini, ha fatto un appello in extremis ai ‘dissidenti’: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”, aggiunge.

L’orientamento prevalente all’interno della minoranza sembrerebbe però quello di abbandonare l’Aula della Camera al momento del voto finale in segno di dissenso. Ma c’è anche chi è per votare contro, come Pippo Civati e la sua area, che conta dai 3 ai 5 deputati. Sarebbero comunque una trentina i deputati determinati a ‘distinguersi’ dalla linea ufficiale. Come accennato, proprio questi trenta, tra cui figurano Cuperlo, Bindi, Boccia, Zoggia, D’Attorre, hanno firmato un documento in cui spiegano le ragioni per cui non parteciperanno al voto finale sul Jobs act. “Nonostante le modifiche apportate alla Camera, l’impianto della delega sul lavoro – viene spiegato – non è soddisfacente”.

Cuperlo: “Non ci sono condizioni per il sì”. Anche per Gianni Cuperlo non ci sono le condizioni per il sì: “Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act”, annuncia il deputato dem, che caldeggia l’ipotesi di non esprimere il voto sul testo. “Il punto a cui si è arrivati – ha sottolineato – non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere”.

Il ‘no’ di Fassina. Sulla stessa linea di Cuperlo anche Stefano Fassina: “Per noi – ha affermato – è uno strappo rilevante, perché noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari”.

Bersani: “Nessuna fronda” Sul rischio di una fronda nel Pd, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, invece non ha grandi timori e invita a non drammatizzare il dissenso: voterà il jobs act “per disciplina” anche se non condivide alcune norme. “Non è giusto parlare di fronde e la connessione con i risultati di ieri non c’entra niente”, ha detto. “Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme – ha spiegato – che non convince. Il mio caso è il caso di uno che per la parte che condivide, voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd, da nessuna altra parte”.

L’ottimismo di Guerini. “Detto questo – ha concluso Bersani – credo che ci sia da decidere l’equilibrio tra il buono che è arrivato dalla Commissione e l’impostazione di partenza. Ci saranno forse diverse sensibilità su questo punto che io non drammatizzo. Rispetto tutti”. Dello stesso avviso il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, convinto che “c’è un ampio consenso nel gruppo parlamentare, si sta dimostrando con i voti. Su un emendamento qualche deputato ha votato diversamente, ma senza incidere sul risultato, mi sembrano più posizioni di singoli che di aree politiche”.

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