ORE 16:46 DA NEMO —- L’IMPIEGATO DI BIELLA—DI MICHELE SERRA + intervento di “puntosanremo.it” (una delle “cittadinanza attiva”—credo) —+ UNA FOT–ININA “SOLO PER NEMO”

 

 

 

 

 

E’  una terra fatta di scoscendimenti e di verticalità, che si avvertono subito nell’erosione che il cielo compie sui suoi crinali. E’ una terra frantumata e franante e tuttavia di una solidità rocciosa incredibile. Una terra senza riposo, dove l’ombra più cupa si alterna alla luce più abbagliante… (Francesco Biamonti)

 

 

 

 

michele serra

 

 

 

L’impiegato di Biella


L’uscio è piccolo, chiuso da molti anni. È ritagliato in uno dei tanti vecchi muri di sasso che scendono al mare a ranghi serrati, a formare, come scriveva il grande sanremese Italo Calvino, «il mucchio di case muffite e lichenose della città vecchia». Sopra l’uscio c’è scritto: suore terziarie cappuccine – infermiere. Era un convento di monache. Se ne serviva, un tempo, mezza Sanremo. Le suore andavano a fare le punture, assistevano gli anziani, facevano compagnia alle vedove sole e ai vecchi lagnosi che sono la prima industria della Liguria: l’esercito delle badanti qui in Riviera vale, quanto a occupati, una grande fabbrica, e se ci aggiungi quelle che lavorano in nero, due grandi fabbriche. Conosco bene quell’uscio, il folto giardino retrostante, la villa antica – certamente una donazione ottocentesca – dove stavano le suore. Giusto di fronte c’è il piccolo appartamento che fu dei miei genitori, e sullo stretto terrazzo che fronteggia il convento posso dire di essere cresciuto. Conosco a memoria la porticina, il rumore che faceva ad ogni ora del giorno e della notte chiudendosi con un clunk! alle spalle delle suore sempre di corsa, il muro calcinato dal sole, i due cachi, i fichi, la vite e gli ulivi centenari, il passaggio furtivo dei gatti, i voli delle cince. E soprattutto i profumi, che in Liguria, specie d’estate, possono avere una potenza stupefacente – da sostanza stupefacente, voglio dire. Un tempo c’era un orto fiorente, a sera un giardiniere antico e ritorto veniva a dare acqua, il mio terrazzo è cosí vicino che sentivo il profumo inconfondibile che fanno i pomodori quando li annaffi: essudano certi loro aromi di giungla, misteriosi, sudamericani. È uno dei pochi angoli ancora intatti di Sanremo, una delle città italiane piú scempiate dalla cementificazione. Da anni, ogni volta che torno qui, esco sul terrazzo e mi domando fino a quando. Le suore – le poche rimaste – se ne sono andate. Il giardino è lasciato a se stesso, non potato, inselvatichito. La morte di quel posto è nell’aria, è imminente. Pochi giorni fa, infine, nella piazzetta accanto incontro un vecchio conoscente che mi annuncia, mesto, che è giunta l’ora: «Buttano tutto all’aria. Arrivano le ruspe. Palazzo piú alto di un piano o due. E nel giardino, un silos sotterraneo per fare un po’ di posti macchina. Che fine faranno gli ulivi? E il giardino? Lei che è giornalista, non potrebbe fare qualcosa?» Molto poco, posso fare. Per esempio rileggere un romanzo breve di Calvino, La speculazione edilizia. Scritto verso la fine degli anni Cinquanta, pubblicato nel ’63. Quanto Il barone rampante raccontava la Liguria dei giardini e dei vasti boschi digradanti verso il mare, tanto La speculazione edilizia racconta la Liguria delle seconde case e del turismo di massa. Gli anni travolgenti del boom, la calata dei piemontesi e dei lombardi che vogliono «l’alloggio con vista mare», l’ininterrotta colata di cemento che ricopre, come lava soffocante, uno dei golfi piú belli del mondo. Il protagonista, un sanremese che torna a casa dopo qualche anno, dal finestrino del treno «non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri». Nel libro ci sono anche – ed è un colpo al cuore – le monache, quelle di allora, anche allora sfrattate per fare posto a un condominio. «… le monache, anche le monache, ti ricordi il giardino coi bambú che si vedeva là sotto? Ora guarda che scavo, chissà quanti piani vogliono fa-re con quelle fondamenta!» Nel racconto di Calvino fibrilla, però, la furia vitale dell’epoca, l’avidità ingegnosa di un paese di ex contadini poveri che infine conosce il benessere. Quella metastasi, anche se ha generato bruttezza in quantità mai vista prima, aveva anche l’energia contagiosa di una rinascita economica e sociale, quella del dopoguerra. Ma adesso? Sanremo – come l’Italia – è disseminata di vendesi e affittasi, ma sono come fiori secchi di una piantagione morta. Il mercato è fermo, paralizzato dalla crisi e/o dal terrore della crisi. Gli alloggi sfitti, invenduti, vuoti sono come una sterminata metropoli disseminata lungo il nostro Paese: una metropoli fantasma, senza abitanti, di gran lunga la prima città italiana. Che la macchina del cemento, nelle presenti condizioni socioeconomiche, continui a eruttare metri cubi, non è neanche uno scandalo, è un vero e proprio mistero. Dal 1990 al 2005 (dati WWF) sono stati cementificati tre milioni e mezzo di ettari (Lazio e Abruzzo messi insieme). Mentre la popolazione italiana cresceva del 23 per cento, la cubatura complessiva, come una turbina impazzita, cresceva del 247 per cento. Nello stesso quindicennio, mentre il consumo del suolo non urbanizzato si mangiava, in Italia, il 17 per cento del territorio disponibile (percentuale già altissima) in Liguria il consumo di suolo era del 45 per cento. Una patologia dissolutoria. In che altra maniera definirla? Anche non volendo buttarla in politica (ma chi volesse farlo può leggersi i libri di Marco Preve e Ferruccio Sansa, La colata e Il partito del cemento), la domanda è sempre la stessa: perché questo Paese non riesce a cambiare mentalità, abitudini, cultura sociale, neppure quando cambiano le condizioni oggettive del suo vivere? Neppure quando la crisi chiederebbe di ripensare, di ragionare, di cambiare? Costruire «ancora» per chi, e perché, se il costruito è già largamente eccedente il fabbisogno abitativo? Mio nonno materno Guido Errante era professore di Filologia romanza. Viveva e insegnava a New York. Nel ’54 (gli anni della Speculazione edilizia di Calvino) comperò un appartamento a Sanremo per passare l’estate con la famiglia italiana. Sotto la sua terrazza c’era una ombrosa, elegante villa costruita a fine Ottocento dai russi, la Roussalka, trasformata in albergo. Giardino secolare, magnifico, magnolie, lecci, eucalipti. Seppe che volevano abbatterla, e costruire. Ero bambino, ma lo ricordo uscire furibondo di casa, almeno un paio di volte per estate, dicendo «Vado dal sindaco!» Tornava ore dopo sudato, impotente, abbacchiatissimo. Fece petizioni, raccolse firme, ricordo ancora le discussioni interminabili con amiche e amici, «Ma cosa vuoi, Guido, sono i tempi, mica possiamo vivere ancora come quando in Riviera scendevano solo gli aristocratici russi e i botanici inglesi… Vorrai mica negare all’impiegato di Biella di farsi la casa al mare?» E lui, ilare e feroce: «Ma perché vuoi fare vivere il povero impiegato di Biella in un orribile bilocale affacciato su un cavedio? Dove sta scritto che il brutto è obbligatorio, per gli impiegati di Biella e anche di altrove?» Il nonno morí nel 1966. Lo stesso anno o quello dopo spianarono la Roussalka e il suo giardino (insieme a molte altre ville lungo il corso degli Inglesi) e ci fecero tre atroci condomini bianchi e rosa. Obiettivamente, inappellabilmente atroci: chi volesse ammirarli sappia che sono gli ultimi tre della via Asquasciati, prima dello sbocco in corso Inglesi. È passato mezzo secolo. In attesa di vedere che ne sarà dell’ex convento e dell’ex giardino delle suore terziarie francescane, non mi resta che sperare che «la speculazione edilizia» abbia maturato, nel frattempo, almeno un poco di decenza estetica.

Michele Serra

 

 

 

penso che e’ di questo parli Serra—

http://www.puntosanremo.it/a-proposito-di-piazza-san-bernardo-intervento-di-sanremo-attiva/

 

la storia-questa-è dei frati capuccini di Sanremo // si ferma al 1897—quei nulla che sono curiosi di queste cose–ne sentiranno delle belle!

http://www.cappucciniliguri.it/sanremo.html

 

 

 

questa immagine minuscola è solo per Nemo e per Marisella

http://player.gioconews.it/images25/images/trenoepoca322.jpg


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