ore 21:23 —VI INVITO A LEGGERE — O A RILEGGERE – LA ” PRIMA FUGA ” DA “PRELUDIO E FUGHE ” DI UMBERTO SABA

 

 

 

 

A Delia Benco

squisito fiore di civiltà

questi versi

offro in riconoscenza

d’averli per prima uditi e compresi

 

 

 

 

 

immagini dei genitori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima fuga 

Da Preludio e Fughe

 

La vita, la mia vita, ha la tristezza

del nero magazzino di carbone,

che vedo ancora in questa

strada. Io vedo,

per oltre alle sue porte aperte, il cielo

azzurro e il mare con le antenne.

Nero

come là dentro è il mio cuore; il

cuore

dell’uomo è un antro di castigo. È

bello

il cielo a mezzo la mattina, è bello

il mar che lo riflette, e bello è

anch’esso

il mio cuore: uno specchio a tutti i cuori

viventi. Se nel mio guardo, se

fuori

di lui, non vedo che disperazione,

tenebra, desiderio di morire,

cui lo spavento dell’ignoto a fronte

si pone, tutta la dolcezza a togliere

che quello in sé recherebbe. Le foglie

morte non fanno a me paura, e agli uomini

io penso come a foglie. Oggi i tuoi occhi,

del nero magazzino di carbone,

vedono il cielo e il mare, al contrasto,

più luminosi: pensa che saranno

chiusi da domani. Ed altri s’apriranno,

simili ai miei, simili ai tuoi. La vita,

la tua vita a te cara, è un lungo errore,

(breve, dorato, appena un’illusione!)

e tu lo sconti duramente. Come

in me in questi altri lo sconto: persone,

mansi animali affaticati; intorno

vadano in ozio o per faccende, io sono

in essi, ed essi sono in me e nel giorno

che ci rivela. Pascerti puoi tu

di fole ancora? Io soffro, il mio dolore,

lui solo, esiste. E non un poco il blu

del cielo, e il mare oggi sì unito, e in mare

le antiche vele e le ormeggiate navi,

e il nero magazzino di carbone,

che il quadro, come per caso, incomincia

stupendamente, e quelle più soavi

cose che in te, del dolore al contrasto,

senti – accese delizie – e che non dici?

Troppo temo di perderle; felici

chiamo per questo i non nati. I non nati

non sono, i morti non sono, vi è solo

la vita viva eternamente; il male

che passa e il bene che resta. Il mio bene

passò, come il mio male, ma più in fretta

passò; di lui nulla mi resta. Taci,

empie cose non dire. Anche tu taci,

voce che dalla mia sei nata, voce

d’altri tempi serena; se puoi, taci;

lasciami assomigliare la mia vita

– tetra cosa opprimente – a quella nera

volta, sotto alla quale un uomo siede,

fin che gli termini il giorno, e non vede

l’azzurro mare – oh, quanta in te provavi

nel dir dolcezza – e il cielo che gli è sopra.

 

 

 

Delia Benco, Creature, Trieste 1926

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *