ore 22:12 —MAMMA MIA CHE PAURA! –IL CASO DELL’OPERAIO DELLE FERROVIE STATUNITENSI PHINEAS GAGE (1823-1860)—UN MINI-RACCONTO DI CH.

 

 

 

 

 

Phineas P. Gage (Lebanon, 8 o 9 luglio[1] 1823 – San Francisco21 maggio 1860) è stato un operaio statunitense addetto alla costruzione di ferrovie, noto per un incidente capitatogli nel 1848: sopravvisse alla ferita infertagli da un’asta di metallo che gli trapassò il cranio. (immagini-ricostruzioni, sotto)

A causa dell’esplosione accidentale della polvere da sparo, il ferro di pigiatura che Gage stava usando per compattarla schizzò in aria attraversando la parte anteriore del suo cranio, provocando un grave trauma cranico che interessò lobi frontali del cervello.[3]

 

 

 

Dagherrotipo di Phineas Gage col ferro di pigiatura in mano. È evidente la blefaroptosi all’occhio sinistro

 

 

 

 

teschio di Gage—

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricostruzione CGI del cranio lesionato di Gage                                                                     —

 

 

 

. – 

 

 

 

Miracolosamente sopravvissuto all’incidente, già dopo pochi minuti Gage era di nuovo cosciente e in grado di parlare; i presenti ai fatti raccontano di aver ritrovato l’asta metallica «imbrattata di sangue e cervello».[2] Dopo tre settimane poteva già rialzarsi dal letto e uscire di casa in maniera del tutto autonoma. La sua personalità però aveva subito radicali trasformazioni, al punto che gli amici non lo riconoscevano, in quanto divenuto intrattabile, in preda ad alti e bassi, e incline alla blasfemia. Soprattutto per questi motivi, i vecchi datori di lavoro si rifiutarono di riprenderlo con sé. Ciononostante, egli trovò un nuovo lavoro come conducente di diligenze e visse altri 12 anni dopo l’incidente.

 

 

Nel 2012 un team di ricercatori dell’Università della California di Los Angeles ha per la prima volta simulato l’incidente per analizzare le lesioni della materia bianca che collega tra loro diverse parti del cervello.[2] Non è stato possibile utilizzare il cranio originale dato che, a circa due secoli dall’incidente, la struttura risulta estremamente fragile. Per questo motivo, il team di ricercatori ha utilizzato l’ultima tomografia del cranio, risalente al 2001, presso il Brigham and Women’s Hospital di Boston. Dopo averne migliorato la risoluzione, ne hanno ricavato un modello in 3D. Sul modello hanno potuto ricostruire l’incidente e concludere proponendo l’ipotesi che il cambio di personalità manifestato da Gage sia stato dovuto al danneggiamento di una quantità maggiore al 10% della materia grigia cerebrale che permette all’essere umano di ragionare e ricordare.[2]

 

 

 

CHIARA, mi spiace non ho trovato niente in italiano per vedere insieme le funzione dei lobi frontali.

Non ho niente di particolare da raccontare o da aggiungere:

 

cento anni fa, ho preparato un giovane ragazzo bocciato alla maturità in filosofia per l’esame di settembre. Inutile dire: un bel ragazzo, intelligente, affettuoso e anche brillante.

 

Dopo qualche tempo mi chiama il padre e mi chiede di andare a visitarlo: aveva fatto l’operazione dell’appendicite e l’anestesia-mal calcolata-gli aveva leso le funzioni considerate superiori, tipiche degli umani e anche, per loro, di ultima acquisizione, più facili quindi a perderle tornando indietro per un trauma alla materia cerebrale situata nei lobi frontali.

Il ragazzo, irriconoscibile, era totalmente disinibito e anche difficile da contenere: attraverso gesti più di tutto mi faceva capire di scopare, era un invito, fatto di continuo, ma senza toccarmi, Anche il linguaggio era disorganizzato…insomma, potete immaginare…una pena infinita sopratutto per una vita giovanissima stroncata e i genitori…solo il papà era venuto al colloquio, la madre no, probabilmente tra tanti sentimenti terribili che provava, sentiva anche vergogna. Un affetto già osservato in madri che partoriscono figli down, una vergogna che in alcuni casi porta al rifiuto del bambino. Se il padre è disponibile, il bambino è allevato da lui principalmente.

 

L’ho rivisto ancora, ma ho dovuto dire chiaramente al papà che non potevo fare niente, neanche ” compagnia”, molto meno aiutarlo  a migliorare. All’epoca non avevo nessun strumento neurologico, e forse neanche c’erano allora, strumenti chiari,  per gente comune come noi, la famiglia ed io, in più abitanti in una provincia incolta come Sanremo.

 

Gli anni saranno stati tra il ’67 e il ’70.

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