ore 23:21 —” COSI’ SUL SET DIRIGO MIA MADRE ” : questo è il sogno di tutte le figlie…finalmente ruotano i tavoli! MA QUI SIGNORI MIEI/ SIAMO NELLE ECCELLENZE! CIAO NOTTE O QUAIS

R2 Copertina Club
“Così sul set dirigo mia madre”
L’attrice e regista: ha insolenza per il tempo che passa, per me è un esempio
Valeria Bruni Tedeschi “Grazie a me ha imparato a recitare”

ANAIS GINORI

«MIA MADRE ha una sorta di insolenza rispetto al tempo che passa. Per me è un esempio, un modello». Mamma e figlia inseparabili anche nell’arte. Sono ormai più di dieci anni che Valeria Bruni Tedeschi recita e dirige film con sua madre, Marisa Borini. La prima volta è successo nel 2003 con È più facile per un cammello.. Daalloracisono state altre due pellicole e adesso una pièce: Le lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbinder. Per la signora Borini, che ha passato la vita a suonare il pianoforte, si trattava di un nuovo, azzardato debutto. «È stata bravissima». Anche se non ha nessuna esperienza di recitazione, la «giovane attrice» come dice ironicamente la figlia, è stata molto applaudita dal pubblico parigino. «Non era facile — spiega Valeria — il cinema accetta più facilmente il non attore. Ma lei ha qualcosa di maldestro che comunica allegria. Si è abituata molto velocemente e anzi ci ha preso gusto».
Sempre insieme, reciteranno nel nuovo film di Paolo Virzì. «Anche qui interpreterà mia madre sullo schermo» racconta Bruni Tedeschi che divide la sua carriera tra Italia e Francia. Il festival Rendez-Vous, vetrina del nuovo cinema francese, ha presentato in questi giorni Les Jours Venus di Romain Goupil, in cui l’attrice recita la parte di una banchiera affascinata dalle fantasticherie del regista che ha scritto una sceneggiatura autobiografica: la crisi dei sessant’anni per un artista e militante politico. Anche se affronta il tema della vecchiaia, Goupil riesce a fare i conti con il passato senza pesantezza. «Mi piace la sua ironia, il modo di esprimere la tragicomicità della vita» osserva Valeria che pure ha cercato di usare uno sguardo divertito nelle vicende familiari drammatiche narrate in Un castello in Italia .
LA sua vena umoristica, che ricorda Monica Vitti per la sensualità goffa, ha ridato vita al testo di Fassbinder, nel quale è una stilista capricciosa e tormentata che s’innamora di una donna più giovane. «Far ridere il pubblico con questa pièce non era scontato. Ne sono fiera».
Arriva trafelata nel café davanti ai giardini del Luxembourg con un’aria da ragazzina. Tuta e giaccone, senza trucco. L’estate scorsa ha diretto il suo quarto film, l’adattamento delle Tre sorelle di Cechov nella collezione della Comédie Française prodotta da Arte.
Per la prima volta non recitava, era solo regista. «È un lavoro altrettanto intimo, personale, autobiografico che altri miei film». Dopo lo spettacolo teatrale e il set del film di Virzì a maggio, cercherà di prendersi una pausa. «Per avere il tempo di vivere». Vuole dedicarsi alla scrittura del suo prossimo film che, ancora una volta, ruoterà intorno alla famiglia. «È una piccola rappresentazione del mondo, come un microcosmo nel quale pescare l’ispirazione». Un universo dal quale attinge per gli attori: sua madre o Louis Garrel, l’ex compagno con cui ha adottato nel 2009 la piccola Céline. La famiglia Bruni Tedeschi non ha niente di ordinario: un passato nell’aristocrazia industriale torinese, due genitori melomani e appassionati di arte che hanno invitato tutto il bel mondo nel castello di Castagneto, la fuga in Francia durante gli anni Settanta, una sorella diventata mannequin internazionale e poi first lady di Fran- cia. «I miei genitori non erano preoccupati da quello che avrei scelto come mestiere. Ci hanno sempre lasciato libere, a me e mia sorella. Erano più attenti a mio fratello che non trovava la sua strada. Mio padre era fiero del fatto che studiavo letteratura all’università e quando ho smesso per fare l’attrice ha avuto una piccola delusione, durata poco». Valeria ha fatto l’Ecole des Amandiers a Nanterre con Patrice Chéreau che l’ha lanciata in Hotel de France nel 1987. Ha lavorato molto in Italia, frequentando i set di Bertolucci, Bellocchio, Olmi e Calopresti con cui ha vinto due dei suoi tre David di Donatello come migliore attrice: nel 1996 con La seconda volta e nel 1998 con La parola amore esiste . In Francia ha conquistato il premio César come miglior giovane attrice con Le persone normali non hanno niente di eccezionale di Laurence Ferreira Barbosa ed è stata molto elogiata per la sua partecipazione al film di François Ozon CinquePerDue. Frammenti di vita amorosa .
Dodici anni fa è passata dietro alla macchina da presa, arruolando sua madre. È stata la sua co-sceneggiatrice Noémi Lvosvky a suggerirle di fare un provino a Marisa Borini. «È bastato riprenderla mentre si accendeva una sigaretta per capire che aveva un talento naturale». L’inizio di una lunga collaborazione. Dirigere la propria madre sembra un gesto contro natura. «Si lascia modellare, accetta di essere sgridata. Si vede che è felice di essere sul set o sul palco con me. Ogni tanto fa i capricci, come altre colleghe, perché magari ha la sveglia troppo presto oppure non le lasciano fare la siesta. Ma rispetto alle altre attrici ha un grande pregio: non gliene importa niente della sua immagine». L’apparenza può essere un ostacolo, un peso, dice Valeria, che ha compiuto cinquant’anni l’anno scorso, portati splendidamente. «Mia madre non ha questo fardello». Una forma di saggezza? «Lei non si è mai truccata, non ha mai fatto nulla alla faccia, neanche un massaggio. È una donna che si è sempre sentita bella, senza rifiutare la sua età. Vive ogni fase della vita in modo diverso ma senza stravolgersi. Ha una sorta di insolenza che le permette di fregarsene delle rughe, del tempo che passa. Si sente una ragazzina dentro. E stranamente il suo aspetto fisico segue quest’emozione interiore. Quando arriva sul palcoscenico non diresti mai che è una signora di ottantacinque anni».
Tra madre e figlia c’è un rapporto sincero, diretto. «Tu ormai sei vecchia per avere figli» le dice Marisa in Un castello in Italia nel quale racconta, come già in Attrici, il suo desiderio di maternità. “Vattene, sei una puttana” dice Valeria alla madre nel testo di Fassbinder. Ma è solo finzione. «Ormai abbiamo un rapporto da adulte» racconta l’attrice e regista. «Sono tranquilla con lei. Anzi, abbiamo una relazione più sana e risolta quando lavoriamo che quando stiamo in vacanza». Da collega a collega. «Le faccio leggere le sceneggiature solo alla fine, quando voglio proporle un ruolo». Per Un castello in Italia c’è stato un rapporto più stretto per via delle scene dedicate alla malattia del figlio-fratello Virginio. «Mia madre è venuta più volte al montaggio. Le è servito per avere una certa distanza». Anche in una vicenda intima e dolorosa, Valeria ha saputo trovare un tono leggero. «L’ironia permette di sopportare la vita. Ci sono tante gradazioni: a volte dolce, a volte più dura, fino al cinismo. È un’arma dell’essere umano per combattere la propria angoscia come in alcuni personaggi di Cechov. Se poi togli la corazza, può apparire talvolta la disperazione».
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Rispetto alle altre attrici ha un grande pregio: non le importa niente della sua immagine”
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