ore 19:26 — “Non avrei mai pensato di avere con i miei figli gli stessi comportamenti che da bambino mi hanno fatto soffrire, eppure mi scopro ad agire esattamente in quel modo.” —DANIEL SIEGEL, uno degli autori del libro che presentiamo—notizie, per chi le vuole sotto, ammesso che riesca, miei bimbi!

 

“Non avrei mai pensato di avere con i miei figli gli stessi comportamenti che da bambino mi hanno fatto soffrire, eppure mi scopro ad agire esattamente in quel modo.”

 

chiara: ripeto due volte questa frase perché è il concetto fondamentale.

Tutto è partito da uno

“psicoanalista inglese che lavorava all’aria aperta “

che ha, ad un certo punto, elaborato,

per definire

“la relazione del bambino con le persone che ha di riferimento, “


l’idea o concetto di ” ATTACCAMENTO” (ATTACHMENT)–


Per ora vi mostro solo  questo suo magnifico faccino che tutti, o quasi, vorrebbero per nonno, o per marito  alla nostra età dei NATI QUARANTA (donne e uomini), non vi pare?.  “Tanto ci sarà tempo…ci sara tempo…”

 

JOHN BOWLBY

 

muore nel 1990–nasce nel 1907 come la mamma di chiara

 

Nel proseguire gli studi si scoprì che un certo test, diciamo così, che misurava il tipo di attaccamento (fiducioso, ambivalente…), si poteva applicare agli adulti per capire i loro disagi ma anche perché si capì che—i neo- genitori si relazionavano con il figlio  con un filtro di comprensione la cui griglia era stata costruita nella loro infanzia.

Chiara: tutte le mie parole andrebbero messe tra virgolette—

 

 

questa bella signora,  o meglio, ragazza è  la psicologa (sim-patica)  MARIA BEATRICE NAVA che ho appena scoperto,  non saprei nemmeno come, sì…ero in cerca del libro che lei presenta :

 


 

ERRORI DA NON RIPETERE. COME LA CONOSCENZA DELLA PROPRIA STORIA AIUTA AD ESSERE GENITORI.

di daniel siegel e mary hartzell–


L’editore è Cortina–ma, oltre che nelle biblioteche di alcune regioni organizzate in rete  efficientissima (lombardia, per es.), c’è su Internet con vari sconti.

 

La dottoressa Maria Beatrice ha giustamente evitato la parte neurologica o neurobiologica, se preferite,  perché anche una grande lettrice, che collabora con noi, tipo colonna di avorio istoriato del  blog,  dopo un po’ di pezzi di cervello, nomi mai sentiti, ballanti sfrenatamente davanti agli occhi senza riuscire ad entrare in testa e fare senso, ha chiuso il libro!. …perdendo tutta la saggezza che vi fa scoprire questa bella e umana ragazza: mariabeatrice.

 


 

 

 

ADESSO ASCOLTATE LA DOTT. MARIA BEATRICE:

Questa recensione è probabilmente la più importante tra quelle sinora pubblicate. Non mi riferisco di certo ai contenuti da me espressi, bensì al valore del testo recensito.
Ebbene: “Errori da non ripetere” è certamente uno dei libri più significativi che un genitore possa mai leggere. E meditare.
Si tratta di un testo interessante e dal contenuto articolato; ha obiettivi divulgativi ma non per questo rinuncia ad affrontare argomenti tecnici come l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso centrale (in particolare del cervello), la neurobiologia, le funzioni superiori della mente umana ed altro ancora.
Per una come me che ha scelto di studiare psicologia per comprendere se stessa e gli altri, scoprire che ognuno di noi è come è perché il suo cervello (e di conseguenza la sua mente) si è plasmato e costruito nel tempo in un certo modo, fu – ai tempi dell’università – una scoperta sconvolgente. Leggere questo libro diversi anni dopo aver concluso gli sudi accademici mi ha consentito di recuperare con ordine tutto il discorso legato al “perché siamo come siamo” e, soprattutto, perché fa la differenza relazionarsi con i propri figli in un modo piuttosto che in un altro.
In questo libro ci viene spiegato nel dettaglio l’intero processo che guida lo sviluppo psicologico del bambino a seconda di come viene trattato, accudito, amato, ignorato, maltrattato, consolato ecc. Si parla di attaccamento, apprendimento e memoria, emozioni, gestione delle relazioni, comunicazione, empatia. Molti aspetti della relazione genitori-figli sono affrontati con ordine e chiarezza. Se ne esce con il desiderio di migliorare e migliorarsi, per stare meglio nella propria pelle e per aiutare i propri figli a crescere più sereni e più equilibrati.
È un libro che incoraggia e sprona al cambiamento, fornendo indicazioni pratiche per iniziare l’unico viaggio che non richiede di spostarsi di un millimetro. Ma richiede, a volte, di spostare montagne di emozioni rimosse, negate, nascoste.
Dopo aver letto e meditato (oggi ce l’ho con questa storia del meditare…) le informazioni e le spiegazioni fornite da questo libro, nessuno potrà più nascondersi dietro le tante scuse che a volte si inventano per non avvicinarci alla consapevolezza di cosa significa essere genitori. Perché, diciamocelo francamente, la consapevolezza fa paura; il motivo è presto detto: ha un prezzo alto. Essere consapevoli significa trovarsi ad affrontare le proprie paure, le proprie debolezze e fragilità. Per qualcuno significa anche trovarsi di nuovo faccia a faccia con i traumi del passato. E non è che tutti abbiano proprio voglia di aprire il proprio vaso di Pandora, magari dopo aver passato 20 o 30 anni della propria vita a cercare di eliminarne il ricordo.
Eppure, il leit motiv di questo libro è questo: “le esperienze dei primi anni di vita non determinano il nostro destino; se abbiamo avuto un’infanzia problematica ma siamo comunque riusciti a capire il senso di quelle difficili esperienze, non dobbiamo per forza ricreare interazioni negative analoghe nel rapporto con i nostri bambini” (pag. 5).
In poche parole: LA STORIA NON è DESTINO.
Daniel Siegel – uno degli autori – ha scritto anche un altro libro la cui lettura può integrare quella di “Errori da non ripetere”; si tratta de “La mente relazionale”. Sempre sulla stessa linea d’onda, con quest’altro volume è possibile approfondire molti argomenti e farsi un’idea più completa e dettagliata di cos’è e come funziona il nostro cervello. E, posto che ciò che siamo e che pensiamo, sentiamo, facciamo… dipende direttamente dal nostro cervello, potete capire quanto possa essere utile conoscerne meglio i meccanismi di funzionamento.
Ed ecco la lettura condivisa. Vi avverto: questa volta è particolarmente corposa!
“Diventare genitori rappresenta una grande opportunità di crescere come individui” (pag. 5)
“Non possiamo cambiare ciò che ci è successo da bambini; possiamo però cambiare il nostro modo di pensare a quegli eventi” (pag. 7). “Ciò che è veramente importante per i nostri figli non è dunque quanto è successo a noi nel passato, ma il modo in cui siamo riusciti a elaborare e comprendere tali avvenimenti. L’opportunità di crescere e cambiare ci è data durante tutto il corso della nostra esistenza” (pag. 9)
“La consapevolezza è alla base della nostra capacità di costruire relazioni significative” (pag. 10)
“Essere genitori consapevoli vuol dire (inoltre) agire intenzionalmente, cioè essere capaci di scegliere comportamenti che rispondano alle esigenze emozionali dei nostri figli” (pag. 11)
“(Ma) i bambini hanno bisogno di sentirsi amati e rispettati, non gestiti” (pag. 14)
“Anche se animati dall’amore e dalle migliori intenzioni, possiamo essere pervasi da difese create nel passato che rendono per noi intollerabili alcune esperienze dei nostri bambini” (pag. 23). “Normali aspetti della vita dei nostri bambini, come le emozioni, l’impotenza e la vulnerabilità, la dipendenza nei nostri confronti, possono venire percepiti come minacce e diventare per noi intollerabili” (pag. 27).
Si fa strada in me il pensiero relativo ai vari metodi per far diventare i bambini “indipendenti e autonomi il prima possibile”. Il che significa negare la loro stessa natura. Il problema allora è il bambino, il metodo o il passato del genitore?
L’autore racconta un episodio della sua vita di neopapà e conclude: “La comprensione del mio passato mi rendeva libero di accettare i miei sentimenti di vulnerabilità e il pianto di mio figlio; libero di imparare a consolarlo e a essere un padre” (pag. 28)
“Spesso cerchiamo di controllare le emozioni e i comportamenti dei nostri bambini, ignorando il fatto che in realtà sono le nostre esperienze interne e non i loro comportamenti a generare la nostra irritazione” (pag. 29)
“La crescita personale e la maggiore conoscenza di sé che derivano dallo sviluppo di narrazioni autobiografiche sempre più articolate e coerenti possono incrementare la capacità di percepire la mente propria e altrui e la sensibilità nei confronti delle richieste e delle esigenze dei propri figli” (pag. 48)
“(…) è importante cercare di entrare in sintonia, o in risonanza, con le esperienze emozionali dei nostri figli prima di cercare di modificarne i comportamenti” (pag. 56)
“Il fatto di accettare il bisogno di entrare in sintonia con gli altri spesso richiede il doloroso riconoscimento di quanto noi tutti siamo fragili e vulnerabili” (pag. 61)
“Quando riusciamo a comunicare con i nostri bambini secondo modalità che creano un senso di unione e sintonia, li aiutiamo a creare una storia coerente e integrata della loro vita” (pag. 65)
“All’interno della relazione genitore-figlio si alternano ciclicamente esigenze di unione e di separazione; è importante che i genitori imparino a riconoscere i momenti in cui i bambini hanno bisogno di sentirsi in relazione con gli altri e i momenti in cui hanno invece bisogno di essere lasciati soli. Essere in sintonia con il proprio bambino vuol dire anche essere capaci di rispettare i suoi ritmi, le oscillazioni naturali che lo portano ad avere necessità di coinvolgimento o di solitudine. Non siamo fatti per essere continuamente in relazione con gli altri; per poter stabilire relazioni interpersonali fondate su empatia e sintonia dobbiamo saper rispettare i ritmi con cui si alternano le esigenze di unione e di allontanamento” (pag. 66)
“La riflessione su noi stessi e la comprensione dei nostri processi mentali ci permettono di reagire ai comportamenti dei nostri figli con un più ampio repertorio di risposte; la consapevolezza genera la possibilità di scegliere” (corsivo mio, pag. 67)
“Quando un bambino non si sente compreso, piccole cose possono diventare grandi problemi” (pag. 79). E come è vero!!
“Accumulando progressivamente esperienze positive di relazione con noi, basate su comunicazioni contingenti e su importanti momenti di riparazione interattiva, mentre crescono, i nostri figli possono sviluppare un senso coerente di se stessi” (pag. 81)
“Quando un genitore capisce che può permettere al figlio di avere ed esprimere desideri senza necessariamente doverli soddisfare, diventa libero di entrare in relazione con il bambino secondo modalità che non richiedono la negazione di tali desideri ed esperienze” (pag. 82)
“Possiamo dire ai nostri figli se ci sentiamo turbati, arrabbiati, delusi, eccitati, orgogliosi o felici; i bambini hanno bisogno di sapere che anche noi proviamo emozioni” (pag. 85)
“Quando con le nostre risposte cerchiamo di trovare rapide soluzioni a una data situazione, perdiamo l’opportunità di stabilire con i nostri figli una comunicazione collaborativa” (pag. 88). Invece di proporre quelle che a voi sembrano facili soluzioni, cercate di entrare in sintonia con i vostri figli e di capire i loro punti di vista” (pag. 89)
“Diventare consapevoli sia dei processi sia dei contenuti delle proprie comunicazioni interpersonali è parte fondamentale di una coerente conoscenza di sé” (pag. 90)
“Una netta distinzione tra natura (geni) e cultura (esperienze) non ha quindi senso: lo sviluppo di ciò che siamo può essere visto come il prodotto degli effetti che le esperienze esercitano sull’espressione del nostro potenziale genetico” (pag. 98)
“Non è mai troppo tardi per cercare di indurre cambiamenti positivi nella vita di un bambino” (pag. 98)
“L’attaccamento sembra poter cambiare nel corso della vita; se con il passare del tempo la relazione genitore-figlio cambia, può cambiare anche l’attaccamento del bambino” (pag. 107)
“L’importante concetto che geni ed esperienze interagiscono nel plasmare lo sviluppo è illustrato dai risultati ottenuti in recenti ricerche condotte su scimmie rhesus (le stesse grazie alla quali alcuni meccanismi di base dell’attaccamento sono stati rilevati e compresi – nota mia) dal primatologo Stephen Suomi e dai suoi collaboratori. Questi studi mostrano che piccoli di scimmia cresciuti in assenza di cure materne (scimmie “cresciute dai pari”) hanno comportamenti anormali, specialmente se presentano una determinata variante di un gene specifico. Per i piccoli con tale variante la presenza della madre agisce come una specie di “tampone”, che impedisce l’espressione del gene e la comparsa delle anomalie comportamentali; l’assenza di cure permette invece l’attivazione del gene e l’insorgenza degli effetti negativi conseguenti, che coinvolgono il metabolismo della serotonina e si manifestano con comportamenti sociali anormali” (pag. 110).
Questo passaggio evoca in me ricordi e considerazioni. Innanzitutto mi fa ricordare quanto ascoltato nel corso di un convegno cui ero stata invitata a tenere una breve relazione sulla continuità dell’attaccamento tra la vita prenatale e quella postnatale. Uno degli altri relatori mi aveva colpito molto, arrivando ad affermare che i genitori sono “ingegneri genetici dei propri figli”. Beh, non stava esagerando…
Mi viene poi da pensare che più la ricerca scientifica procederà, più potremo scoprire meccanismi ad oggi ignoti, legati a questo “effetto tampone” cui provvedono le cure materne nei primati e anche nell’uomo. E quante cose capiremo!
Quanti di noi avrebbero potuto essere diversi se avessero o non avessero sperimentato ciò che hanno invece sperimentato nella prima infanzia?
Penso anche e soprattutto agli esiti evolutivi più gravi e devastanti, che avvicinavo durante il tirocinio postlauream (eh, sì! Ai miei tempi il tirocinio era ancora postlauream…): adolescenti con patologie psichiatriche (specialmente schizofrenia) orfani di madre dalla più tenera età oppure abbandonati alla nascita dalla stessa ed allevati da padri fragili e parimenti malati, che nulla avevano potuto tamponare, anzi…
Penso ai padri maltrattanti e abusanti, ex bambini maltrattati e abusati. Una catena di dolore che passa di generazione in generazione finché trova qualcuno che cerca, finalmente, di arrestarla.
“Un cervello ben integrato e organizzato crea una mente coerente e adattiva” (pag. 112)
“Nel loro complesso queste conoscenze scientifiche indicano che in effetti ciò che i genitori fanno è importante” (pag. 112)
“C’è sempre speranza e possibilità di cambiamento” (pag. 118)
“Spesso il passo più difficile è riuscire a riconoscere la presenza in noi di elementi non risolti significativi e spaventosi; quando siamo in grado di accettare deliberatamente la sfida che la conoscenza della verità comporta, siamo anche pronti a intraprendere il cammino verso il cambiamento e a diventare genitori più simili a quelli che vorremmo essere” (pag. 133)
“(…) che cosa significhi davvero l’espressione ‘perdere la testa’: non avere accesso alle aree del cervello coinvolte nelle scelte razionali e ponderate e che consentono un pensiero chiaro e riflessivo” (pag. 155)
“La trasmissione di questioni non risolte da una generazione all’altra produce e perpetua sofferenze emozionali non necessarie” (pag. 155)
“Ciò che noi possiamo considerare un dettaglio insignificante può essere molto importante per un bambino” (pag. 158)
“I bambini hanno bisogno di tempo per elaborare le loro sensazioni e per dare un senso alle loro esperienze” (pag. 158)
“Possiamo quindi cercare di sviluppare una più indulgente comprensione di noi stessi e ristabilire le connessioni interne con le funzioni integrative superiori e le connessioni esterne con i bambini che stanno aspettando il nostro ritorno” (pag. 173).
Immagino non sia una frase di immediata comprensibilità per chi non ha letto il libro. L’ho comunque voluta inserire perché l’immagine del bambino che attende il ritorno del genitore, lontano e assente perché perso nei meandri del suo dolore, delle sue difese, del suo passato, delle sue paure… mi sembrava eccezionalmente esplicativa e toccante.
“Per il nostro benessere emozionale dipendiamo gli uni dagli altri” (pag. 176)
“È importante che ci prendiamo la responsabilità delle nostre azioni, ma non dobbiamo condannare noi stessi se non riusciamo a comportarci nel modo ideale o se non siamo ancora arrivati ad un determinato livello nel nostro processo di crescita” (pag. 176). “Stiamo tutti continuando ad imparare, nel corso della nostra intera esistenza” (pag. 177)
“La richiesta di attenzione da parte dei figli può a volte essere vista come intrusiva da genitori che vogliono avere un po’ di tempo da dedicare a se stessi. Tuttavia, soprattutto quando il bambino è piccolo, è necessario concedergli anche molto tempo, prima che diventi capace di soddisfare da solo i propri bisogni. In genere i bambini più grandi sono in grado di capire e tollerare meglio le esigenze di autonomia dei genitori, perché hanno un’idea più chiara di quelli che per loro stessi sono i confini tra bisogno di interazione e di solitudine” (pag. 178)
“Le regole funzionano meglio quando le stabiliamo prima di arrabbiarci” (pag. 182)
“Bambini con tempermaneti diversi hanno modi differenti di manifestare stati di rabbia o di prostrazione. Alcuni hanno bisogno id molto tempo per recuperare, altri si riprendono in fretta; in ogni caso in genere non possono farlo finché il genitore non ha in qualche modo espresso il suo desiderio di ripristinare il contatto con loro” (pag. 188)
“Il carattere si forma dai processi con cui le esperienze sociali plasmano elementi costituzionali innati” (pag. 207)
“Per riuscire a metterci nei panni di un altro dobbiamo esser e consapevoli delle nostre stesse esperienze interne” (pag. 209)
“Se ci concentriamo unicamente sui loro comportamenti (dei nostri figli, nota mia), senza considerare i processi mentali che li motivano, spesso otteniamo solo risultati a breve termine e non li aiutiamo a conoscere se stessi. (…) Pensare a ciò che è importante per la maturazione a lungo termine del carattere dei nostri figli può contribuire a renderci più determinati e consapevoli quando operiamo una scelta fra le possibili risposte ai loro comportamenti” (pag. 217)
“Nelle famiglie in cui sono presenti alti livelli di emozioni negative o di controllo dei comportamenti dei figli da parte dei genitori, i bambini sviluppano una minore capacità di leggere la mente” (pag. 218).
Per quanto riguarda la Teoria della mente (TOM), che è la capacità di percepire gli stati d’animo e i pensieri delle altre persone, anche se diversi dai nostri, si veda il post “La morte della compassione” in questo blog
“Essere genitori significa avere un’opportunità di apprendimento che dura tutta la vita. (…)Non è mai troppo tardi per incominciare. (…) Se siamo in grado di dare un senso alle esperienze della nostra infanzia possiamo quindi essere buoni genitori anche se i nostri non lo sono stati” (pag. 231)  

Fate conoscere questo libro a più persone possibile: può salvare tanti bambini da un presente e un futuro di dolore.
Un saluto a tutti,
Maria Beatrice
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