ore 18:35 —— DA LIMES DEL NOV. 2013 …——-” CON AUTENTICO STUPORE ” —E INTERESSE DI SAPERE QUALCOSA DELLA TURCHIA…”DAVVERO “—PERCHE’ TANTE STUPIDAGGINI SUI NOSTRI MEDIA? IGNORANZA—SCHIENA DRITTA PER RICERCHE—LUCRO NON NE VEDO…

 

 

La Turchia riscopre l’identità degli armeni

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[carta di Laura Canali]

18/11/2013

Il delicato processo di recupero della memoria storica avviato da Erdoğan nel 2002 riguarda anche i discendenti della comunità massacrata nel 1915. Per Ankara la parola “genocidio” è però ancora tabù.

di Giuseppe Mancini

Armeni cristiani, armeni musulmani. Una conferenza all’università del Bosforo di Istanbul, tenutasi dal 2 al 4 novembre, ha gettato luce, per la prima volta, su di una vicenda che in Turchia, per decenni, è stata solo sussurrata e considerata con sospetto: le sorti di chi scampò ai massacri di massa del 1915 – un genocidio, per larga parte della comunità degli storici – grazie alla conversione spontanea o forzata all’islam. Le stime parlano di 100 mila persone almeno; i discendenti, molti di più: qualcuno fa addirittura la cifra di 2 milioni, in Turchia soprattutto orientale e nella diaspora.

Ancor più delle altre comunità non musulmane, gli armeni – i sopravvissuti, “i resti della spada” – hanno conosciuto nella Turchia repubblicana discriminazioni, emarginazione e ostilità aperta da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Per i convertiti, solo silenzio: un silenzio imbarazzato, da parte di tutti.

Un silenzio rotto nel 2004 con la pubblicazione nel settimanale turco-armeno Agos di un articolo sulle origini armene di Sabiha Gökçen, celebre aviatrice – un’eroina nazionale – figlia adottiva di Atatürk, e del libro di Fethiye Çetin, Anneannem (Mia nonna), biografia di chi le rivelò prima di morire la sua conversione imposta, da bambina.

“Perché 90 anni di silenzio?” è stata una delle domande di fondo della conferenza di Istanbul, a cui hanno partecipato studiosi ma anche testimoni indiretti: i nipoti degli scampati del 1915, armeni “islamizzati” che hanno lungamente taciuto sulla propria identità o che l’hanno scoperta molto di recente. Un libro successivo dell’avvocato Çetin – Torunlar (Nipoti), scritto nel 2009 con la studiosa Ayşe Altınay Gül – ne ha raccolto le traumatizzanti storie, famigliari e personali.

Le risposte emerse, tra documenti ed emozioni: paura, per le probabili ritorsioni e per le vendette legate anche alle terre violentemente espropriate; vergogna, per essere sopravvissuti attraverso l’assimilazione, per aver tradito la propria identità facendosi passare per curdi, arabi, turchi.

Eppure, sono in minoranza quelli che riscoprono l’identità armena e tornano formalmente cristiani; i più rimangono convintamente musulmani e vivono il duplice rigetto da parte di chi non li considera né pienamente turchi né pienamente armeni, compreso il Patriarcato di Istanbul. Del resto, già in epoca ottomana – nonostante la presenza di piccole comunità di armeni convertiti da secoli, come gli Hemşinli del mar Nero – l’identità armena si è fortemente costituita attorno alla fede e alla chiesa: “armeni musulmani” è nel comune sentire un ossimoro.

I sussurri del 2004 sono diventati urla 3 anni dopo: l’assassinio del direttore di Agos Hrant Dink il 19 gennaio 2007 – un assassinio politico, di matrice ultra-nazionalista – ha suscitato commozione in tutto il paese e provocato rivendicazioni di pari e completa dignità di cittadini.

La fondazione nata col suo nome, animata da sua moglie Rakel, ha immediatamente avviato un vasto programma di attività culturali, conferenze, pubblicazioni, ricerche di storia orale, programmi di scambi turco-armeni, recupero di archivi, premi. Gli armeni di Turchia, i 50 mila ufficialmente riconosciuti come tali dalle istituzioni religiose e politiche e i molto più numerosi “islamizzati”, hanno acquisito visibilità mediatica e rilevanza politica.

I tabù hanno cominciato a cadere, uno a uno. La stessa Rakel Dink, in apertura della conferenza alla Boğaziçi, ha ricordato come nel 2005 in quella stessa università pubblica le pressioni governative avevano impedito di tenerne un’altra, sul genocidio del 1915. Oggi la data d’inizio dei massacri – il 24 aprile – viene apertamente commemorata, a Istanbul e in altre città; su un tema così scomodo vengono pubblicati libri, organizzati dibattiti televisivi, allestite mostre fotografiche. Ci sono resistenze, ma vanno affievolendosi.

Come i rum greco-ortodossi, anche gli armeni hanno tratto concreto profitto dalla politica di recupero della memoria storica avviata dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) di Erdoğan, al potere dal 2002.

Sono state restituite alcune proprietà confiscate, sono state restaurate chiese: ad esempio quella dell’isola di Akhtamar nel lago di Van, dove nel 2010 si è celebrata messa per la prima volta dal 1915; la gigantesca Surp Giragos a Diyarbakır, che accoglierà anche un museo degli armeni della città; Surp Vortvots Vorodman a Istanbul, che è inoltre utilizzata come centro culturale. Vi vengono periodicamente battezzati anche degli adulti, armeni inconsapevoli che riabbracciano la cristianità e la comunità.

Lo Stato turco, tuttavia, continua a rigettare l’interpretazione che vede negli eventi del 1915 un genocidio; il centenario è alle porte, e i passi in avanti degli ultimi anni rischiano di essere travolti da una guerra della memoria.

 

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