ore 23:06 OGGI DA NEMO 2015 (dopo un Nemo 2012…) QUESTO GALIMBERTI SU “RACCONTARE L’AMORE” DI ENZO BIANCHI-(COMUNITA’ DI BOVES) –RIZZOLI —chiara avrebbe un commento impo per lei, ma l’è sciupàa !

 

 

R2 Cultura
Rileggere le parabole per capire davvero che il prossimo siamo noi
Nel suo nuovo libro “Raccontare l’amore” Enzo Bianchi sceglie quattro storie dal Vangelo che sintetizzano l’insegnamento cristiano
UMBERTO GALIMBERTI

IL NUOVO libro di Enzo Bianchi ( Raccontare l’amore. Parabole di uomini e donne , Rizzoli) contiene un’idea fulminante, perché inaudita nella teologia, nella catechesi e nella pastorale con cui il Magistero ha finora spiegato il messaggio evangelico dell’amore per il prossimo. Per Enzo Bianchi, infatti, il prossimo non è chi incontro, ma sono io che “mi faccio prossimo” a chi incontro nell’indigenza, la quale, non solo nella povertà, ma in molte altre forme caratterizza la condizione umana.
Un sacerdote, scendendo da Gerusalemme a Gerico – racconta il Vangelo di Luca (10, 30-32) – quando vide sul suo percorso un uomo che era stato derubato dai banditi, e poi percosso e lasciato mezzo morto, passò oltre dalla parte opposta, lo stesso fece un levita che passò qualche tempo dopo, mentre il samaritano, che apparteneva alla tribù di Samaria, che i sacerdoti e i leviti consideravano eretica e di frequente fu da loro combattuta, “si fece prossimo” all’uomo che giaceva in terra e, senza neppure conoscerlo, gli fasciò le ferite, lo caricò sul proprio giumento e lo portò in una locanda, pregando l’albergatore di prendersi cura di lui e, dopo averlo compensato con due danari, gli disse che, se non fossero bastati, sarebbe stato rimborsato al suo ritorno.
Il prossimo, allora, non è chi ci sta davanti e magari neppure ci chiede soccorso. Il prossimo siamo noi quando “ci facciamo prossimi” alle condizioni di indigenza che sulla via possiamo incontrare. Ma allora, per incontrare il prossimo è necessario un decentramento dal proprio io, così da offrire all’altro quel soccorso che desidereremmo ricevere nelle sue condizioni. Questo significa: “Ama il prossimo tuo come te stesso” che non è un comandamento, ma la condizione per potersi dire cristiani, cioè seguaci del messaggio di Cristo, per il quale il prossimo non è definito da una condizione o da una appartenenza, ma dalla nostra decisione di “renderci prossimi” all’altro, perché noi e l’altro abbiamo in comune quell’elemento essenziale che è l’appartenenza alla stessa umanità.
Solo così comprendiamo l’essenza del cristianesimo che ha il suo centro nell’incarnazione, ossia in Dio che si fa uomo per salvare l’umanità. E nel giorno del Giudizio, come ci ricorda Paolo di Tarso nella Lettera ai Galati ( 3, 28): “Non c’è più né giudeo né greco” e noi potremmo aggiungere: né ebreo, né musulmano, né buddista, né taoista, né laico, né agnostico, né ateo, perché saremo giudicati solo se ci “ci saremo fatti prossimo” dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, se avremo accolto gli stranieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e i carcerati ( Vangelo di Matteo 25, 35-36). Se ne deduce che la salvezza è per tutti a prescindere dalla diversità di religione e di cultura, come lo è per il samaritano considerato “infedele” dal giudeo. Questo è il messaggio cardine dell’insegnamento di Gesù che non parla “ex cathedra”, ma per “parabole” che, come ci ricorda Enzo Bianchi, vuol dire “parlare accanto ( parábállo )”, parlare vicino, parlare nella prossimità, “facendoci prossimo”. Io che non sono cristiano, perché penso come gli antichi Greci che non credevano in una vita ultraterrena, e perciò chiamavano l’uomo “il mortale”, prendendo sul serio la morte e diffidando di quelle che loro chiamavano “cieche speranze ( týphlàs elpídas)”, mi sento vicino a quei cristiani che “si fanno prossimo” e quindi non mi negano quello che loro chiamano “salvezza” e io chiamo “accoglienza”, per la comune umanità che ci affratella e per la quale il loro salvatore si è fatto uomo. Monito per l’Europa, che con mille espedienti cerca di lasciare ai margini lo straniero. Eppur si dice “cristiana”. Il libro di Enzo Bianchi è dedicato a Papa Francesco che in autunno aprirà il “Giubileo della misericordia”, che forse trova la sua attuazione non tanto nelle indulgenze, quanto nel “farsi prossimo” dei cristiani e anche di quanti cristiani non sono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
*
IL LIBRO
Raccontare l’amore. Parabole di uomini e donne
di Enzo Bianchi (Rizzoli pagg. 180, euro 16)
Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a ore 23:06 OGGI DA NEMO 2015 (dopo un Nemo 2012…) QUESTO GALIMBERTI SU “RACCONTARE L’AMORE” DI ENZO BIANCHI-(COMUNITA’ DI BOVES) –RIZZOLI —chiara avrebbe un commento impo per lei, ma l’è sciupàa !

  1. Donatella scrive:

    In parole molto terra- terra direi che farsi prossimo è mettersi nei panni dell’altro, immedesimarsi nella condizione che l’altro in quel momento vive. A questo punto è molto difficile non pensare che potremmo essere noi nella sua situazione.

Rispondi a Donatella Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *