23:48 — LA GUERRA DEI ROBOT—FRA 50 ANNI ? — E QUEI MISSILI AUTOMI—CHE RISPARMIANO SOLDATI AMERICANI …O ALTRI —MA CHE UCCIDONO TANTA GENTE CHE DI GUERRA NON NE VORREBBE SAPERE MAI PIU’ ?

MONDO
Tra 35 anni il campo di battaglia sarà popolato da automi che non solo combatteranno, ma guideranno le offensive, e da “umani aumentati” È lo scenario previsto dal Pentagono. Che però sorvola sul rischio hacker
2050
La guerra dei robot
MAURIZIO RICCI

LA FANTASIA ha i suoi limiti. Al cinema, abbiamo già visto tutto: superuomini, megarobot, sciami di droni, eserciti di automi che si contendono il pianeta. Certo, nessun regista — finora — ha avuto tanto cattivo gusto (o i soldi per effetti speciali) da mettere insieme proprio tutto:
Transformers , Terminator , Captain America, X-Men , La guerra dei robot (italiano, 1978) e i droni impegnati in una sorta di nuoto sincronizzato al ritmo della colonna sonora dei film di James Bond. Infatti, “2050: la guerra dei robot” non è un film. È qualcosa di molto più inquietante. Immaginate un giorno dello scorso marzo e 29 persone che si ritrovano in una sala di un hotel del Maryland, su invito del Pentagono. Sono militari esperti di cyberdifesa o di management , docenti universitari che si occupano di computer, intelligenza artificiale e bioinformatica, tecnici di psicologia bellica e propaganda. Ognuno con la sua presentazione PowerPoint e un mucchio di idee. Ne discutono a lungo, per due giorni. Il risultato è un rapporto: “Visualizzare il campo di battaglia tattico nell’anno 2050”. È un workshop, sono idee in libertà, il Pentagono si guarda bene dallo sposarne ufficialmente anche solo una. Ma quando, nel palazzo che ospita il vertice militare della unica superpotenza mondiale circola un rapporto che discute seriamente di umani con superpoteri, non è il momento di andare al cinema.
Il campo di battaglia del 2050 avrà assai poco a che vedere con quelli che conosciamo in questi giorni, sui campi di grano dell’Ucraina o sulle piane aride della Siria o dell’Iraq. In buona sostanza, non è più un posto per noi: i soldati normali saranno pochi e mal sopportati. E capiranno poco o nulla di quello che avviene. Il terreno, infatti, sarà lastricato di sensori di ogni genere e tipo, che convoglieranno montagne inimmaginabili di informazioni, che andranno processate e tradotte in azione a una velocità vertiginosa. Il ritmo della battaglia sarà il primo elemento che contraddistingue la guerra di domani da quella di oggi: attacchi, contrattacchi, diversioni, avanzate, svolte strategiche si succederanno in un baleno, ogni mossa giustificata da un megaflusso di informazioni e, successivamente, attuata con un altro torrente di informazioni, impossibili da gestire per un soldato o un ufficiale di oggi. È, infatti, la guerra dei robot, tutto il ventaglio degli automi: dallo sciame di robot piccoli come insetti, capaci di muoversi come un’unica entità o in perfetto coordinamento ai grandi trasporti; dal robot pallottola a quello destinato a fare da scudo alla popolazione civile; dai nanorobot che si collocano sopra o dentro un obiettivo — un altro robot o un comandante avversario — per spiarne stato e reazioni a quelli che devono proiettare un campo di forza che respinga i colpi del nemico.
Decine di film di fantascienza ci avevano già anticipato questi robot soldato. Quello che, per lo più, non ci avevano annunciato sono i robot-comandante. Toccherà, infatti, a quelli che il rapporto chiama “agenti autonomi” «filtrare le informazioni, verificarle, decidere chi deve sapere cosa, distribuire gli ordini specifici alle singole unità, stabilire cosa devono cercare i sensori e modificare di conseguenza i piani di battaglia ». È un passaggio cruciale che contraddice la dottrina ufficiale del Pentagono, ma che i partecipanti al workshop ritengono inevitabile. La guerra del 2050 non è soltanto la guerra che fanno i robot. È, soprattutto, la guerra che decidono i robot. Oggi, un drone non vola se non c’è un pilota umano — a terra — a guidarlo. Domani, avverte il rapporto, non ci sarà tempo e modo per farlo. E, tanto meno, per decidere le operazioni. Il ritmo della battaglia accelererà al di là delle possibilità umane. Nel gergo del rapporto, non abbiamo «sufficienti capacità di processare le informazioni e una banda cognitiva abbastanza larga». L’uomo si limiterà ad assistere. In altre parole, non sarà necessario un esplicito via libera umano per attuare una decisione. «Gli umani potranno solo osservare i comportamenti che si sviluppano (e, in alcuni casi, le decisioni che sono state prese e le ragioni che le hanno determinate), ma potranno intervenire solo dopo il fatto o in anticipazione di comportamenti previsti», in sostanza per bloccare uno sviluppo che ci si aspet- ta. Per dirla tutta, la battaglia ce la racconteranno il giorno dopo i robot.
Ma dove non c’è posto per l’uomo (normale), ce n’è uno, in prima fila, per Nembo Kid. O Superman. O Wolverine. O Iron Man. E magari Terminator. L’altro protagonista, insieme ai robot, in questa visione del campo di battaglia 2050 è infatti il superuomo. Nel workshop ne parlavano come di “umani aumentati”. Nel senso delle loro capacità fisiche e sensoriali. Esoscheletro a proteggere, ma, soprattutto, a moltiplicare la potenza fisica. Impianti vari, di cui il cinema ci ha già dato un campionario. Superudito, vista telescopica, infrarossi. Nel workshop qualcuno ha anche azzardato l’ipotesi di schermi di invisibilità. Cruciale, certamente, la moltiplicazione delle capacità cognitive: un computer nel cervello o, forse, un computer per cervello. Mettete insieme iWatch e Google Glass, frullate e moltiplicate per cento. «La presenza di superumani sul campo di battaglia 2050 è molto probabile — dice il rapporto — perché le varie componenti che rendono possibile questo sviluppo già esistono e stanno conoscendo una rapida evoluzione». La differenza fra cyborg e superuomo, in questa rappresentazione, è labile, ma saranno questi “umani potenziati” gli interlocutori dei robot nel corso della battaglia. Le doti da superuomo sono, anzi, la precondizione perché uomo e robot possano essere davvero partner in guerra. Ma non pensate a plotoni misti, robot e superumani. Gli uomini-Superman saranno assai costosi, molto rari, molto preziosi. Interi stormi di robot o specifici campi di forza dovranno essere destinati a proteggerli dal nemico.
Ma come si diventa Superman? Il rapporto del workshop sorvola sui delicati problemi morali e politici che l’ipotesi degli “umani aumentati” comporta. Le modifiche apportate ai supersoldati, sembra di capire, non potrebbero non essere permanenti. Uno degli strumenti considerati è, in effetti, l’ingegneria genetica. Con gli effetti dirompenti che avrebbe, nella nostra società, convivere con una stirpe di superuomini. Ma questo, come è stato detto in decine di film, non è problema da soldati. Che, invece, ne hanno un altro, ben concreto. Nel clangore dello scontro fra robot, il sibilare dei missili, il ronzio dei sensori spia, si rischia di perdere di vista che il grosso del conflitto è assolutamente silenzioso e si svolge altrove, lontano dai campi di battaglia. È la cyberguerra degli hacker per sabotare l’armata robot nemica, depistare i sensori, confondere i comandanti, sviare gli ordini, paralizzare i superuomini. La guerra 2050 la decideranno i robot, la combatteranno gli automi, ma la vinceranno gli informatici. “Il tradimento di Superman” sarà un classico del cinema 2050.
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L’ipotesi dei “Superman” solleverebbe però delicati problemi morali ed etici La sfida sarà la cyberguerra per sabotare l’armata nemica Il ritmo dei conflitti accelererà al di là delle nostre capacità. L’uomo si limiterà a osservare Diversioni, avanzate e svolte strategiche si succederanno in un baleno
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