18:05 CAMILLE CLAUDEL ED ALTRE IMPORTANTI SCULTRICI –AD AVIGNONE AL FESTIVAL DEL 2013 (mi pare) —

 

 

 

ARTE

Camille e il corpo delle donne

Cinque artiste del ‘900, dalla Claudel alle sue eredi, si avventurano nella scultura per raccontare con braccia, gambe e genitali, tutte le sfaccettature del femminile

di Chiara Valentinii


Camille e il corpo delle donneCamille Claudel ‘Le Psaume’  (Il Salmo)

 

 

Il festival di Avignone, mai ricco come quest’anno di spettacoli di gran livello e di sorprese off , si lascia dietro in eredità una mostra intrigante fin dal titolo, “Les Papesses” (aperta fino all’11 novembre, al Palais des Papes). Una delle mostre più importanti della stagione, secondo “Le Monde”, oltre che delle più irriverenti.  

Spunto della grande esposizione è la leggenda della papessa Giovanna, una donna che nell’ottavo secolo, fingendosi maschio, sarebbe riuscita a diventare cardinale e poi papa grazie alla sua sapienza e audacia. Ma poi si sarebbe lasciata sedurre da un chierico e durante una processione avrebbe dato alla luce un figlio: finì per essere mandata a morte.

La papessa Giovanna, probabilmente mai esistita ma evocata in una novella del Boccaccio, è l’esempio perfino troppo trasparente della punizione pensata per le donne che si ribellavano al proprio ruolo, minacciando l’autorità maschile.

Ed è un richiamo appropriato alle cinque artiste, tutte scultrici, pur se di alcune di loro sono esposti anche disegni, arazzi e acquerelli, che hanno occupato i cortili, le sale e le cappelle del Palazzo dei Papi, con opere e installazioni inquietanti: dai grandi ragni di Louise Bourgeois alla donna di bronzo in ginocchio su una pira che sembra pronta a prender fuoco di Kiki Smith, al corpo umano con busto e testa stretti in una specie di camicia di forza di Berlinde de Bruyckere, un richiamo alla vicenda di Camille Claudel, la testimone più importante di un’arte, la scultura appunto, considerata a lungo non adatta alle donne, fondata com’è sulla necessità di dominare materiali duri, dal bronzo al ferro al marmo e di occupare fisicamente lo spazio.
La presenza in scena delle scultrici è piuttosto recente: nessuna Artemisia Gentileschi aveva impugnato con successo lo scalpello.

 

La prima a conquistarsi un certo spazio, a fine Ottocento, è la geniale e tragica Camille appunto, oggi famosissima anche per biografie e film che ne hanno raccontato la storia: ultimo, “Camille Claudel, 1915”, di Bruno Dumont con Juliette Binoche.

 


 

 

 

Ed è Camille la vera protagonista della mostra, la bella ragazza piena di coraggio e di allegria che sembrava sfidare il mondo, sorella di Paul Claudel, allieva e amante di Auguste Rodin, fatta rinchiudere da una madre che non tollerava le sue trasgressioni e la sua arte in un manicomio alle porte di Avignone, cent’anni fa. Anche se le angosce e le fobie di Camille erano qualcosa di diverso dalla pazzia, come dimostrano le cartelle cliniche e sue lettere che fanno parte della mostra, vi era rimasta per 30 anni, isolata e incapace di continuare il lavoro, fino alla morte nel 1943. Forse più dura della pena capitale la punizione di questa papessa, convinta di poter sfidare un mondo artistico ostile al suo genere, dove aveva trovato qualche apertura solo quando era l’allieva e la protetta del maturo Rodin e fra loro non c’erano i conflitti e le gelosie anche artistiche che sarebbero scoppiati poi. Vedendo oggi in una sala della mostra una delle sue opere, “la Valse”, un uomo e una donna abbracciati come nel “Bacio” di Rodin, non è difficile notare la differenza fra la grazia e lo slancio dell’opera di lei e la pesantezza quasi convenzionale di quella, famosissima, del maestro.

Ma ancora più emozionanti, se si pensa che Camille non ha avuto neanche una lapide ed è sepolta in una fossa comune, sono le sue sculture accolte nella Grande Chapelle del Palazzo dei Papi.

 

Quasi in un pentimento tardivo per non aver cercato di salvarla il fratello Paul, a proposito di una delle sue ultime opere, “L’Âge mûr”, un uomo anziano e due figure femminili, presente ad Avignone nelle sue due versioni, aveva parlato di un’opera «di una tale forza e sincerità quasi terrificante, d’amore, disperazione e odio che oltrepassano i limiti dell’arte in cui sono stati realizzati». Peccato che il cattolicissimo Claudel, scrittore di successo, ambasciatore della Francia, in trent’anni era andato a trovare pochissime volte l’imbarazzante sorella. E non aveva partecipato ai funerali.

Fra le artiste che nel Novecento si sono ispirate all’opera della Claudel il posto d’onore spetta a Louise Bourgeois, parigina emigrata a New York, certo più fortunata, ma che per una parte notevole della sua lunga esistenza (è morta nel 2010 a 98 anni) era conosciuta come la moglie dello storico dell’arte Robert Goldwater. Aveva dovuto superare la settantina per veder decollare la sua carriera, con una retrospettiva, nel 1982, al Moma di New York: peraltro la prima dedicata dal museo a un’artista donna. Papessa a pieno titolo per la sua arte provocatrice e sovversiva, anche Bourgeois, come le seguaci più giovani, aveva messo il corpo e la sua rappresentazione al centro del suo lavoro.

«Un corpo non necessariamente femminile né necessariamente sessuato», ha scritto il critico Philippe Dagen, osservando che anche le strane creature di Berlinde de Bruyckere non appartengono a nessuno dei due generi. E che nelle opere di Kiki Smith i corpi umani si mescolano a quelli degli animali. Al punto che la sua Eva non nasce dalla costola di Adamo ma da una cerva. Mentre altre volte sono le donne a partorire cerbiatte, con un richiamo alla mitologia classica. C’è invece una crudeltà ambigua che ci riporta al presente in una famosa opera della Bourgeois, esposta in passato alla Biennale di Venezia e che qui apre la sua sezione, “Cell (Arch of Hisyeria)”.

È un corpo maschile senza testa e senza braccia, teso come un arco su un materasso, dove è ricamata dappertutto la frase “Io ti amo, io ti amo”. Di fianco è appoggiata una vecchia sega circolare. Per vedere l’installazione bisogna entrare in una specie di cella chiusa da porte metalliche. È la più nota delle celle usate più volte da Bourgeois, che nella fase finale della sua vita aveva trasferito spesso in questi spazi i suoi vestiti vecchi, per segnare i diversi periodi della sua esistenza.

Anche se Bourgeois ha sempre negato di essere una caposcuola, molti sostengono che è stata una grande madre per artiste nate nella seconda metà del Novecento. «Sono contenta del successo che ho avuto per una sola ragione, perché è servito ad attirare l’attenzione della generazione più giovane. Solo loro mi apprezzano e mi capiscono. È a loro che parlo», aveva detto Louise in un’intervista.

Fra queste allieve non pienamente riconosciute la più dissacrante è probabilmente la fiamminga Berlinde de Bruyckere, nata a Gand nel 1964. Cresciuta nell’isolamento di un collegio di suore, ossessionata dai corpi umani e dalla loro morte, oltre che dalle immagini di animali squartati visti da bambina nella macelleria del padre, «Berlinde non esita a choccare i visitatori con le sue rappresentazioni anatomiche disturbanti e a volte terrorizzanti», ha osservato uno dei curatori della mostra di Avignone dove sono esposte le sue teche di corpi contorti e soggetti religiosi, come la passione di Cristo, la crocifissione, la Pietà, al centro della sua ricerca.

Ma la vera continuatrice di Louise Bourgeois è Kiki Smith,

 

americana nata a Norimberga nel 1954, figlia d’arte (suo padre era Tony Smith, precursore della minimal art).

 

Kiki_Coro della Maddalena_photo by BRUNO MURIALDO

Tre sculture di Kiki Smith nel Coro della Maddalena—ad Alba, dal 24 settembre 2015

 

http://www.gazzettadalba.it/2015/09/tre-sculture-di-kiki-smith-nel-coro-della-maddalena/

 

 

Oggi famosissima, aveva attirato l’attenzione una ventina di anni fa con le sue riproduzioni del corpo umano e in particolare degli organi genitali, dei loro umori e delle loro deiezioni, come nell’iconografia medievale. C’è nella Smith, l’unica ad aver fatto parte del movimento femminista, uno sguardo privilegiato ai temi delle donne.

Ma anche in molte opere delle altre artiste, nei corpi a pezzi come nelle immagini erotiche, nella maternità come nella metamorfosi delle streghe, vengono esplorate varie facce del femminile. «Non sono femministe in lotta ma donne che hanno osato prendere la parola su un terreno che non era il loro», ha scritto una delle curatrici. Comunque sono cinque donne che hanno segnato un secolo della storia dell’arte.

08 agosto 2013© RIPRODUZIONE RISERVATA

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http://espresso.repubblica.it/googlenews/2013/08/08/news/camille-e-il-corpo-delle-donne-1.57768

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