MARIA PIA FUSCO INTERVISTA NANNI MORETTI—” TUTTO IL MIO CINEMA E’ UN UNICO ROMANZO “

 

 

DA REP.  2 OTTOBRE 2015 (LINK SOTTO)

 

Le tante vite di Nanni Moretti: "Tutto il mio cinema è un unico romanzo"

 

 

Le tante vite di Nanni Moretti: “Tutto il mio cinema è un unico romanzo”
di MARIA PIA FUSCO
ROMA – “Nanni Moretti riempie il suo film di un sentimento talmente onesto e profondo da riuscire, con una semplice inquadratura di una sedia vuota, ad evocare le emozioni di una vita intera”, scrive il N. Y. Times di Mia madre ed è solo una delle critiche entusiaste in occasione della presentazione al Festival di New York, dove il film ha conquistato e commosso il pubblico. Già a Cannes era stato esaltato dalla stampa anglosassone, a cominciare da The Guardian che, oltre a ritenere Margherita Buy interprete da Oscar, definisce Mia madre “Il film più completo di Nanni Moretti, un’opera matura che coniuga temi – la vita, la morte, l’amore, il cinema – che ritornano nella sua lunga e brillante carriera di regista”.

Da oggi in edicola con Repubblica i dodici film del regista (qui tutte le uscite), si comincia proprio con Mia madre.

Più di trent’anni di cinema in una manciata di minuti. Dieci tra le sequenze e le citazioni più famose per ricordare i film di Nanni Moretti, da “Ecce Bombo” (Giro, vedo gente, faccio delle cose) alla celebrazione della Sacher Torte di “Bianca” (Continuiamo così, facciamoci del male), dagli insulti alla giornalista di “Palombella rossa” (Le parole sono importanti) all’angoscia di “Aprile” (D’Alema, dì qualcosa di sinistra), fino alla partita di pallavolo di “Habemus Papam” (a cura di Rita Celi)

Il film è stato venduto in settanta paesi: si aspettava tanto successo?
“Ho sentito il bisogno di raccontare una storia ispirata a un evento personale, non ho pensato che raccontare un lutto avrebbe potuto allontanare il pubblico, sapevo la storia che volevo raccontare e il tono con cui la volevo raccontare e sono andato avanti. C’è una cosa che avvicina Mia madre a La stanza del figlio, sono diversi, però sono storie di dolore che hanno al centro personaggi non credenti, si intuisce anche se la sceneggiatura non lo dice. Non hanno la consolazione della fede e questo rende le storie più drammatiche. Ma non mi sono mai posto il problema del pubblico”.

In molti considerano Mia madre il suo film più bello: è d’accordo?
“Non ho una risposta. Quando facevo i filmini in Super8 mi piacevano due tipi di cinema opposti, Carmelo Bene e i fratelli Taviani. Eppure, non so bene come, ma come spettatore riuscivo a farli convivere e da allora ho sempre pensato che ogni film è un capitolo di uno stesso romanzo. Tanti anni fa mi ero costruito una frase a effetto per le interviste, una specie di slogan: io vorrei fare sempre lo stesso film, possibilmente sempre più bello, dicevo. Non so se è ancora valido, ho fatto film diversi, eppure continuo a pensare a capitoli di un romanzo anche se parlo del Papa”.
Video

E’ “Mia madre” il film più recente, in ordine di tempo, diretto – e interpretato – da Nanni Moretti, in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Protagonista Margherita Buy, regista in crisi tra carriera e vita privata, con un fratello-consigliere (Moretti) e un attore (John Turturro) difficile da gestire mentre gira un film e, nel privato, assiste la propria madre (Giulia Lazzarini) nei suoi ultimi giorni di vita.
Un romanzo pieno di variazioni, colpi di scena, capitoli scritti da solo, poi con sceneggiatori, Michele Apicella che scompare…
“Un critico francese ha scritto che l’amnesia di Michele, oltre alla mancanza di memoria della società italiana e ai comunisti che cercavano di dimenticare il proprio passato, aveva un altro significato: io come attore non volevo più interpretare il mio personaggio e come regista non volevo più metterlo in scena. Forse è vero, mi è venuto in mente dopo, è un’idea troppo intelligente per averla avuta io”.

Ci sono anche molte pause nel romanzo della sua carriera.
“Da La stanza del figlio a Il Caimano sono passati 5 anni, ma ho fatto il produttore, un lavoro cominciato con Notte italiana di Mazzacurati, poi ho prodotto i Diari della Sacher, Te lo leggo negli occhi di Vania Santella. La parentesi dei Girotondi è durata almeno un anno, durante il quale ho messo da parte il lavoro, ma sapevo che prima o poi sarei tornato al cinema, mi piace troppo. Non ho mai pensato di entrare in politica, anche se mi è stato chiesto, non è il mestiere adatto a me”.

Il Caimano deriva dall’impegno politico con i Girotondi?
“Appartiene al periodo storico, ma non è solo una storia politica, è un film sul cinema, su una storia d’amore, una separazione, come al solito mi piace l’intreccio di tanti temi. Il Caimano è anche il primo in cui non sono protagonista, sempre per il gusto di spiazzare il pubblico ho fatto Berlusconi, non in parodia e imitazione, ho solo recitato con freddezza le sue parole, alle quali ci eravamo abituati senza sentirne la pericolosità, forse perché arrivavano da un mezzo famigliare come la televisione. E le fiamme della fine del film sono le macerie culturali, di costume, di etica pubblica, con sui avremmo dovuto fare i conti per molti anni”.

Ricorda un momento preciso in cui ha sentito la “chiamata” del cinema?
“No. Intanto non ho un’infanzia cinematografica, ho cominciato a essere uno spettatore assiduo intorno ai 15 anni. Andavo soprattutto al Nuovo Olimpia, cambiava film ogni giorno, lì ho visto i maestri. La mattina la scuola, fatta pigramente, non ero tanto bravo, il pomeriggio al cinema e la sera al Foro Italico a giocare a pallanuoto. Questa era la mia giornata tipo a 15 anni. Verso la fine del liceo avevo un’idea di voler fare cinema, ma era un’idea molto vaga. Mi ricordo invece benissimo che dopo l’esame di maturità, era la fine dell’estate del ’72, incontrai un mio amico. Che facoltà farai?, mi chiese. Io, arrossendo: “Veramente non faccio università” e, sempre arrossendo, “ma vorrei fare del cinema”. E che cosa, come regista o attore? E io, arrossendo ancora di più: “Veramente vorrei fare tutte e due””.

Perché arrossiva?
“Perché ero sicuro di dare l’idea di uno velleitario e confuso. La stessa idea che davo ai registi in quegli anni quando chiedevo “c’è un posto di assistente volontario sul tuo set? però se c’è una piccola parte io fare anche l’attore”. Mi rendevo conto che quello poteva pensare “ma che vuole questo”? Comunque alla fine del liceo mi sono aggrappato all’idea del cinema, a intuito mi sembrava il mezzo per me più giusto di raccontare agli altri le cose che avevo urgenza di raccontare. E anche a me stesso”.

Il suo rapporto con la critica?
“Nei primi anni c’era un rito, dopo l’ultimo spettacolo andavo in giro con gli amici nelle edicole notturne aspettando le recensioni. Ora leggo pochissimo. La cosa curiosa è che ogni tanto qualcuno mi dice “hai letto quel critico? Ma che gli hai fatto?”. Perché alle volte c’è un infierire che sembra un fatto personale. Ma non ho mai replicato, né in pubblico né in privato, neanche a una critica che pensi in malafede, so che altri colleghi lo fanno, ma non è che uno può pretendere di far cambiare idea a qualcuno a cui non piace il tuo film”.

 

 

http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2015/10/02/news/nanni_moretti-124187690/

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *