ROSSANA FIORINI, UN SAGGIO AVVIO A LEGGERE IL FAMOSO QUADERNO 22 DAL CARCERE DI GRAMSCI: ” AMERICANISMO E FORDISMO “

 

 

Antonio Gramsci

 

 

 

Quaderno 22, 1934

Americanismo e Fordismo

 

 

Studentessa: Rossana Fiorini
Matricola: 0116139
Corso di Laurea Specialistica: Editoria, Giornalismo e Comunicazione Multimediale
Insegnamento: Teoria della letteratura
Docente: Prof. Raul Mordenti
Anno Accademico: 2007 – 2008

 

QUADERNI DEL CARCERE

Q.22:

Americanismo e Fordismo

 

 

Antonio Gramsci dedica il Quaderno 22, composto nel 1934, alla questione dell’“americanismo” e del “fordismo”, titolo poi dello stesso quaderno. È una raccolta o ancora meglio la sistemazione di note e riflessioni già affidate precedentemente, in modo sparso, ad altri quaderni (1, 3, 4, 8, 9, 12, ecc.). Nucleo della riflessione gramsciana è il fenomeno dello sviluppo industriale e capitalistico statunitense, favorito, nei primi decenni del Novecento dalla razionalizzazione scientifica e organizzazione del lavoro promossa dall’ingegnere americano Taylor e perfezionata negli anni Trenta dal produttore di automobili Henry Ford. Si tratta di un certo tipo di sviluppo che dalla fabbrica investe l’intera società americana e che diventa anche un modo di fare e pensare la vita tipicamente americano (di qui il termine americanismo). Quello stesso modello che sarà imitato dai paesi capitalistici occidentali. In Americanismo e fordismo si intersecano una serie di problemi attorno al “passaggio appunto dal vecchio individualismo economico all’economia programmatica” (Q. 22, 2139) sotto la pressione della caduta tendenziale del saggio di profitto. Nel ragionamento di Gramsci si ripropone la funzione centrale assolta dalla critica marxiana dell’economia politica. Il passaggio alla razionalizzazione della produzione incontra resistenze sia nella classe operaia sia in parte delle classi dominanti o, usando le parole di Gramsci, nelle “forze subalterne, che dovrebbero essere manipolate e razionalizzate” come anche in “alcuni settori delle forze dominanti” (ivi).

Sono differenti i modi con cui il concetto di fordismo può essere usato. È solito intendere per fordismo quella produzione taylorizzata con lavoro razionalizzato, alti salari con elevato profitto, un modello di consumo assoggettato alla necessità di riproduzione di una produttività ed efficacia adeguata e una forma politica e struttura di governo di tipo corporativo centrale. Ma, come osserva Franco De Felice, nel discorso di Gramsci, il concetto di fordismo si allarga: diventa uno strumento per l’analisi di società meno razionalizzate e meno sviluppate in confronto alle società economicamente più progredite. A rendere acuta la questione del fordismo è, secondo Gramsci, la modernizzazione di recupero da parte dei capitalisti arretrati, che minacciano di soggiacere sul mercato mondiale. Si pone la questione se lo Stato fascista italiano con il suo corporativismo possa effettivamente realizzare una forma italiana di taylorismo. Gramsci si accorgeva che proprio dall’esistenza di strati parassitari ed economicamente inattivi delle classi dominanti si poteva giungere a “forme particolarmente brutali” di fordizzazione e in Europa c’erano strati particolarmente ampi di gente economicamente in pensione, “pensionati della storia economica” (Q. 22, 2140 – 41).

Gli anni tra il 1920 e il 1934 sono caratterizzati da una vera e propria evoluzione storico – economica e da una serie di fatti che confermano presupposti e intuizioni iniziali del pensiero gramsciano sull’americanismo. Tra gli eventi più importanti:

  • la crescente deprofessionalizzazione del lavoro operaio e il suo adeguamento al funzionamento meccanico e automatico della macchina;
  • la conseguente affermazione della figura dell’operaio – massa col tramonto di quella dell’operaio artigiano e della dimensione dell’umanesimo del lavoro, ove la centralità operaia stava nel lavoratore creativo e specializzato, dotato di una forte coscienza delle proprie prestazioni;
  • la successiva radicalizzazione del taylorismo eseguita dalla politica economica e industriale di Ford, per mezzo della razionalizzazione e controllo capillare non solo del lavoro, ma perfino delle coscienze e delle vite private dei lavoratori.

Gramsci accetta le innovazioni e razionalizzazioni tecnologiche e produttive; considera l’organizzazione e la divisione del lavoro (capitalistiche) come forze di produzione utili al disciplinamento e all’educazione produttiva della classe operaia. Critica però l’intento di razionalizzazione capitalistica della società mostrando la contraddizione interna insita nello stesso processo capitalistico che vorrebbe ridurre il lavoratore a “gorilla ammaestrato”, privato di coscienza e pensiero. Gramsci vede per il moderno operaio, meccanizzato, ridotto a gesti fisici automatici e privo di soddisfazioni immediate nel lavoro, la possibilità, malgrado tutto, di dar corso a “pensieri poco conformistici”. Vede nella lotta operaia in fabbrica uno sviluppo, ma anche un antagonismo rivoluzionario. La fabbrica è allora luogo di coesione materiale del proletariato e modello organizzativo che non deve essere rifiutato anacronisticamente, ma deve essere assunto e controllato direttamente dalla classe operaia. L’intuizione gramsciana più interessante è assimilare l’americanismo a fenomeno di rivoluzione passiva, incentivata da una politica di egemonia culturale che mira a tradurre il controllo economico in fabbrica in controllo culturale e politico. Come presagiva Gramsci l’egemonia non si limitava alla fabbrica ma tendeva a trasferirsi alla società civile, a tutti i livelli, morale, culturale, politico. Il controllo, da parte dei grossi industriali, sulla vita privata dei lavoratori attraverso la lotta contro la “depravazione alcoolica e sessuale” e contro lo sperpero di “efficienza muscolare – nervosa”, utile invece per il lavoro, tende infatti ad andare oltre l’interesse economico privato, diventando “funzione di Stato”, “ideologia statale”. È proprio con tutto il complesso di attività pratiche e teoriche dello Stato che la classe dirigente giustifica e mantiene il suo dominio e consenso attivo dei governati. Gramsci nello studiare la fase ancora economico – corporative del processo industriale avverte gli effetti del passaggio da questa prima fase a quella davvero egemonica, che investe l’intera società. Gli è già chiara la formazione di un “nuovo tipo umano”, costituito da “un nuovo nesso psico – fisico”. Dunque si sta imponendo, nelle sembianze della rivoluzione passiva americanista e di controllo sulle coscienze morali dei singoli, una diversa sensibilità, una nuova mentalità e un altro senso comune. L’estensione dell’egemonia e del potere della fabbrica alla società è caratterizzata dall’organizzazione e dal controllo di un imponente “struttura ideologica” da parte della classe dominante. È quell’organizzazione materiale che ha lo scopo di mantenere, difendere e sviluppare il fronte teorico ed ideologico della società. Rientra in tale struttura ideologica tutto ciò che influisce o può influire sull’opinione pubblica direttamente o indirettamente: la stampa, la case editrici, i giornali, le riviste, le biblioteche, le scuole, i circoli, i clubs, ecc.

L’intellettuale sardo metteva in guardia dalla tendenza a sottovalutare la complessità della realtà. Analizzare un periodo strutturale non è affatto un compito facile e lo si può studiare solo dopo che il periodo in questione ha superato tutto il suo processo di sviluppo, ma prima di allora si possono fare solo ipotesi. Occorre stabilire il nesso dialettico tra “movimenti e fatti organici” da una parte e “movimenti e fati di congiuntura” dall’altra, sia per ricostruire il passato che per ricostruire il presente e il futuro. Manca infatti, per leggere e comprendere la realtà, la dialettica (era questa un’angustia per Engels). Così ugualmente Gramsci chiarisce la complessità del tema “americanismo e fordismo” e ad apertura del Quaderno 22 sappiamo che esso riguarda le “condizioni contraddittorie della società moderna”, con tutto il loro carico di “complicazioni, posizioni assurde, crisi economiche e morali a tendenza spesso catastrofica”. Il fascismo e l’americanismo – fordismo sono le due risposte diverse date dalla civiltà borghese alla sua “crisi organica” nel Novecento: la prima è una risposta regressiva, la seconda progressiva e razionale, seppure segnata da contraddizioni interne che avrebbero sancito il passaggio dal tradizionale individualismo economico all’economia programmatica. L’americanismo – fordismo, con il suo sforzo nella costruzione di una economia programmatica, impone la sostituzione dei vecchi ceti plutocratici attraverso la creazione di un sistema di accumulazione e distribuzione del capitale finanziario, fondato sulla produzione industriale ed epurato da tutti i filtri di intermediazione propri della civiltà europea. In Europa i tentativi di introdurre questi elementi di economia programmatica, ovviamente, troveranno resistenze “intellettuali” e “morali”, dando luogo al fallace tentativo di conciliare il fordismo con l’anacronistica struttura sociale demografica del vecchio continente. Scrive Gramsci: “L’Europa vorrebbe avere la botte piena e la moglie ubriaca, tutti i benefici che il fordismo produce nel potere di concorrenza, pur mantenendo il suo esercito di parassiti che divorano masse ingenti di plusvalore, aggravano i costi iniziali e deprimono il potere di concorrenza sul mercato internazionale”. È in questa contraddizione che va ricercata l’origine più profonda della crisi organica che ha investito  le grandi nazioni europee nel dopo – guerra. Gramsci capiva bene che la natura instabile del nuovo equilibrio scaturito dalla fine della guerra andava rintracciata nei colossali scompensi di produzione, commercio e credito dell’intero mercato mondiale. In preda all’indebitamento pubblico non c’era solo la Germania , ma la stessa Inghilterra vincitrice. (La sostituzione del carbone con energie elettrica e petrolio, riduzione dei trasporti industriali, disoccupazione e in più il sorgere di movimenti di emancipazione di indipendenza nazionale di popoli coloniali soggetti alla corona britannica, nati sulla scia della rivoluzione d’ottobre). L’Europa era in preda ad un duro declino produttivo e necessitava di prodotti americani, ma incappava nell’ostacolo della svalutazione delle sue monete principali. Il mercato mondiale era disorganizzato con l’acuirsi delle tensioni sociali. La ricostruzione dell’apparato produttivo distrutto dalla guerra e la ripresa economica richiedevano enormi quantità di capitali che l’Europa non aveva. L’americanismo per attuarsi necessita di una condizione preliminare che Gramsci definisce “composizione demografica razionale”, ossia che non esistono classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo, “classi parassitarie”. Contrariamente la civiltà europea era caratterizzata dal proliferare di classi simili generate dalla ricchezza e complessità della storia passata, che aveva lasciato moltissime sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina dell’esercito. Gramsci annota che quanto più è antica la storia di un paese tanto più estese e dannose sono tali “sedimentazioni di masse fannullone e inutili che vivono del patrimonio degli avi, di questi pensionati della storia economica”. Gramsci analizza come questa realtà fosse attiva nel sistema italiano delle “cento città”, soffermandosi sull’industriosità non produttiva che caratterizza il “mistero di Napoli”[1], per concludere che “si può ripetere per molta popolazione di tal genere di città il proverbio popolare: quando un cavallo caca, cento passeri fanno il loro desinare”. In questo modo il sistema delle rendite della proprietà terriera meridionale, attraverso la mezzadria primitiva, dava luogo a un modo di accumulazione di capitale dei più mostruosi e malsani, perché basato sullo sfruttamento usuraio della miseria agraria e perché costosissimo, dato che per mantenere l’elevato livello di vita delle famiglie dei signori che vivevano parassitariamente della rendita dei latifondi occorrevano ingenti somme, che non permettevano né accumulazione di risparmio, né alcun tipo di investimento produttivo della rendita agraria.[2] Il “parassitismo assoluto”[3] non è un fenomeno solo italiano, ma era presente, più o meno, in tutti i paesi del vecchio continente, come anche in India e in Cina. È dopo la prima guerra mondiale che masse precedentemente passive erano entrate in movimento violento e caotico, disgregando l’apparato di dominio dei ceti dominanti. Diversamente l’America non era gravata da questo ingombro storico. L’assenza di quelle sedimentazioni aveva favorito una base sana all’industria e al commercio consentendo la riduzione delle fasi intermedie tra la produzione e la commercializzazione dei beni. Queste pre – condizioni avevano facilitato la razionalizzazione tra produzione e lavoro con la combinazione della coazione sociale (distruzione del sindacalismo operaio), e del consenso (alti salari, benefici sociali, propaganda ideologica e politica). L’americanismo consiste nell’imperniare tutta la vita del paese sulla produzione: “l’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell’ideologia” (Q. 22, 2146). L’America diventa una specie di laboratorio delle future tendenze della società moderna. Questo processo di razionalizzazione necessitava però la creazione di un nuovo tipo di lavoratore plasmato sulle esigenze della produzione. Razionalizzazione del lavoro e proibizionismo avevano profonde connessioni e alla luce di queste si può riflettere sulle inchieste sulla vita degli operai, e le ispezioni delle aziende per verificarne la moralità. La moralità intesa come necessità del nuovo metodo di lavoro, naturalmente. Il fenomeno americano è, per Gramsci, lo sforzo collettivo più grande che si sia mai avuto, con una coscienza del fine senza precedenti nella storia, per creare un nuovo tipo di lavoratore e di uomo. L’espressione cinica e brutale di Taylor (gorilla ammaestrato) esprime alla perfezione questo scopo della società americana. La catena di montaggio infatti sconvolse il tradizionale assetto della classe operaia, costituendo la forma più compiuta di sottomissione dell’uomo alla macchina. Eppure per Gramsci non ci troviamo dinanzi ad una realtà del tutto originale, bensì al punto di approdo di un lungo processo di trasformazione che si afferma con l’industrialismo. Le attenzioni per il comportamento del lavoro non sono certo dettate, in industriali come Ford, dalla preoccupazione per la sua “umanità” e “spiritualità”, ma hanno il solo fine di conservare, al di fuori del lavoro, quell’equilibrio psico – fisico che impedisca un collasso del lavoratore sulla produzione. Lo stesso discorso vale per i comportamenti sessuali, la cui irregolarità era nemico pericoloso delle energie nervose. Ford arrivò a creare corpi ispettivi aziendali per controllare gli operai, il loro modo di spendere il danaro e le loro attitudini private sul piano sessuale. Sarà fondamentale il lavoro svolto da psicologi e sociologi, i quali tentano di trasformare l’azienda nel centro della vita dell’operaio; organizzando il tempo libero, fornendo vari comfort, mense, sale luminose, svaghi, sport, si cerca di tenere occupati i pensieri dei lavoratori, evitando soprattutto lo sviluppo di idee rivoluzionarie. E ancora, dirà Gramsci: “Anche la letteratura psicoanalitica è un modo di criticare la regolamentazione degli istinti sessuali forma talvolta illuministica, con la creazione di un nuovo mito del selvaggio sulla base sessuale (inclusi i rapporti tra genitori e figli)” (Q. 22, 2148). È palese: il nuovo industrialismo vuole la monogamia, una famiglia stabile e prolifica, vuole che l’uomo lavoratore non sperperi le sue energie nella ricerca disordinata ed eccitante del soddisfacimento sessuale occasionale. L’operaio che va a lavoro dopo una notte di stravizio non è un buon lavoratore, l’esaltazione passionale non può andare d’accordo con i gesti automatici di produzione. “La verità è che non può svilupparsi il nuovo tipo di uomo domandato dalla razionalizzazione della produzione e del lavoro finché l’istinto sessuale non sia stato conformemente regolato, non sia stato anch’esso razionalizzato”(Q. 22, 21509). È molto interessante la maniera in cui Gramsci connette i tratti del puritanesimo e dell’ideologia americana, non riducendo l’azione proibizionista a quella per la moralizzazione dei costumi ad una semplice tendenza culturale e religiosa, “la apparenza di puritanesimo che ha assunto questo interesse non deve trarre in errore” (Q. 22, 2150). Nel parlare della “quistione sessuale” Gramsci si preoccupa anche di quella che potremmo definire “quistione femminile”; l’intellettuale, infatti, parla di “ideale estetico” della donna, un ideale però in bilico, che “oscilla tra la concezione di fattrice e di ninnolo”. A questo punto, allora, la questione diviene “etico – civile” e, con calore umano, Gramsci usa la parola “personalità femminile” e conclude: “[…] finché la donna non avrà raggiunto non solo una reale indipendenza di fronte all’uomo, ma anche un nuovo modo di concepire se stessa e la sua parte nei rapporti sessuali, la quistione sessuale rimarrà ricca di caratteri morbosi e occorrerà esser cauti in ogni innovazione legislativa”.

Nonostante i tentativi di spersonalizzazione del lavoro, secondo Gramsci, l’obiettivo di trasformare l’operaio in gorilla ammaestrato, è destinato a fallire, perché il cervello dell’operaio anziché mummificarsi si libera. Sappiamo infatti che Gramsci sostiene che tutti gli uomini sono intellettuali, il punto è che poi non tutti hanno nella società la funzione di intellettuali. Per Gramsci non si può parlare di non intellettuali perché non esiste attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale e perché al di fuori della sua attività professionale esplica una qualche attività intellettuale, ed è un filosofo che partecipa e contribuisce ad una determinata concezione del mondo. Per quanto Gramsci definisca razionale e progressivo l’americanismo – fordismo ciò non gli impedisce di dire che esso è destinato a fallire, o meglio che non è in grado di superare le contraddizioni sociali della crisi organica del capitalismo. Considerando che le riflessioni di Gramsci sull’americanismo – fordismo potevano essere solo ipotesi, si può dedurre che molte di esse hanno trovato una puntuale conferma nella realtà storica successiva. Gramsci ci ha fornito un contributo enorme per capire la complessità dei tempi moderni. Il pensiero di Gamici sembra anticipare in maniera sorprendente certe tendenze attuali di egemonia culturale e politica realizzata sottoforma di colonizzazione delle coscienze attraverso l’industria e il potere dell’informazione. Sotto questa luce è indubbio che il nesso che Gramsci rinviene tra potere economico, culturale e politico costituisca un elemento interpretativo di grande attualità anche per la società del nostro tempo. Le sue riflessioni offrono una chiave di lettura della società attuale, bombardata e dominata dai mass media. Con Gramsci ci troviamo dinanzi ad un pensiero dinamico che non può essere di certo rigidamente incasellato in una formula univoca.


L’affascinante somiglianza Gramsci – Benjamin.

 

È Gramsci uno degli autori più studiati al mondo. Per quanto riguarda il fenomeno americanismo e fordismo è particolare l’analisi che ne fa Giorgio Baratta. Egli individua una connessione tra economia ed egemonia americana, tra una modalità di strutturazione dello Stato, una produzione culturale e una determinazione antropologica adeguate alla necessità di giungere all’organizzazione di un’economia programmata. Il punto di novità nell’analisi gramsciana dell’americanismo sta, secondo Baratta, nell’individuazione tra l’egemonia mondiale americana e l’internazionalizzazione della questione meridionale. Baratta nota una continuità tra il discorso gramsciano sull’americanismo, la sua capacità di ragionare da una cella in termini geoculturali e geopolitici, per un verso, e il permanere dell’americanismo oltre l’epoca del fordismo, fino ai nostri giorni. Secondo Baratta, Gramsci, chiuso nella sua cella, fa del carcere un osservatorio: l’isolamento lo proietta a “ricordare il futuro”, in una dimensione artificiale che non avrebbe potuto vivere in libertà. È sorprendente come più studiosi mostrino l’accostamento Gramsci – Benjamin. Entrambi guardano alla storia non solo in termini di un analisi strettamente economica e politica ma anche con un’idea di humanitas. Sia Gramsci che Benjamin si sono posti domande sulla complicata natura della città italiana parlando rispettivamente del “mistero di Napoli” o del suo “cerchio magico”. L’uno e l’altro concepiscono la storia come evoluzione non lineare. Nel dispiegamento della storia la differenza tra Gramsci e Benjamin si delineerebbe proprio negli anni Trenta del Novecento: per il pensatore italiano è sempre possibile la venuta di una nuova riforma, mentre per il tedesco Benjamin la cosa non sarebbe attuabile perché il presente è solo una catastrofe storica. Sia Gramsci che Benjamin non restano indifferenti dinanzi al concetto di macchina o come la definisce Benjamin nelle sue tesi “automa”. Gramsci nella sua “quistione sessuale” e in tutto il Quaderno 22 vede nell’industrialismo e nella razionalizzazione una forma di regolamentazione all’animalismo della civiltà contadina. Egli parla di “distacco tra città e campagna, ma non in senso idillico per la campagna, dove avvengono i reati sessuali più mostruosi e numerosi, dove è molto diffuso il bestialismo e la pederastia” (Q. 22,2148). Con Benjamin l’automa è un giocatore di scacchi (la fonte della vicenda è Il giocatore di scacchi di E.A. Poe) costruito per reagire ad ogni mossa. Così in queste stesse mosse, o tattiche di gioco, viene elaborata una analogia con i gesti parcellizzati, ripetitivi, meccanico riproduttivi dell’operaio lungo la catena di montaggio. La somiglianza tra i due si mostra sempre e sorprendentemente affascinante.

[1] Gramsci fa esplicito riferimento a Goethe, il quale descrive bene la situazione napoletana nel suo Viaggio in Italia. È a Napoli che Goethe entra in discussione con Volkmann, il quale aveva riferito che qui vivevano da trenta ai quarantamila oziosi. In una lunga relazione Goethe rintraccia, secondo una deduzione stringata, i motivi – il clima che consiglia la vita all’aperto, la saltuarietà di occupazioni che non hanno il carattere stabile del Nord – per i quali la ressa della gente per le strade di Napoli genera l’impressione di un popolo di sfaccendati. Si sofferma poi sull’ingegnosità dei ragazzi e i bambini che inventano tutta una serie di attività impensabili sotto un altro cielo. C’è la cosiddetta “economia del vicolo”, l’ostilità dei napoletani ad allontanarsi dalle strade dove sono cresciuti. Evoca l’ombra di Plinio che nella Naturalis historia aveva levato un inno alla Campania felix; dunque il quadro di un modo di vivere diverso, ma che egli non era disposto a sacrificare a luoghi comuni inveterati.

[2] Qui Gramsci fa riferimento a Niccolò Rodolico, (1973) storico italiano che studiò i fenomeni di partecipazione popolare e si dedicò ai fatti dell’Italia Meridionale.

[3] A questo punto Gramsci riprende Renato Spaventa, il quale aveva calcolato che un decimo della popolazione (4 milioni di abitanti) in Italia viveva sul bilancio statale. L’amministrazione dello Stato, infatti, era sempre stata una sorgente i “parassitismo assoluto”. In seguito Gramsci rimanda agli studi del prof.Mortara, statistico ed economista italiano, alle sue analisi delle probabilità e, in particolare, consiglia la lettura di Prospettive economiche, una rassegna della congiuntura economica italiana e internazionale.

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2 risposte a ROSSANA FIORINI, UN SAGGIO AVVIO A LEGGERE IL FAMOSO QUADERNO 22 DAL CARCERE DI GRAMSCI: ” AMERICANISMO E FORDISMO “

  1. Rossana Fiorini scrive:

    Grazie mille, un’analisi critica di qualche anno fa 🙂

    • Chiara Salvini scrive:

      grazie cara Rossana di essere venuta fino a qui, se hai degli altri tuoi saggi che possiamo pubblicare, avvisaci! grazie, chiara per gli altri

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