+++ da non perdere, è il miglior articolo per votare “NO ” , SEMPRE CHE… ///LUCA RICOLFI, SOCIOLOGO, INSEGNA A TORINO::: UNA LETTURA DELLA SALITA DELLO SPREAD CHE TOGLIE L’INCUBO DEI MERCATI, DIFFUSO –E FA UN’ANALISI E UN GIUDIZIO SUL GOVERNO RENZI BASATO ” SULL’EVIDENZA EMPIRICA DISPONIBILE”

PRIMA PAGINA20 NOVEMBRE 2016Il Sole 24 Ore

 

 

 

LUCA RICOLFI

 

 

Lo spread e il lungo risveglio dei mercati

Ha suscitato qualche preoccupazione, nell’ultima settimana, il picco di 182 punti base toccato dallo spread dei titoli di stato italiani. Qualcuno si è spinto a collegare il risveglio dello spread all’incertezza da referendum, e in particolare alla convergenza di tutti i sondaggi, sostanzialmente unanimi nell’assegnare la vittoria al no.
Questa lettura dei fatti, a mio parere, è ben poco compatibile con l’evidenza empirica disponibile.

E’ vero, nelle ultime due settimane lo spread italiano è salito di 20 punti base, e in qualche momento ha persino sfiorato quota 190, tuttavia, se effettuiamo un confronto con altri paesi europei, evidentemente immuni dalla febbre del referendum, dobbiamo rilevare che anch’essi hanno aumentato il loro spread con la Germania: + 21 punti base il Portogallo, + 19 l’Irlanda, + 15 la Spagna, + 14 il Belgio, + 13 la Francia.

La sensazione è che questi aumenti, che in qualche caso invertono una precedente tendenza alla diminuzione, siano più facilmente riconducibili al cambiamento di aspettative (monetarie e di inflazione) innescato dalla vittoria di Trump.

Possiamo dunque rassicurarci?
No, non possiamo affatto rassicurarci. Semplicemente, non è di quel che è successo nelle ultime due settimane che dobbiamo preoccuparci. Quel che ci dovrebbe preoccupare, e avrebbe dovuto preoccuparci da un bel po’ di tempo, è quel che è successo negli ultimi due anni.

Se ripercorriamo la storia dello spread, anzi degli spread dei paesi dell’Eurozona, dalla grande crisi del 2011-2012 a oggi è facile rendersi conto che i rialzi attuali sono solo la coda di un lungo processo iniziato nell’estate del 2014, pochi mesi dopo l’insediamento del governo Renzi. In quel momento, infatti, ebbe ad esaurirsi completamente la spinta alla riduzione degli spread con la Germania, che durava da circa due anni, e precisamente dal famoso “whatever it takes” di Mario Draghi (luglio 2012). Quell’esaurimento, tuttavia, non venne avvertito come una netta inversione di tendenza, sia perché non coinvolse tutte le economie dell’eurozona, sia perché i diversi spread nazionali, anche in seguito al riaccendersi della crisi greca, entrarono in un regime che poteva anche apparire semplicemente oscillatorio.

E’ solo nella primavera del 2015, ovvero un anno e mezzo fa, che il nuovo regime comincia a delinearsi con una certa chiarezza, con gli spread di Portogallo, Spagna e Italia che mostrano una chiara tendenza all’aumento, che si prolunga fino all’estate del 2015. Ma, ancora una volta, la percezione di un’inversione di tendenza è ostacolata dalle oscillazioni della seconda metà del 2015, che impediscono di riconoscere nitidamente il fatto che, per Portogallo, Spagna e Italia, ormai la tendenza è all’aumento dello spread.

L’ultima vera svolta avviene nei primi mesi di quest’anno. Lo spread dell’Italia, che nel corso del 2015 era peggiorato di meno di quello di Spagna e Portogallo, comincia a evolvere (negativamente) come quello del Portogallo, peggio di quello della Spagna, e persino peggio di quello della Grecia.
La novità che il 2016 porta con sé, dunque, non è solo la tendenza all’allargamento dei differenziali fra paesi deboli e paesi forti, ma è il deterioramento della posizione relativa dell’Italia rispetto agli altri paesi deboli (trascuro l’Irlanda, perché da anni si comporta come un paese forte).

A che cosa dobbiamo questo deterioramento?

Qui si entra nel regno delle speculazioni.

A me pare che la spiegazione più plausibile sia che, fin dai primi mesi del 2016, diventa difficile nascondersi che, ancora una volta, l’Italia non potrà mantenere la promessa di ridurre il rapporto debito-Pil. E questo per due ragioni aritmetiche evidenti: secondo la stragrande maggioranza degli analisti né il Pil in termini reali né i prezzi potranno crescere nella misura prevista dal governo, con ovvie conseguenze sul denominatore del rapporto (il Pil nominale). Di qui la tendenza dei mercati a esigere dall’Italia un premio al rischio sempre più alto, fino ai 180 punti base di spread degli ultimi giorni.

Resta da domandarsi perché le cose siano andate così.

Una risposta possibile fra le molte è che, in questi primi 1000 giorni, il governo Renzi abbia scelto di dare priorità ai bilanci delle famiglie (e in parte delle imprese) piuttosto che alla salute dei conti pubblici o, per dirla in modo meno asettico, abbia preferito dare un po’ di ossigeno alle generazioni presenti prendendo soldi a prestito dalle generazioni future. Se questo era il disegno, non possiamo negare che sia pienamente riuscito: secondo la serie storica Isae-Istat delle famiglie in difficoltà (che non riescono a quadrare il bilancio alla fine del mese), la situazione è enormemente migliorata negli ultimi tre anni: quando Renzi prese il comando della nave Italia le famiglie in difficoltà erano circa 1 su 3, oggi sono meno di 1 su 5.
E tuttavia il disegno non era solo questo. L’idea era che, dando ossigeno alle famiglie (bonus da 80 euro e posti di lavoro generati dalla decontribuzione), l’Italia sarebbe riuscita a far ripartire la crescita, e per questa via a ridurre il rapporto debito-Pil. Giusto o sbagliato che fosse questo calcolo, questa cruciale parte del disegno non si è realizzata, e ora presenta il conto. Le famiglie stanno decisamente meglio, ma le decine di miliardi spesi per sostenerle non potranno essere usati per far ripartire la crescita e, in un modo o nell’altro, appesantiranno i nostri bilanci futuri.
Questo, mi pare, è il punto cui siamo. Questo è il nodo che, di qui ai prossimi anni, nessun governo potrà eludere.
Luca Ricolfi

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1 risposta a +++ da non perdere, è il miglior articolo per votare “NO ” , SEMPRE CHE… ///LUCA RICOLFI, SOCIOLOGO, INSEGNA A TORINO::: UNA LETTURA DELLA SALITA DELLO SPREAD CHE TOGLIE L’INCUBO DEI MERCATI, DIFFUSO –E FA UN’ANALISI E UN GIUDIZIO SUL GOVERNO RENZI BASATO ” SULL’EVIDENZA EMPIRICA DISPONIBILE”

  1. .Donatella.. scrive:

    Molto chiare le spiegazioni, comprensibili da tutti. Con parole mie direi che non si è costruito su basi forti ( ad esempio il lavoro, che è sempre precario e legato agli incentivi governativi), ma si sono dati dei contentini ( gli 80 euro, i 500 euro ai 18enni, gli incentivi alle aziende, ecc.) che poco hanno rafforzato la nostra economia. In realtà molte ditte sono andate all’estero ( clamoroso il caso della ex-Fiat),nulla si è fatto per la ricerca, si è tolto qualcosa alla Sanità e alla Scuola.

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