25 APRILE 2017 — WILLY JERVIS ::: « Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea », UN MESSAGGIO CHE HANNO TROVATO SUL SUO CORPO SFRACELLATO IN UNA BIBBIA TASCABILE

WILLY JERVIS DURANTE UNA SCALATA ( Napoli 1901- Villar Pellice 1944 )

 

9788833918501: Un filo tenace. Lettere e memorie (1944-1969)

Un filo tenace. Lettere e memorie (1944-1969)

 

ARTICOLO CHE SEGUE DA ” LA STAMPA ” DEL FEBBRAIO 2008

http://www.lastampa.it/2008/02/20/cultura/willy-jervis-un-eroe-normale-JwCIhogIfdav1gtNIpdkuO/pagina.html

 

 

Willy Jervis un eroe normale

Storia esemplare di un azionista morto per un’idea d’Italia

Willy Jervis nel 1932 si era sposato con Lucilla Rochat

Pubblicato il 20/02/2008
Ultima modifica il 20/02/2008 alle ore 08:02

L’11 marzo 1944 è una bella giornata di primavera nelle Valli Valdesi, a ovest di Torino. Willy Jervis, 43 anni, ingegnere meccanico alla Olivetti, capo militare del Partito d’azione, scende in motocicletta dalla Val Germanasca, dove ha incontrato una banda, verso Torre Pollice, dove è sfollato con la famiglia. Ma è fermato dalle SS italiane presso Luserna San Giovanni. Portato in caserma, cerca invano di disfarsi nella latrina di una cartuccia di gelatina, di lettere dategli dal capo partigiano Roberto Malan, di carte annonarie e licenze per ufficiali, che dovevano servire per coperture di partigiani. A casa gli trovano due foglietti con trascrizioni di trasmissioni radiofoniche inglesi e dieci sterline (resto di una somma datagli per la fuga in Svizzera di famigliari degli Olivetti). Picchiato brutalmente, rischia di essere ammazzato subito. Si difende dicendo che era andato a sciare, ammette di aver accettato un incarico dai ribelli, ma nega di essere un attivista antifascista. È trasferito a Torino, in mano alla Gestapo.

Purtroppo, nella stessa zona e negli stessi giorni, è catturato Emanuele Artom, anch’egli azionista, che sottoposto a feroci torture (di cui morirà il 7 aprile), indica in Jervis un corriere dei partigiani. L’ingegnere è costretto a fare ammissioni sulla sua attività (attento a dire sui compagni soltanto le cose che fascisti e tedeschi potevano già sapere). Dichiarato dalla polizia tedesca «elemento estremamente pericoloso», da quel momento vive un’odissea di cinque mesi, fra esecuzioni rimandate all’ultimo momento e vane speranze, almeno di deportazione. La moglie Lucilla si muove febbrilmente fra le carceri Nuove, il comando della Gestapo, le case degli amici. L’ultima carta è un tentativo di scambio con un ufficiale tedesco fatto prigioniero, che però rimane ucciso dai partigiani. È la fine, lo sa anche lui: portato a Villar Pellice, Jervis è fucilato la notte fra il 4 e 5 agosto. Trascinato da un camion, reso irriconoscibile, il corpo viene esposto nella piazza in un macabro rituale di impiccagione post-mortem.

Questa storia, drammatica e esemplare, solo in parte già pubblicata, è documentata in un libro che Bollati Borighieri manda in libreria a fine settimana: Un filo tenace. Lettere e memorie 1944-1969 (a cura di Luciano Boccalatte, prefazione di Giovanni De Luna, pp. XLVI-240, € 20). Raccoglie le lettere, sia ufficiali sia clandestine, fra Jervis e la moglie in quei cinque terribili mesi. Nato a Napoli, nipote di un inglese che combatté con Garibaldi e figlio di un ingegnere amico di Salvemini, valdese praticante, perciò antifascista, scalatore e sciatore di grandi doti, Jervis è al centro di questa storia da eroe senza retorica, consapevole, lucido, espressione di un’altra Italia in cui si moriva per un’idea. Nel 1932 aveva sposato Lucilla Rochat, di famiglia fiorentina, con il nonno paterno pastore valdese e un padre medico, socialista salveminiano, attivo fra gli antifascisti di Italia libera e nel foglio Non mollare. Nelle sue lettere lei le parla dei loro figli Giovanni (1933) e Paola (1939). Finita la guerra, Lucilla tornò in Toscana, a insegnare letteratura inglese. È morta nel 1988.

Il libro presenta un secondo carteggio, fra Lucilla Jervis e Giorgio Agosti (Torino, 1910-1992), amico di Ginzburg e Bobbio, magistrato dal 1935, tra i fondatori del Partito d’Azione, commissario delle formazioni GL, questore di Torino dalla liberazione al 1948, insignito dai francesi della Legion d’onore. Le sue lettere sono un controcanto, perché portano a galla il rigore, l’intransigenza, e soprattutto le disullusioni, dell’esperienza azionista. «La reazione – scrive Agosti – guadagna terreno». Il governo è quello «dei sacrestani», al potere ci sono i «Democani»; vengono a galla tutti i dubbi sulla consistenza del Partito d’azione. S’aggiunge una memoria scritta da Lucilla per i figli nel 1953, mai mostrata ad alcuno e ritrovata dopo la morte. Una novità è la postfazione di Giovanni Jervis, figlio di Willy, conosciuto psichiatra, che per la prima volta parla della vicenda. Si ferma sulla figura di Agosti, quasi secondo padre, come rappresentante di «un’etica della vita civile che nei decenni successivi si è appannata ed è stata persino un po’ dimenticata».

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