MICHELE PROSPERO, PD IN COMA—MA LA SINISTRA NON RINASCE NEI TEATRI O NELLE PIAZZE

 

MANIFESTO DEL 27 GIUGNO 2017

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COMMENTI

Pd in coma, ma la sinistra non rinasce nei teatri o in una piazza romana

Sinistra. Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni con un’insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi. Con la complicità di un non-partito che non ha dirigenti ma scudieri

Manifestazione del Pd al Circo Massimo di Roma

A un leader che ha perso lo scettro a Rignano ci mancava solo il vagabondare di Prodi nelle vesti del buon confessore. Il capo di un partito personale, cui viene scucito il potere proprio nel natio paese-simbolo, quando si imbatte nell’astuto confessore avverte che quello è lì per somministrare la estrema unzione. Lo stato di salute del capo non più gagliardo è malfermo da un pezzo. E starsene in piscina, in attesa del destino avverso, è un segnale in più. Si tratta di un irrimediabile disfacimento di quello che fu il corpo del leader in camicia bianca.

Ormai quasi tutte le città della Toscana sono state espugnate dalle forze nemiche. Per un capo che ha condotto le ardite scalate ostili con il supporto del comitato d’affari della piccola borghesia toscana essere scacciato da una città dopo l’altra del Granducato non è certo l’indizio di una solida volontà di rivincita. Anche gli antichi protetti nel Consip si scagliano contro i suoi colonnelli, in gesti di ribellione che sono possibili solo contro gli agenti di un potere percepito come ormai in declino. E il fumo delle braciolate non basta a tenerlo al riparo dai guai procurati dalla brama di possesso della più ristretta cerchia dell’influenza.

Dopo aver rotto con la Cgil e divorziato con il mondo del lavoro c’è poco da ricamare per rinsaldare un legame con il voto popolare.

L’altro serbatoio dell’elettorato di sinistra, quello dei professori, il Pd se lo è giocato per sempre con gli algoritmi e le simbologie del comando della buona scuola. E il vero mito fondativo della cultura politica della sinistra repubblicana, ha funzionato come collante ideale nel corso di settant’anni, cioè la costituzione come grande valore programmatico da attuare, Renzi lo ha infranto nel plebiscito del 4 dicembre.

Con i figli di una democrazia cristiana minore (Lotti, Boschi, Rosato, Bonafé, Picierno, Fioroni, Franceschini, Guerini) Renzi non riesce a colmare lo strappo simbolico con Bersani, D’Alema, Rossi, Speranza. Senza l’amalgama con quel po’ di rosso che i fuggitivi comunque garantivano, il Pd esce a pezzi, non potrà superare che a stento il 20 per cento, altro che le cifre trionfali sfornate dai sondaggisti.

Le amministrative certificano che il Pd è in coma irreversibile. Non esiste come partito organizzato nei territori. L’accelerazione verso un partito personale, con la rete del notabilato locale, quello più spregiudicato e disincantato sul piano etico-politico, a fare da supporto alle ambizioni di restaurazione del capo ferito, non regge l’urto. È così sfilacciato e esangue come organismo collettivo che il Pd non ha neppure la residua forza di chiedere con voce flebile la rimozione del capo che in battaglia si è rivelato un perdente di professione.

Il mito renziano del soltanto con me si vince, alzato contro i campioni della non vittoria che avevano sciupato un rigore a porta vuota, si converte amaramente nella reiterata sconfitta dell’uomo solo al comando che preferisce la codarda fuga dai teatri di guerra delle città più calde. Ha perso tutte le battaglie: le regionali, le amministrative, i ballottaggi e il plebiscito sulla Costituzione. Ha prodotto il roboante vuoto della sconfitta che

lo trafigge senza però farlo desistere dall’oscuro proposito di resistenza al comando.

Se fosse un vero leader, mosso da un briciolo di idealità politiche, avrebbe lasciato il timone per il bene del partito. Ma Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni di potere che, spinto da moventi non politico-ideali, ha distrutto con accanimento l’ordine collettivo. Tra le sterminate macerie accumulate proclama una insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi e si arrocca alla guida folle della macchina con la complicità di un non-partito che non ha gruppi dirigenti ma scudieri che gli devono tutto e lo accompagnano verso il disastro.

Il ballottaggio dimostra che il male di vivere riguarda il Pd, e per sottrarlo agli spasmi dello stato terminale non è questione di collante, campo, alleanze più o meno larghe.

Se non si costruisce una alternativa di sinistra al Pd, visto che i ricambi interni sono assai problematici in partiti leaderistici senza cultura politica, l’oblio del Nazareno si riverbera sul sistema determinando una fuoriuscita di destra alla crisi della democrazia.

Non si affronta però la gran tempesta del decesso del Pd con i raduni nei teatri e nella piccola piazza romana. A quando la politica?

 

 

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Michele Prospero (Pescosolido (Frosinone), 24 settembre 1959) è un filosofo italiano.

 

Michele Prospero, nato nel 1959 , si è laureato in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, discutendo una tesi sul giurista Hans Kelsen. Dal 2001 è professore associato di Filosofia del Diritto presso la facoltà di Scienza Politica, Sociologia e Scienze della Comunicazione della Sapienza. Autore di numerosi saggi, collabora con diverse riviste scientifiche e quotidiani, tra i quali soprattutto L’Unità (oggi a Il Manifesto).

I suoi interessi sono principalmente rivolti al sistema istituzionale italiano e al pensiero politico della sinistra.

Michele Prospero, inoltre, svolge attività di editorialista: le posizioni da lui espresse come analista politico sono state aspramente criticate dal giornalista Marco Travaglio, che lo ha accusato di “pagnottismo”. Tra i punti di dissenso, vi è la posizione critica assunta da Prospero nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia riposta da Marco Travaglio, e dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, nella intrinseca infallibilità del giudizio espresso dagli elettori e del popolo della Rete.

 

  • La politica postclassica, 1986.
  • Il nuovo inizio, 1990.
  • Nostalgia della grande politica, 1990.
  • La democrazia mediata, 1993.
  • Sistemi politici e storia, 1995.
  • Il pensiero politico della destra, Newton Compton, 1996.
  • I sistemi politici europei, Newton Compton, 1996.
  • Politica e vita buona, Euroma la Goliardica, 1996.
  • Sinistra e cambiamento istituzionale, 1997.
  • Storia delle istituzioni in Italia, Editori Riuniti, 1999.
  • Il fallimento del maggioritario, 2001
  • La politica moderna. Teorie e profili istituzionali, Carocci, 2002.
  • Lo Stato in appalto. Berlusconi e la privatizzazione del Politico, Manni Editori, 2003.
  • Politica e società globale, Laterza, 2004.
  • L’equivoco riformista, Manni Editori, 2005.
  • Alle origini del laico, FrancoAngeli, 2006.
  • La costituzione tra populismo e leaderismo, FrancoAngeli, 2007.
  • Filosofia del diritto di proprietà, FrancoAngeli, 2008.
  • Perché la sinistra ha perso le elezioni, a cura di Michele Prospero e Mario Morcellini, Ediesse, 2009.
  • Il comico della politica, nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Silvio Berlusconi, Ediesse, 2010.
  • Il libro nero della società civile, 2013.
  • Il nuovismo realizzato, Bordeaux edizioni, 2015.
  • La scienza politica di Gramsci, Bordeaux edizioni, 2016.
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2 risposte a MICHELE PROSPERO, PD IN COMA—MA LA SINISTRA NON RINASCE NEI TEATRI O NELLE PIAZZE

  1. Carine scrive:

    Nessuno, credo, e forse fortunatamente, ha la ricetta in tasca per una nuova sinistra. Bisognerebbe pensare ad una fase sperimentale, ad una conduzione collegiale della sinistra, fatta con chi ci sta senza pretendere incarichi di facciata. Si lavora insieme su alcuni punti fondamentali per il Paese ( lavoro, scuola ,sanità,ecc.), guardando a quelle esperienze,in Italia e all’estero, che danno buoni risultati. Si dice chiaramente ai cittadini qual’è la situazione generale in cui versa l’Italia e si chiede il contributo di tutti per andare avanti al meglio. Per uscire da questa situazione di stallo, di miseria diffusa, di malcontento generale, di annientamento di intere generazioni occorre quel coraggio che ha caratterizzato l’Italia nella Resistenza. Forze diverse si sono messe insieme,il fiorfiore della popolazione, e hanno salvato l’Italia. Certo, allora c’era un nemico tremendo, si combatteva contro la morte ogni giorno. Pure oggi c’è un nemico tremendo anche se non così immediatamente riconoscibile: la sparizione di una intera nazione insieme alle cose e alle persone migliori. L’Italia, non so più chi l’ha detto, ha dato il meglio di se’ in guerra quando a comandarla non c’erano generali medagliati e sprezzanti, ma soldati semplici e cittadini normali che volevano una nazione ” normale”. Il leader, che non è il dittatore ma quello che per esperienza, buon senso, conoscenza della realtà, capacità di ascolto, umiltà e consapevolezza dei propri limiti, emergerà sicuramente nelle lotte che si intraprenderanno. E di questa lotte ce ne sono molte da fare subito: una scuola che funzioni, un lavoro che non sia in nero o senza garanzie, una sanità che funzioni ed elimini i veri sprechi, una trasparenza vera degli atti della politica. E’ l’attuazione della Costituzione, altro che la sua cancellazione! Se si vedesse una tale carica di volontà concreta di cambiare io penso che molta parte delle persone scontente o perplesse che non vanno più a votare cambierebbero parere. Ma bisogna cambiare noi per primi, per potere convincere gli altri. Vogliamo vedere i segni concreti di questo cambiamento che avviene prima nel cervello di politici e non. Finora non lo abbiamo visto.

  2. Carine scrive:

    “Credo di essere arrivato negli ultimi anni alla convinzione che l’utopia della trasformazione della vita quotidiana debba diventare il modo di fare politica”. Questa frase di Bruno Trentin è tratta da ” Il coraggio dell’utopia. La sinistra e il sindacato dopo il taylorismo. Un’intervista di Bruno Ugolini”, Rizzoli,Milano 1994.
    Credo che la figura complessiva di Bruno Trentin ci possa dire molto in un periodo come questo, così privo di buone utopie da adeguare quotidianamente alla realtà di tutti i giorni.

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