LIPSIA::: GLI ULTRA’ CHE PREMIANO L’AfD —REPORTAGE DI LEONARDO COHEN PER IL FATTO DI OGGI, pag. 15

 

nota del blog :  l’ AfD, ai primi risultati che si sanno, ha preso il 13 % ed entra in Parlamento (limite è il 5%); il partito socialista, se non mi sbaglio, ha preso il 20% e si è ritirato all’opposizione

IL FATTO QUOTIDIANO DI DOMENICA 24 SETTEMBRE 2017 — IL REPORTAGE- ESTERI, pag. 15

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domenica 24/09/2017

Brutti, antipatici e cattivi: gli ultrà che premiano l’AfD

Lipsia – La squadra-fenomeno e l’orgoglio dei supporter che si identificano con il partito xenofobo e nazionalista

Ieri l’RB Leipzig ha battuto il Francoforte 2 a 1: il primo gol l’ha segnato al 28’ Timo Werner, attaccante anche della nazionale nonché della Under 21, acquistato dallo Stoccarda per 10 milioni di euro. Il raddoppio è arrivato per merito del francese Jean-Kevin Augustin, al 67’. Gli avversari hanno accorciato 10 minuti dopo. Oltre 40mila gli spettatori del bellissimo Zentrastadion, costruito nel 2004 per i Mondiali di due anni dopo, quelli vinti dall’Italia. In classifica è sesta.

Che c’entra la partita con le elezioni? C’entra, eccome: il tifo degli stadi nella Germania Orientale è un incubatore della rabbia, un veicolo di sfogo antisistema e xenofobo, in cui si concentra il risentimento del declassamento sociale e dell’emarginazione urbana, ma anche la nostalgia della Germania comunista, e in cui si è inserito abilmente Pegida, ossia “patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente”, un movimento di estrema destra che ha occupato lo spazio rimasto a lungo vuoto tra la Cdu-Csu (il centrodestra) e i gruppuscoli neonazisti, assai fiorenti nell’ex Ddr.

Cosa accomuna gli ultras? L’odio per Angela Merkel e per Bruxelles. Succede, quindi, che gli stadi diventino una sorta di territorio franco per lanciare slogan virulenti contro gli immigrati e gli stranieri e consolidare l’appartenenza identitaria. Il calcio è una sorta di collante: i club della defunta Germania Orientale, infatti, illustrano le contraddizioni dell’unificazione e il malessere sociale. Dopo la caduta del Muro, la Bundesliga dovette affrontare un problema piuttosto complicato: l’integrazione delle squadre orientali. Che avevano una grossa tradizione, anche a livello internazionale: come il leggendario FC Magdeburgo, per esempio, o la mitica SG Dynamo Dresda.

La nazionale Ddr aveva vinto l’oro, ai Giochi di Montreal, nel 1976. Insomma, un capitale umano e societario di spessore. Ma succede l’ineluttabile: le squadre orientali non dispongono dei capitali necessari per affrontare il campionato tedesco. Così, poco a poco spariscono dalla ribalta principale. Visto da Est, i cugini dell’Ovest decisero di liquidare la federazione dell’Est. Politicamente parlando, la prima era conservatrice, la seconda affiliata al partito comunista: i dirigenti delle squadre erano funzionari di Stato, non capivano nulla dei meccanismi capitalistici che regolavano il mondo del calcio occidentale. Fu dunque semplice approfittarne. In più, i club occidentali fecero razzia, accaparrandosi i calciatori migliori. Più di 200 si trasferirono senza alcun rimpianto. Sedotti da ingaggi per loro irresistibili.

La privatizzazione delle squadre, imposta dall’unificazione, fu un Far West. Rapaci e cinici imprenditori dell’Ovest fecero man bassa. Più che altro, erano imprenditori immobiliari. La “vetrina” del calcio, in città da ricostruire, restaurare e sfruttare. Incassati i quattrini, abbandonarono al loro destino i club. Esemplare la vicenda della Dinamo Dresda, che aveva vinto 8o campionati Ddr ed era stata 3 volte nei quarti di Coppa dei Campioni. Acquistata dallo speculatore Rolf Jurgen Otto, in tre anni fu distrutta (e “Otto der Grosse” finì in galera).

Il caso dell’RB Lipsia è diverso: nasce nel 2009, cooptando un modesto club della periferia cittadina. I soldi sono dell’austriaca Red Bull, che ha già squadre a New York, in Brasile e a Salisburgo. Il regolamento della Bundesliga vieta che i nomi delle squadre facciano riferimento ai loro sponsor. Fatta la legge, trovato l’inganno. La squadra viene battezzata RasenBallsport (letteralmente “sport della palla a prato”). In sigla, RB. Cioè Red Bull. La squadra in men che non si dica sale dalla quinta divisione alla Bundesliga, dove si piazza seconda e ottiene così il diritto di partecipare alla Champions. Tutto al grido orgoglioso “L’Est è tornato!”. Solo che i tifosi delle altre squadre li disprezzano. Invidiosi dei capitali di Red Bull. Del 2° posto lampo. Rinfacciano a quelli di Lispia di essere dei parvenus. Di non avere tradizione.

Il Lipsia diventa la squadra più odiata di Germania. Col risultato che la rabbia si radicalizza e che l’estremismo di destra si compatta dietro le bandiere ultras. Che oggi voteranno Afd, per spaventare la Merkel e l’Europa e diventare la terza forza del Bundestag. Un po’ come i russi, che hanno apertamente invitato a votare contro la Merkel: ieri sera la Gazprom proprio a Lipsia ha organizzato una festa per appoggiare la destra populista.

Leonardo Coen

Leonardo Coen

Giornalista e scrittore

Leonardo Coen, milanese e milanista (non berlusconiano), è tra i fondatori di Repubblica, dopo avere avuto esperienze significative all’Avvenire e al Giorno e avere partecipato alla fondazione del Quotidiano dei Lavoratori. A Repubblica ha alternato l’attività di giornalista politico, cronista, inviato di guerra, giornalista sportivo (ha raccontato quindici Olimpiadi, diciassette Giri d’Italia, alcuni Tour de France, etc.).

Dopo esperienze a Gerusalemme, New York e Londra, è stato corrispondente a Mosca. Ha pubblicato “La morte del maestro: i misteri di casa Guttuso” (1987) e “Il caso Marcinkus” (1991) scritti con Leo Sisti; “Piedi Puliti” (1998) insieme a Peter Gomez e Leo Sisti; “Rossoneri comunque” (2003) e “Putingrad”(2008).

Per Dalai editore ha pubblicato “L’ultima fuga” con Renato Vallanzasca e “Sodoma” (2011) scritto con Paolo Colonnello. Su repubblica.it tiene il blog Blog Trotter, uno dei primissimi generati da un quotidiano it.

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