Repubblica, 13 marzo 2015 –CHIARA UGOLINI, Il ritorno di “Metropolis” come non lo abbiamo mai visto. E come lo voleva Fritz Lang

 

REPUBBLICA, 13 MARZO 2015

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Il ritorno di "Metropolis" come non lo abbiamo mai visto. E come lo voleva Fritz Lang

Il ritorno di “Metropolis” come non lo abbiamo mai visto. E come lo voleva Fritz Lang

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In sala e contemporaneamente in dvd una versione del kolossal tedesco con 25 minuti in più e una colonna sonora ricostruita su quella originale

 

Era il 10 gennaio del 1927 all’Ufa-Palast am Zoo di Berlino “un’eccitazione, una tensione febbrili regnavano nella sala piena zeppa, il brusio si placò solo quando il compositore Gottfried Huppertz sollevà la sua bacchetta e le luci della sala si spensero lentamente”. Erich Kettelhut, scenografo e stretto collaboratore di Fritz Lang ricorda l’atmosfera di quella sera di 88 anni fa quando il pubblico conobbe per la prima voltaMetropolis. “Il pubblico dell’Ufa-Palast seguì con passione lo svolgimento del film – prosegue Kettelhut nella sua cronaca – A tratti gli applausi coprirono anche la musica”.

 

Dal 16 marzo nelle sale e contemporaneamente in dvd il film di Fritz Lang del 1927 che è stato restaurato da Friedrich-Wilhelm-MurnauStiftung e Deutsche Kinemathek in una versione che contiene 25 minuti perduti e ritrovati in Argentina nel 2008. Il film che racconta l’incontro tra una giovane donna del mondo di sotto (Maria, Brigitte Helm) e il figlio del dominatore della città (Freder, Gustav Fröhlich) sullo sfondo di una società divisa in due classi (separate anche fisicamente) dove i ricchi godono dello sfruttamento dei lavoratori.

 

L’amputazione. Ma il film che gli spettatori berlinesi videro in quella sera di gennaio non è lo stesso che ha attraversato la storia del cinema diventando un punto di riferimento per tutti i cineasti a venire. Quel film per 88 anni non è più esistito, a causa dei tagli che i produttori (americani prima, tedeschi poi) imposero al film senza l’autorizzazione dell’autore. Il regista viennese aveva già diretto Il dottor Mabuse (1922) e I Nibelunghi (in due parti: La morte di Sigfrido e La vendetta di Crimilde, 1923-1924) quando durante un viaggio negli Stati Uniti, sulla nave ormeggiata di fronte alle luci e ai grattacieli del West Side di New York, concepì l’impianto visivo di Metropolis. Il film era costato una cifra esorbitante per l’epoca: dopo aver superato i due milioni e mezzo di marchi, la casa di produzione tedesca Ufa era stata costretta a rivolgersi ad investitori americani che erano intervenuti nella produzione attraverso la Paramount e la Metro Goldwyn. E che fecero uscire il film nelle sale prima americane prima ancora che in quelle tedesche nel marzo del ’27 in una nuova versione che prevedeva nomi americanizzati per i protagonisti (il dittatore John Fredersen diventa John Masterman) ma soprattutto un lavoro di montaggio con tagli per un quarto del film. Dopo l’uscita americana anche i produttori tedeschi, senza consultare Lang, scelsero di mandare nelle sale una versione più corta di 35 minuti del film, tagli importanti che fanno scrivere al critico tedesco Balthasar (Roland Schacht): “Questo Metropolis non ha nulla a che vedere, neppure lontanamente, con il film che abbiamo visto meno di un anno fa. Quasi tutto il dramma e un gran numero di brillanti inquadrature sono scomparsi”.

 

 

Metropolis, 88 anni dopo, per la prima volta è “director’s cut”

 

 

 

Metamorfosi. Ma in cosa il nuovo Metropolis è diverso da quello che gli spettatori hanno visto per più di 80 anni? Intanto i tagli avevano reso il film di Lang un’opera decisamente più seria e apocalittica privandolo di molti tratti umoristici della storia e poi eliminando delle sequenze importanti avevano reso i rapporti tra i personaggi (in particolare quello tra il dittatore della città e lo scienziato) più ambigui. Ma quello che, secondo gli esperti, è la più grave conseguenza dei tagli è il fatto che il film nella versione breve finisce per essere una sorta di profezia mentre in quella più lunga è per lo più una riflessione sull’esistente, sul presente. Questo è il giudizio politico che Lang (dopo aver conosciuto le città occidentali europee, come Berlino, e americane, come New York) dà sulla società: la Metropolis del 2026 (con la sua suddivisione in classi, lo sfruttamento del lavoratore, il desiderio di ribellione delle masse) non è una città futuristica, è quello che Lang aveva visto intorno a sé. Ciò che però è paradossale, come ha scritto il critico inglese Kim Newman, “è che Metropolis risulta un film di denuncia della spietatezza d’un potere autoritario diretto a colpi di frusta da un genio creatore (Lang) capace di far radere la testa a migliaia di comparse, o di far loro rovesciare addosso tonnellate d’acqua”. Ma si sa il set cinematografico è peggio di una dittatura, comanda solo il regista. Peccato poi che, come la storia del cinema ci ha insegnato da Metropolis a Blade Runner, in sala di montaggio il dittatore è il produttore.

 

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