PAOLO MAGLIOCCO INTERVISTA IL NOBEL PER LA MEDICINA DEL 2007 MARIO CAPECCHI::: ” LA MODIFICA DEL DNA ” +++ ALTRI ARTICOLI SULL’ARGOMENTO

 

LE SCIENZE— 11-11-2017

http://www.lescienze.it/news/2017/11/11/news/capecchi_nobel_intervista_editing_genomico-3748493/

 

 

11 novembre 2017

Mario Capecchi e la modifica del DNA (trascrizione)

L’intervista è stata realizzata durante BergamoScienza, evento che si è tenuto a Bergamo dal 30 settembre al 15 ottobre 2017.

(Trascrizione e traduzione a cura di P. Magliocco)

Professor Capecchi, lei ha ricevuto il premio Nobel nel 2007, ma ha cominciato i suoi studi molto tempo fa.
Sì, molto tempo fa. Mi occupo di scienza da oltre cinquant’anni.

E quanto tempo c’è voluto per raggiungere il vostro risultato?
Beh, dall’inizio, ci vollero circa dieci anni per sviluppare il modo di individuare un particolare gene, per poter cambiare ogni gene di un topo e vedere quali fossero le conseguenze. Per esempio se un dito scompariva, potevamo dire che quel gene era responsabile del suo sviluppo. Questa è la tecnologia che sviluppammo.

Questo fu negli anni novanta?
Prima, negli anni ottanta. Ottenemmo il nostro primo finanziamento nel 1980.

Mario Capecchi e la modifica del DNA (trascrizione)
Il premio Nobel Mario Capecchi intervistato da Paolo Magliocco.

 

Ed è stata la prima volta che gli esseri umani sono stati capaci di modificare il DNA.
Sì. Modificare il DNA era già stato fatto proprio poco tempo prima, ma solo nei batteri. Noi abbiamo fatto il salto dai batteri ai topi. Un grande salto!

E questo è stato il modo per capire come funzionano i geni e quale sia il loro ruolo. Dopodiché si è scoperto che le cose sono un po’ più complicate, perché i geni interagiscono tra loro…
Sì, i geni interagiscono, è vero. Nulla è fatto da un solo gene, ma ogni gene ha più funzioni, fa cose diverse, nelle diverse parti del tuo organismo. Perciò bisogna isolare. Se stiamo lavorando sul fegato dobbiamo isolare quello che succede nel fegato da ciò che succede nel cuore o nei muscoli. Isolare e poi capire quale sia il ruolo di un gene in un particolare tessuto o in una particolare funzione. E questo è stato possibile solo più tardi.

E saremo in grado di capire davvero come funzionino tutte queste interazioni?
Io penso di sì. È complesso, ma penso che si possa arrivare a studiarle in un dettaglio sufficiente. È un’analisi molto più in profondità. E la faranno i miei figli, e i loro figli. È un processo continuo e ogni volta viene raffinato e la comprensione diventa più profonda.

Dunque sarà davvero il secolo della genetica?
Oh sì, penso di sì. L’ultima parte del secolo scorso è stata soprattutto l’era della genetica e penso che sarà così per un altro centinaio di anni.

Ma pensava che le cose sarebbero andate così velocemente?
No, no. Il passo ha decisamente accelerato. Per esempio, cinquant’anni fa sembrava inconcepibile che potessimo sequenziare l’intero genoma entro la fine del secolo. Sequenziarlo non ti dice ancora che cosa fa il genoma, ma hai tutte le informazioni per comprenderlo. Ed era inconcepile a quell’epoca. In un laboratorio in cui lavoravo ad Harvard la gente impiegava un intero anno a sequenziare dieci paia di basi del DNA, mentre oggi possiamo sequenziare un intero genoma in 15 minuti! La velocità è incredibile e la quantità di informazioni che possiamo ottenere è incredibile.

Presto lei conoscerà la sua sequenza del DNA, io conoscerò la mia. L’avremo su un chip e potremo utilizzare questa informazione per fare previsioni, per esempio sugli effetti di una certa medicina. E lei e io useremo le medicine in modi diversi. E penso che anche la gestione di molte malattie, per esempio il cancro, sarà molto differente nel giro di dieci anni da oggi. Oggi è barbaro ciò che facciamo. La chemioterapia è molto generalista e produce un sacco di danni all’organismo. Ci sono molti effetti collaterali, che richiedono anni per essere superati. È ancora una procedura barbara.
Saremo in grado di creare farmaci che siano molto più specifici, tollerati molto meglio.

Anche le tecniche per lavorare sul DNA che utilizziamo sono cambiate.
Sì, cambiano continuamente

Quante ne esistono ora?
L’ultimo sviluppo è stata la CRISPR Cas-9. Quello che fa è aumentare la frequenza di ciò che facciamo di un fattore 100. Fa le stesse cose che riuscivamo a fare, ma molto più in fretta e molto più a buon mercato. La precisione è la stessa. È solo più veloce e più economica.

Ma pensa che sia così a buon mercato?
Oh sì. È a buon mercato, ma non per la medicina umana, di certo per la ricerca. È un metodo economico rispetto agli altri, ma non lo è ancora davvero. E quanto sarà usato non è ancora chiaro. Alcune volte taglia il DNA nel punto sbagliato. Nei topi questo può essere poco importante, ma per l’uomo lo è. Solo il tempo dirà quale sia la verità su questo metodo.

Mario Capecchi e la modifica del DNA (trascrizione)
Mario Capecchi, Nobel per la medicina o la fisiologia nel 2007.

Che cosa pensa del dibattito sugli aspetti etici dell’uso di questa tecnica?
Io mi sento tranquillo se è usata all’interno della medicina ordinaria, che riguarda gli individui. Se tu subisci quello che io faccio, è una tua scelta e si tratta di medicina. Sono meno tranquillo se riguarda le generazioni future. Che è quel che succede se tocchi le cellule germinali. Penso che non sappiamo abbastanza per poter prendere questo tipo di decisioni. Anche se qualcuno spingerebbe in questa direzione, penso che lì ci siano dei problemi etici. Perché le generazioni future non hanno possibilità di esprimersi, non possono dire sì o no. Lei può dire: voglio o non voglio questa terapia. Questa è medicina. Ma i figli non hanno la possibilità di scelta dei loro genitori.

È una frontiera che non dobbiamo superare?
Io penso che sia una frontiera che non dobbiamo superare. Per il momento non ne sappiamo abbastanza per poterla superare. E se lo facessimo, come minimo dovremmo avere tecnologie che rendano le cose reversibili, in modo che se le generazioni future non volessero ciò che è stato fatto possano tornare indietro e cancellare quel che è stato fatto.

Anche nel caso che una modifica sia certamente un beneficio per la salute?
Il miglioramento, beh… Sono stato a una conferenza nella quale c’era una persona menomata, con un braccio mal sviluppato per le medicine prese durante la gravidanza. E lei sosteneva di essere una persona migliore grazie a questo. La sua avversità l’aveva migliorata, aveva migliorato la sua capacità di lavorare. Era una persona molto capace, con una mente assai lucida. E sosteneva che se quel difetto fosse stato corretto lei sarebbe stata come ogni altra persona. La correzione non è per forza una cosa buona. A volte se hai una sfida da affrontare… È come nelle gare, nello sport la gente migliora se stessa perché deve competere. Se non ci fosse la competizione non ci sarebbe alcun miglioramento. Migliorare le cose dal proprio punto di vista non significa farlo dal punto di vista di qualcun altro. Di nuovo, penso che sia l’individuo che deve fare la sua scelta. Non posso scegliere io per un altro, deve poterlo fare lui stesso.

Lei è d’accordo, allora, con l’idea di una moratoria su questo.
Sì, sono d’accordo. Per le cellule germinali direi che siamo ancora molto lontani.

 Professore, c’è stato un momento preciso in cui ha deciso che avrebbe trascorso la sua vita in un laboratorio?
Sì, ho studiato in una scuola che era molto buona. Per un quadrimestre studiavi, per un quadrimestre lavoravi, e così via. E i posti in cui lavorare erano in tutto il paese, molto buoni. Se eri uno studente di scienze andavi in un laboratorio scientifico, se studiavi teatro in un laboratorio teatrale, e in questo processo scoprivi davvero che cosa ti piaceva e che cosa no, e che cosa eri capace o no di fare. Io lavorai per due anni e mezzo durante il college in diversi laboratori: al MIT, allo Sloan Kettering, in tutti gli Stati Uniti. Questo ti fornisce davvero un’esperienza ed è un test per capire se qualcosa sia fatta per te. Lo trovai fantastico e piacevole. Penso che per me sia come giocare. E i miei figli e mia moglie mi dicono che io non lavoro, ma gioco. Risolviamo rompicapi. È sempre divertente.

Ma qual è la cosa più importante per cui valga la pena fare lo scienziato?
L’esperienza creativa, è questo che è davvero divertente della scienza. Il momento-eureka, in cui tu vedi qualcosa che nessun altro ha mai visto prima. O pensi a qualcosa che nessun altro ha mai pensato prima. Penso che sia questa. E uno dei motivi per cui mi spostai dalla fisica alla biologia molecolare è che nella fisica si usavano macchine sempre più grandi e gruppi di lavoro sempre più grandi. E per un esperimento di dieci ore poi si passavano tre mesi ad analizzare i dati. Io ho sempre voluto qualcosa da poter fare con le mie mani. E la biologia molecolare permette un lavoro più individualistico e creativo. Sono passato dalla fisica alla biologia molecolare attraverso queste esperienze di lavoro. Ero al MIT quando la biologia molecolare era appena nata ed era molto eccitante.

Lei fa ancora ricerca?
Oh sì, lavoro a tempo pieno in laboratorio.

A quali progetti sta lavorando oggi?
Lavoriamo su tre cose. La prima riguarda le tecnologia, perché la tecnologia è quella che fa fare i grandi salti, che ti permettono di fare qualcosa che non avresti mai potuto fare prima. E le tecnologie evolvono rapidamente in scienza. Perciò un terzo del laboratorio si occupa di nuove tecnologie, un terzo lavora sui tumori che colpiscono i bambini, che spesso sono estremamente letali. La prognosi per molti sarcomi è che l’ottanta per cento dei bambini morirà nel giro di cinque anni dai primi sintomi. Ed è terribile. Stiamo facendo grandi sforzi su questo tipo di tumori. E infine stiamo cominciando a lavorare sui disturbi neuropsichiatrici. Anche questo è un grande problema. Il 15 per cento di tutti noi andrà incontro a una depressione maggiore, che significa che dovrà andare in ospedale. Non starà solo male, avrà bisogno di aiuto. Sappiamo pochissimo di ciò che succede, di come funziona la mente. Stiamo realizzando dei modelli nei topi, per la depressione, i disturbi ossessivo-compulsivi e così via.

Non andrà mai in pensione?
Mia moglie dice che morirò in laboratorio. Ed è un buon modo per andarsene.

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