IL FATTO QUOTIDIANO DI LUNEDI’ 20 NOVEMBRE 2017, pag.8
Varese 1961, l’ultimo rogo dei libri “proibiti” in Italia
L’ultimo rogo di libri in Italia non risale ai tempi di frate Girolamo Savonarola e del suo “Falò delle Vanità” del martedì grasso fiorentino del 1497, oppure all’epoca di Papa Giulio II, che fece bruciare a Roma, intorno al 1554, le copie del Talmud. Non c’entrano neppure Benito Mussolini e i fascisti del ventennio, che, se dai camerati nazisti mutuarono le famigerate leggi razziali del 1938, non ne ereditarono tuttavia l’impresa della notte del 10 maggio 1933, quando a Berlino vennero dati alla fiamme migliaia di volumi di autori ritenuti antinazisti nella cosiddetta “Bücherverbrennungen”, ossia “rogo di libri”.
Spetta invece all’Italia democristiana a cavallo tra il 1957 e il 1961, l’Italietta dei governi dello Scudo Crociato di Antonio Segni, Amintore Fanfani, Fernando Tambroni e ancora di Fanfani, il primato di avere inquisito e poi fatto bruciare nel cortile della Questura di Varese le copie di Storielle Racconti e Raccontini del Marchese de Sade.
Era la primavera del 1961, l’anno del centenario dell’Unità d’Italia. Il libro era stato pubblicato nel maggio 1957 dalla casa editrice di Luigi Veronelli (1926-2004), il grande enogastronomo bergamasco, scrittore e giornalista, di idee e passioni genuinamente libertarie.
Veronelli, in quegli anni, aveva creato un piccolo marchio editoriale, dando alle stampe, tra l’altro, la rivista Problemi del socialismo diretta da Lelio Basso, e opere di Anatole France, di Gabriele D’Annunzio, dell’anarchico Pierre-Joseph Proudhon, e, per l’appunto, Historiettes, contes et fabliaux del Marchese de Sade.
Quest’ultimo volume, a poche settimane dalla sua uscita, non passò inosservato a Roma. I censori dell’Ufficio servizio spettacolo presso la Presidenza del Consiglio, quei burocrati dell’Italia bigotta immortalati da Alberto Sordi nel film Il moralista (del 1959) di Giorgio Bianchi, segnalarono di avere riscontrato nei racconti del celeberrimo marchese “chiari elementi di pornografia”.
Così, nell’agosto del 1957, il procuratore della Repubblica di Varese, la città in cui era stato stampato il volume, ordinò il sequestro di tutte le copie del libro, di cui oltre 500 nella sola città lombarda. L’inchiesta della magistratura portò sul banco degli accusati, oltre a Veronelli in veste di editore, l’autore delle illustrazioni Alberto Manfredi, il titolare della tipografia Emilio Manfredi e alcuni librai. Il processo di primo grado, in ogni caso, si chiuse con l’assoluzione di tutti gli imputati e con il dissequestro dei libri in questione.
Nella sentenza si sostenne, tra le altre cose, che se “non può mettersi in dubbio il contenuto osceno che tutti i racconti e di alcune della storielle, deve però riconoscersi che i singoli racconti e le storielle sono scritte con delicatezza d’immagine, senza alcun compiacimento dell’osceno”. E il loro esame, proseguiva meritoriamente il Tribunale di Varese, “convince subito che essi furono scritti non già a scopo pornografico, bensì per castigare i costumi dell’epoca alquanto rilassati”.
Il pubblico ministero di Varese, però, non fu per niente d’accordo. Fece ricorso alla corte d’Appello di Milano, contro l’assoluzione di Veronelli e dell’illustratore Alberto Manfredi.
E pertanto, l’8 maggio del 1959, i giudici meneghini, ribaltando la sentenza del Tribunale, assolsero Manfredi e condannarono Veronelli a tre mesi di reclusione, ordinando nel contempo un nuovo sequestro dei racconti del Marchese de Sade. Secondo loro, come scrissero, “nel caso in esame poi si tratta di rapporti contro natura, ai quali si allude con fraseologia sconcia di per se stessa, o mascherata in modo talmente grossolano, che la oscenità trapela da ogni parola, da ogni frase. E non vi è dubbio che tali racconti, sia per il linguaggio usato, sia per la natura dei fatti narrati, feriscono il senso del pudore, della decenza ed i più intimi sentimenti morali”.
La Corte di Cassazione, in seguito, amnistiò Veronelli. Ciò non impedì la distruzione dell’opera del povero marchese. Nel 1961 le copie dei racconti dell’aristocratico francese finirono in un bel falò, improvvisato nel cortile della Questura di Varese. Soltanto un certo Menéndez, capo del terzo corpo dell’esercito argentino, di stanza a Còrdoba, durante il colpo di Stato militare avrebbe fatto di meglio. Nel 1976 ordinò di bruciare opere di Macel Proust, di Gabriel Garcìa Màrquez, di Julio Cortàzar, di Pablo Neruda e di altri scrittori. Un falò, disse orgoglioso l’ufficiale golpista, che era stato fatto affinché “non rimanga nessuna parte di questi libri, opuscoli, riviste, perché con questo materiale non continui a ingannare i nostri figli”.
Come ha rammentato anni fa Luca Conte in un articolo uscito nella Rivista Storica Varesina, il falò di Varese avveniva proprio come “con involontaria e profetica ironia, i curatori del testo stessi avevano immaginato in una nota al lettore posta al termine del volume, invitandolo ovvero, qualora i racconti l’avessero annoiato, ad accettarne le scuse e a gettare nel fuoco il libro”.
All’ultimo rogo di libri avvenuto in Italia, volle presenziare lo stesso Veronelli. Raccontò un giorno al giornalista Gianni Mura di quella mattina del 1961: “I libri bruciavano e io battevo le mani, sotto gli sguardi ostili dei pochi presenti. L’amarezza in questa vicenda fu un’altra. Il Mondo era il mio faro, Mario Pannunzio il mio punto di riferimento. Gli scrissi prima del processo sperando che si esprimesse contro una sentenza liberticida e lui mi rispose seccamente: non mi occupo di pornografia”.
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Nemo ricorda con tristezza l’oscurantismo che ha condizionato la vita dei giovani, e non solo, della sua generazione. Utile l’articolo dell’amico Novelli ( autore, tra i tanti suoi libri, de L’uomo di Bordighera -Guido Seborga -) le cui ricerche sono preziose dal lato sia storico che umano. Grazie, cara Chiara e un abbraccio da Nemo.