FUORIGIOCO MANELLI, VIGNETTA DE IL FATTO DEL 27-11-2017

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 27-11-2017

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lunedì 27/11/2017

fuorigioco mannelli

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3 risposte a FUORIGIOCO MANELLI, VIGNETTA DE IL FATTO DEL 27-11-2017

  1. Donatella scrive:

    Non c’entra, ma lo metto lo stesso: è un pezzo della commemorazione che ha fatto mio fratello, a nome dell’ ANPI, dei Martiri di Poggio il 19 novembre 2017. E’ un pezzo di storia di Sanremo, che non abbiamo conosciuto direttamente ( per fortuna). Siamo a Poggio, nell’autunno del 1944, dove i miei genitori, mio fratello ed io piccolissima eravamo sfollati.
    “… la situazione era piena di tensione, di ansia continua.I bandi di Graziani, che venivano appiccicati ai muri dallo stesso factotum addetto a ” battere la grida”, a fare il netturbino e a chissà quali altre mansioni, aveva convinto anche i più titubanti fra i giovani a raggiungere i loro compagni sulle montagne. I partigiani che gravitavano nei dintorni erano molti, ma la parola ” partigiani” nessuno, in particolare i bambini, la potevano pronunciare in pubblico. Se proprio scappava di farne cenno, bisognava chiamarli ” ribelli”. Non dimentico i generi alimentari e di prima necessità razionati; certi avvisi tam-tam di rastrellamenti che costringevano gli uomini validi a lasciare casa e a fuggire nel pieno della notte per recarsi nei boschi; l’aereo ricognitore, Pippo o Pippetto che fosse, che di notte sorvolava la regione, ronzando misterioso e ossessionante; spari notturni; fame della gente; donne che, armate di damigiane, scendevano in città a prendere l’acqua del mare per potersi fabbricare il sale; il campo sportivo, allora detto ” del Littorio, che si vedeva in lontananza, spesso brulicante di moto, carri, sidecar e attorno un formicolio di uomini… alcuni militari che transitavano a gruppi di due, silenziosi, recando sulla schiena, a mò di zaini, certe grosse bobine di fili o cavetti destinati alla riparazione di linee telefoniche e telegrafiche saltate. A poco a poco i tedeschi diventarono feroci. Si sentiva la gente mormorare: ” Hanno ucciso un uomo lì… hanno fatto un rastrellamento là… nel tale paese hanno massacrato donne, uomini e bambini… persino un prete!… nel centro di Sanremo, tra la farmacia Donzella e l’edicola della Scassa hanno fatto un rastrellamento grandissimo… alcuni uomini sono fuggiti sul campanile di San Siro, altri si sono nascosti al fondo della galleria, dietro ad alcune vecchiette. I tanti che sono rimasti sono stati caricati su un camion… a Upega un capo dei ribelli ferito in battaglia si è sparato per non cadere vivo nelle mani di quei brutessi… gli americani hanno bombardato Sanremo vecchia, un mucchio di persone sono rimaste sotto le macerie! “.
    Si arrivò alla mattina del 20 ottobre 1944. Dopo un paio di bordate andate a vuoto, una nave francese riuscì a colpire il mercato dei fiori, dentro il quale c’erano circa cinquanta siluri tedeschi di nuovo modello, depositati giorni prima dai nostri ” camerati” germanici. Al bombardamento assistetti da un punto panoramico privilegiato. Avevo attorno una folla di donne piangenti e piansi anch’io nel vedere quel tremendo cinepascope di fuoco, fumo, cannonate e spezzoni incendiati che saltavano per ogni dove.
    Altra notizia terribile: fucilato nei pressi di Oneglia, dopo torture, il conosciutissimo sarto sanremasco Pippo Anselmi, antifascista da sempre, organizzatore delle prime ” bande”. Si sentì anche mormorare:” Un generale inglese, no, americano, ha mandato a dire ai ribelli di smobilitare, di andare a trascorrere l’inverno a casa, ma i nostri gli hanno risposto di andare a prendersela…”.

    24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
    Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo. In giro si sente un coro di urla e pianti. Si saprà poco dopo che i tedeschi hanno voluto, con quel gesto, vendicare l’uccisione di un loro commilitone, freddato pochi giorni prima non da un partigiano, ma da uno sbandato ubriaco. Questi, entrato nell’osteria della piazza, aveva compiuto la tragica bravata di sparare alle spalle del militare che stava giocando a carte o a bere. L’ucciso non apparteneva alle SS : era un graduato che non aveva mai mostrato crudeltà alcuna, addirittura ben voluto da tutti. La popolazione organizzò subito un funerale solenne, sperando di scongiurare la rappresaglia. Ma il comando tedesco, aiutato dai fascisti, prelevati dei prigionieri da Villa Oberg o dal Castello Devachan, la rappresaglia la mise in atto. Gli assassini, dopo avere ucciso i dieci giovani prigionieri, diedero fuoco all’osteria dove tutto aveva avuto inizio; poi, entrati nell’alloggio dal cui balcone una donna aveva gridato qualche parola ad uno dei condannati, chiamandolo per nome, distrussero e incendiarono tutto quanto trovarono, senza dimenticarsi, prima di risalire sul camion e ripartire, di ordinare che nessun abitante di Poggio si azzardasse a toccare i cadaveri sanguinanti.
    Gli incendi vennero domati, la piazza rimase devastata per un bel pezzo, con i buchi lasciati dalle pallottole ben visibili su una saracinesca e un muro. I corpi, dopo un giorno o due, vennero furtivamente non sepolti ma interrati provvisoriamente in un terreno vicino, ciascuno con attaccato a un piede un cartellino con le generalità. Tutto ciò fu organizzato dalle donne, guidate dal necroforo del paese. ( continua ).

  2. Donatella scrive:

    …Continua… ” Se vado con la memoria alle convulse e frenetiche giornate della Liberazione rivedo biancheggiare molte lenzuola dai terrazzi e da davanzali, mentre un aereo sorvola a bassa quota l’abitato. Rivedo uno stuolo di donne, le sfollate in prima fila, intente ad aiutare i gestori del Dopolavoro nella preparazione di un grande pranzo di festa. Vi era stato invitato, assieme ai più poveri del paese, un ragazzo sempliciotto, che nell’esprimere il suo grazie, eseguì un impeccabile saluto romano. Fu redarguito all’istante da un baffuto e barbuto comandante dalla cintura carica di bombe a mano: ” Fìu, da ancòi u se salùa cuscì, cu-u pùgnu serràu” ( Figliolo, da oggi si saluta così, con il pugno chiuso). Cominciò allora la carriera della canzone “Fischia il vento” composta dal nostro Felice Cascione, finalmente cantata in pubblico da tutti e non soltanto dai pochi in montagna. Era intercalata, nel giubilo di quei momenti, tra una bevuta e l’altra, tra un ballo e l’altro, da ritmi americani fino ad un mese prima proibitissimi.
    Avvenne il disseppellimento di quei poveri corpi martoriati, il loro funerale e, una volta contattati i parenti, la sepoltura definitiva nei paesi d’origine.
    A distanza d’anni, mentre ancora ci commuove il ricordo di quei morti troppo spesso dimenticati, mi viene in mente una poesia di Marco Tobino, scritta come incipit al suo libro ” Il clandestino” ( Mondadori 1962) :

    Fu un amore, amici,
    che doveva finire;
    credemmo che gli uomini fossero santi,
    i cattivi uccisi da noi,
    credemmo che diventasse tutta festa e perdono,
    le piante stormissero fanfare di verde,
    la morte premio che brulla
    come sul petto del bambino
    la medaglia alle scuole elementari.
    Con pena, con lunga ritrosia,
    ci ricredemmo.
    Rimane in noi il giglio di quell’amore.

  3. Donatella scrive:

    Mi sembra giusto ricordare, nome per nome, quei giovani torturati e uccisi dai nazi-fascisti, nostri ideali figli e nipoti:
    Domenico Basso ( Vincenzo ) di Rocchetta Nervina (Imperia)
    Giuseppe Castiglione ( Beppe) di Centuripe ( Enna )
    Pietro Catalano- Ventimiglia ( Imperia)
    Giovanni Ceriolo (Dino)- Bussana- Sanremo (Imperia)
    Pietro Famiano ( Piero)- Sant’Agata (Imperia)
    Michele Ferrara ( Magnin)- Pigna ( Imperia)
    Aldo Limon- Olivetta San Michele ( Imperia)
    Giobatta Littardi ( Giovanni)- Pigna ( Imperia)
    Paolo Selmi ( Biancon)- Genova
    Ignoto

    Al ritorno dall’avere trucidato a Poggio quei dieci giovani, i nazifascisti si fermarono in località San Giacomo e ne assassinarono davanti alla chiesa altri tre:
    Marco Carabalona
    Filippo Basso
    Stefano Boero
    Tutti e tre erano contadini di Rocchetta Nervina.
    Poco prima della Liberazione, il 22 aprile 1945, veniva fucilato il patriota milanese Gualtiero Zanderighi ( tenore). Poggio di Sanremo ha avuto un’altra giovane vittima, Andrea Grossi Bianchi.

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