FRANCO BONINI, QUELLI DI PIAZZA SANTA STEFANO PUBBLICA DEL 23 DICEMBRE 1929, LA LETTERA ALLA MADRE DI SANDRO PERTINI—AGGIUNGIAMO UNA PARTE DELLA BIOGRAFIA DAL BLOG ” CENTRO PERTINI.ORG “

 

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Pertini, imbianchino a Nizza

 

Franco Bonini

 

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25 aprile in piazza Duomo a Milano

 

23 DICEMBRE 1929
LETTERA DI SANDRO PERTINI INVIATA ALLA MADRE
“Viva il Socialismo“, “Abbasso il fascismo“.

“Mia buona mamma,

Son riuscito a procurarmi un pezzo di lapis e un po’ di carta e tento di scriverti nonostante questi maledetti ferri che mi stringono i polsi. Voglio che ti giungano i miei auguri per il nuovo anno, mamma, e farò di tutto perché a Napoli questa mia lettera sia imbucata. Sono qui solo in una piccola cella del vagone cellulare. Mi portano a Napoli e verso il 27 mi porteranno al reclusorio di S. Stefano. Mamma buona e santa, non ti rattristare per questa tua nuova sorte. Pensa, mamma, che lotto per un’idea sublime, tutta luce.
Oggi più di ieri io sento d’amare questa idea. Il carcere rende più profondo in me questo amore. La condanna, mamma buona, è motivo d’orgoglio per il tuo Sandro, e lo deve essere per te. Se tu sapessi con quale gioia, e con quanta fierezza io alzai dalla gabbia dopo la lettura della sentenza il grido della mia fede “Viva il Socialismo“, “Abbasso il fascismo“. E allora mi saltarono addosso furenti, turandomi la bocca quasi a soffocarmi, ma io nulla sentivo. Ascoltavo solo il mio cuore battere contento.
Scrivi alla buona Signora e diglielo che oggi più di ieri sono degno del loro affetto. Fa che non mi dimentichino. Dirai loro che auguro a tutti un anno fecondo per la nostra causa. Cerchino di lottare sempre con più ardore di ieri, perché oggi essi uomini liberi devono lottare anche per noi costretti all’inazione, che il mio spirito è sempre con loro e sogno la libertà solo per riprendere fra di loro il mio posto di combattimento. Vorrei che il mio saluto giungesse in modo particolare al maestro e ai miei compagni di lavoro, che non dimentico. Fu lavorando con essi, che io conobbi tanto bene che prima ignoravo, e che arricchii di pregio e virtù il mio animo, rendendolo capace di affrontare serenamente prove come questa.
Sappiamo che a S. Stefano vi si trovano Zaniboni e Terracini, mi sarà difficile però vederli, perché dovrò fare circa 20 mesi di segregazione cellulare. Gramsci è ammalato gravemente, Scacianna è tisico, il Tulli è diventato cieco. Noi politici siamo sorvegliatissimi, e il carcere viene reso più duro a noi che ai reclusi comuni.
Grazie mamma, di quanto mi hai mandato, non speravo tanto. Per ora continua a scrivere a Regina Coeli perché devi fare finta di non averla ricevuta questa mia. L’unita lettera appena letta spediscila alla buona signora. Tu mamma, amami sempre così!

Ti stringe forte il tuo Sandro!

 

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una Emma Bonino giovanissima e assai graziosa / con Sandro Pertini

 

 

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Sandro Pertini con Carla Voltolina, partigiana, giornalista e sua moglie

 

 

COSA CI DIREBBE OGGI?

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Sandro Pertini
Il Presidente Partigiano
25 Settembre 1896 – 24 Febbraio 1990

a cura del Centro Culturale Sandro Pertini
Ritratto di Sandro Pertini
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La vita di Sandro Pertini
1. Gli anni della gioventù.
2. Sotto l’oppressione nazi-fascista.
3. La resistenza.
4. Il dopoguerra.
5. Pertini presidente della Repubblica.1. Gli anni della gioventù.
Ripercorrere le tappe della vita di Sandro Pertini equivale a leggere un appassionante capitolo di storia del nostro Paese.
Stella S.Giovanni, Casa natale di Sandro PertiniPertini nasce a Stella (Savona) il 25 settembre del 1896. La madre Maria Muzio ebbe cinque figli, Sandro, Gigi, Giuseppe detto Pippo, Eugenio e Marion. Il padre Alberto morì giovane, fu la madre a doversi prendere cura dei figli, dei terreni agricoli e delle cascine ereditate. Con il fratello Eugenio, Sandro frequentò il ginnasio nel collegio dei salesiani di Varazze, dei quali diceva: “Mi hanno insegnato ad amare i poveri”. A Savona tornò per il liceo e là cominciò l’impegno socialista.
Alle lotte dei lavoratori e dei contadini, alla prima guerra mondiale, Pertini partecipò combattendo con coraggio. Fu poi il momento dell’opposizione alla dittatura fascista, dell’esilio, della clandestinità, del carcere, e del confino. Nel 1918 si iscrive al Partito Socialista, schierandosi contro il fascismo subendo di conseguenza numerose aggressioni squadristiche.
Pertini è uno dei pochissimi italiani che non si sono mai piegati al compromesso, mentre milioni di persone accettavano supinamente la retorica di una dittatura antidemocratica, Pertini ancora giovanissimo e senza esperienza politica, si mantenne uomo sempre capace di pensare con la propria testa.
Il suo carattere indipendente non solo lo pose in contrasto con il potere fascista ma ne fece spesso un personaggio scomodo anche all’interno della sinistra. Con i comunisti Pertini ha spesso litigato, pur riconoscendo il peso che hanno avuto e il prezzo che hanno pagato in quegli anni. In ogni momento della sua vita l’intransigenza di Pertini è stata illuminata da una grande umanità: si è sempre battuto per aiutare, nelle carceri, i compagni ammalati o sottoposti a maltrattamenti. Nel carcere di Turi aiutò anche Antonio Gramsci, riuscendo ad attenuare, almeno in parte, le vessazioni dei carcerieri.
Pertini nel Partito Socialista aderisce alla corrente riformista di Filippo Turati, alla quale resterà sempre fedele. Nel maggio 1919 viene eletto consigliere comunale di Stella. Nel 1921 è eletto delegato al Congresso socialista di Livorno. Nel corso dello scontro ideologico che caratterizzerà quel congresso un gruppo di sinistra deciderà di abbandonare il partito e di fondare il Partito comunista rifacendosi ai principi del marxismo-leninismo e si proclama apertamente rivoluzionario. Pertini resta fedele al socialismo tradizionale riformista che ha in Filippo Turati l’esponente più rappresentativo.
2. Sotto l’oppressione nazi-fascista.
Lo scontro fra le forze democratiche e quanti pensano di ristabilire la pace sociale con metodi violenti arriva ad una svolta nell’ottobre 1922, al momento della “Marcia su Roma”. La mobilitazione fascista offre al re il pretesto per proporre a Mussolini la presidenza del Consiglio: la monarchia e le forze conservatrici si illudono di poter usare Mussolini e le sue squadracce di bastonatori per mettere a tacere i partiti di massa e le organizzazioni sindacali almeno per un breve periodo. Mussolini infatti si impadronirà di tutto il potere e lo terrà per ventun’anni, imponendo al paese un regime dittatoriale che ne travolgerà le fragili strutture democratiche e trascinerà l’Italia in una sanguinosa guerra e ad una memorabile sconfitta militare. Milioni di italiani illudendosi che Mussolini sarebbe stato in grado di risolvere i problemi del Paese, aderiranno al fascismo
Si laurea a Genova in giurisprudenza nel 1923 e a Firenze in scienze politiche nel 1924 presso l’Istituto Cesare Alfieri.
Nel maggio del 1924 il leader socialista Giacomo Matteotti in un suo discorso alla Camera attacca Mussolini e le sue squadre di picchiatori. Viene barbaramente assassinato da un gruppo di fedelissimi del capo del governo. Pertini a Firenze ricorda che quell’orrendo delitto riempì d’indignazione la gente che si staccava dall’occhiello il distintivo fascista e lo gettava via. “Era quello il momento giusto per abbattere Mussolini e il fascismo”dice Pertini “ma si perse tempo e non si concluse nulla”.
Il 3 giugno 1925, in risposta al discorso di Mussolini del 3 Gennaio, Pertini pubblica un opuscolo: “Sotto il barbaro dominio fascista” che gli comporta la prima condanna a 8 mesi di carcere. Il 4 dicembre 1926 subisce la seconda condanna, che consiste in 5 anni di confino ma riesce a sottrarsi alla cattura rifugiandosi a Milano presso Carlo Rosselli. Insieme a Parri e Rosselli organizza la fuga in Francia di Filippo Turati suo fedele maestro. “Il 31 ottobre 1926 Sandro Pertini organizza un comizio di operai a Savona: la notte, rientrando a casa, viene aggredito da una squadraccia fascista che lo manganella selvaggiamente, spezzandogli il braccio destro, che gli viene ingessato all’altezza del gomito. Gli squadristi gli danno il bando dalla città di Savona, minacciandolo di morte se lo incontreranno per strada.” Pertini si trasferisce a Milano e comincia a frequentare la casa di Carlo Rosselli.
Il 6 novembre 1926 vengono aboliti tutti i passaporti per l’estero, soppressi i giornali d’opposizione, sciolti i partiti politici. Nella stessa seduta il Consiglio dei Ministri affida al Ministro della Giustizia Alfredo Rocco l’incarico di stilare nuove leggi per la sicurezza dello Stato che comprenderanno, fra l’altro, l’istituzione della pena di morte, del Tribunale speciale e del confino di polizia per gli avversari del regime.
Il 9 novembre riapre la Camera dei Deputati: sono assenti i centoventiquattro parlamentari dell’opposizione, dei quali viene approvata, seduta stante, la decadenza dal mandato. Alcuni di essi, tra cui Antonio Gramsci, sono già stati arrestati. Entra anche in funzione l’organizzazione spionistica dell’OVRA, “Opera di vigilanza e di repressione dell’antifascismo” che dà la caccia a uomini e donne considerati nemici del regime. Sandro Pertini, definito dall’OVRA avversario irriducibile, viene subito incluso nella lista, in quanto svolge un’opera diretta ad ostacolare l’azione dei poteri dello Stato.
Il 4 dicembre 1926 la Regia Prefettura di Genova ordina che “l’avvocato Sandro Pertini sia assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque”. Pertini sfugge al confino, essendosi rifugiato a Milano: con i fratelli Rosselli sta preparando l’espatrio di Filippo Turati, il vecchio leader socialista che i fascisti tengono sotto stretta sorveglianza a Milano. Pertini racconta “…Dopo le leggi eccezionali l’Italia era diventata un gigantesco carcere e noi dovevamo fare in modo che Filippo Turati, che consideravamo la persona più autorevole dell’antifascismo, potesse recarsi all’estero e da lì condurre la lotta, accusando davanti al mondo intero la dittatura fascista. Fui io a consigliare la fuga per mare con un motoscafo che sarebbe partito dalla mia Savona. Parri e Rosselli temevano che il litorale ligure fosse troppo sorvegliato. Ma io decisi di andare a Savona, in bocca ai miei nemici, e lì incontrai due esperti marinai, Dabove e Oxilia, ai quali va la mia gratitudine: essi mi confermarono che era possibile raggiungere la Corsica con un motoscafo capace di tenere l’alto mare.
L’8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città. Turati rimase nascosto con me a Quiliano, vicino a Savona, in casa di un mio caro amico, Italo Oxilia. Dormivamo nella stessa stanza, Turati soffriva d’insonnia e passava le ore discorrendo con me della triste situazione creata dal fascismo e della necessità della sua partenza, ma anche dello strazio che questa partenza rappresentava per il suo animo.
Si decise di partire il 12 dicembre 1926. Parri, Adriano Olivetti ed io scendemmo in un’insenatura vicino al faro di Vado Ligure per perlustrare la zona. Dabove e Oxilia, i due capitani di mare, accostarono agli scogli con il motoscafo per prenderci a bordo, ma videro una guardia di finanza al molo e decisero di allontanarsi. Decidemmo di tornare a Savona e partire dal Lanternino verde in piena città. La decisione era rischiosa perché quella sera Savona era piena di fascisti che festeggiavano la promozione a capoluogo di provincia. Sul molo del Lanternino verde c’era il ristorante “I pesci vivi”: passando con Turati e gli altri compagni, dicemmo ai carabinieri di guardia che andavamo a mangiare il pesce fresco. Quelli ci augurarono “buon appetito”. Alle 10 di sera saliamo sul motoscafo e partiamo subito puntando verso la Corsica; il mare è agitato e rovescia onde su onde sulla prua ma il motoscafo è largo di chiatta e tiene bene la rotta. In compenso è piuttosto lento. Ad un certo punto le bussole di bordo impazziscono e noi, regolandoci con le stelle, ordiniamo ai timonieri di puntare sul porto di Calvi, cioè ad ovest, per non correre il rischio, andando verso Bastìa, di prendere terra all’Isola d’Elba, dove saremmo caduti in mano ai fascisti. Sul molo c’erano molti curiosi e parecchi gendarmi francesi avvertiti dall’osservatorio di Capo Corso, che ci aveva già avvistati alle prime luci dell’alba. I gendarmi ci portarono alla Capitaneria di porto, credendoci dei fascisti. Eravamo inzuppati d’acqua e quando il Comandante della Capitaneria chiese chi era il capitano del motoscafo Turati disse: “C’est moi! Filippo Turati”. A sentire quel nome i gendarmi cambiarono atteggiamento, manifestandoci grande simpatia e rispetto, e consentirono a Turati di inviare due telegrammi a Painlevè e a Briand, chiedendo asilo politico al Governo Francese.
Il Governo e i socialisti francesi ci diedero subito la loro solidarietà e il benvenuto. Molti giornalisti arrivarono a Calvi da Bastìa e pubblicarono imprudentemente la notizia che Turati era arrivato in Francia con Carlo Rosselli e Ferruccio Parri. Pernottammo a Calvi, Turati voleva indurre Rosselli a restare con noi, a non far ritorno in Italia, ma vane furono le nostre insistenze. Così la mattina dopo il motoscafo ripartiva con Oxilia, Dabove, Boyancè e il giovane meccanico del motoscafo Ameglio. Con essi erano anche Parri e Rosselli. L’addio fu straziante. Ci abbracciammo senza pronunciare parola cercando di trattenere la profonda commozione.
Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. E’ l’estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: “Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia”. Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni.
La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto per Nizza e di lì proseguimmo per Parigi dove trovammo Nenni, Modigliani, Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili”.
Ferruccio Parri e Carlo Rosselli vengono arrestati al loro rientro in Italia dalla Corsica, mentre attraccavano al pontile Walton di Marina di Carrara: invano cercano di far credere che stanno rientrando da una gita turistica. Ma le indagini dell’OVRA e della polizia portarono anche all’arresto degli altri complici: il Tribunale di Savona condannò a dieci mesi di carcere Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Dabove e Boyancè. Anche Turati e Pertini vennero condannati a dieci mesi in contumacia per espatrio clandestino.
In Francia Pertini si mantiene facendo il “laveur des taxi” ed in seguito il manovale muratore. Da Parigi si trasferisce a Nizza ma anche in Francia subisce due processi a causa della sua attività politica.
Il 30 novembre 1929 torna clandestinamente in Italia e continua l’azione antifascista, viene conosciuto da un delatore ed arrestato e condannato ad 11 anni di reclusione. Durante la lettura della condanna urla: “VIVA IL SOCIALISMO ABBASSO IL FASCISMO”.
Dopo 7 anni di carcere viene inviato al confino prima a Ponza poi a Ventotene.
Tutte le Sue condanne erano relative a reati per idee e azioni antifasciste e giunse a rifiutare la grazia presentata dalla madre per le sue gravi condizioni di salute.
L’ambiente umido, il vitto scarso e la segregazione incidono sullo stato di salute di un uomo forte com’è Pertini. La notizia riesce a filtrare fuori dalle mura del carcere e arriva a Parigi, a Filippo Turati, attraverso due lettere scritte da Carlo Rosselli e da Palmiro Togliatti. Il 3 gennaio del 1930 Carlo Rosselli scrive a Turati: “Ormai mi pare che più che una protesta valga una segnalazione della sorte riservata a questi eroici combattenti per la libertà. Spiegare come una condanna alla segregazione sia una condanna alla pazzia e alla consunzione o alle due cose insieme. Vedi se ti riesce di buttar giù una breve lettera che possa interessare l’estero: Marion (sorella di Pertini) è pronta a tradurla”.
Successivamente, il 30 ottobre 1930, Palmiro Togliatti scrive a Turati: “Pertini non sta bene di salute. Il medico del carcere ha chiesto il suo trasferimento in altro carcere. Il direttore del carcere (si chiama Russo) non ha nemmeno inoltrata la richiesta. E’ necessario che la cosa venga denunciata. Pertini prega che questa notizia venga comunicata al signor A. Costa, Nizza, rue Gioffredo, 28… La fonte da cui ricevo queste comunicazioni è sicura e diretta. Credo che la denuncia pubblica dovrete farla. La nostra esperienza è che essa serva sempre a qualche cosa (caso Terracini, di cui si è ottenuto l’allontanamento da Santo Stefano; idem per Scoccimarro)”.
Le denunce e le proteste provenienti dall’estero inducono le autorità fasciste a far trasferire Pertini in un carcere meno duro, e che ospitava malati anche gravi: il carcere di Turi, in provincia di Bari. Il 10 dicembre 1931 Pertini lascia Santo Stefano e viene imbarcato su un traghetto per Napoli. Pertini ricorda: “Chiesi al maresciallo dei carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo coraggio”.
“A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava un’aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: ” Perché mi dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e due”, “Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei social-traditori”. Gramsci disse di lasciar stare quella polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e Gramsci parlò di Turati e Treves in maniera che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo Gramsci si scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che si trovavano in Francia.
Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo insieme anche perchè era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi fecero anche con Camilla Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai carcerieri: credo che l’ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non fossero state segate per un’evasione. Dissi al direttore che se la situazione non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi potè dormire tranquillo. Le mie proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia con Gramsci mi mise in contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio trasferimento a Pianosa, all’inizio del 1932. Il regolamento carcerario era assai duro e veniva applicato, specialmente nei confronti dei condannati dal Tribunale speciale, in maniera rigida e fedele.
Il sanatorio giudiziario di Pianosa, dove Pertini fu trasferito all’inizio del 1932, avrebbe dovuto essere un luogo di cura per malati gravi di malattie polmonari. Era in realtà un luogo infernale, diretto da un certo Caddeo, uomo rozzo ed aggressivo, che stabilì subito con Pertini un rapporto di antipatia e di sopruso. La piccola superficie dell’isola di Pianosa è battuta dai venti del mare, e la sua aria ricca di iodio non si addice certo a malati di tubercolosi. Al suo arrivo dal carcere di Turi, Pertini risulta affetto da apicite destra, con elevamento termico costante. Ciononostante il direttore del penitenziario si accanisce contro di lui. Il 28 aprile del 32 Pertini decide di scrivergli in reazione all’offesa della sua dignità di carcerato una lettera dai toni durissimi chiedendo il rispetto della condizione di carcerato e della possibilità di poter avere garantito il collegamento epistolare con la madre. In seguito a questa lettera Pertini viene punito con quindici giorni di cella di segregazione per “ingiurie all’autorità”. Intanto le sue condizioni di salute si aggravano e sua madre decide di firmare la domanda di grazia. Pertini immediatamente se ne dissocia.Sandro Pertini a Milano, 25 Aprile 1945Stabilimenti Penali di Pianosa
Al Presidente del Tribunale speciale
23 febbraio 1933
“La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi, a simile domanda, perchè sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme”.
Il recluso politico Sandro Pertini.”Per giustificare il gesto di mia madre, che io ho amato immensamente, devo spiegare com’erano andate le cose. Quando lei era venuta a trovarmi a Regina Coeli, e io ero sotto processo, mi feci promettere che non avrebbe mai compiuto atti di debolezza, e soprattutto non avrebbe presentato domanda di grazia. La povera donna disse di sì. Ma accadde che io, a Pianosa, mi ammalai così gravemente da essere ridotto in fin di vita, e alcuni miei amici di Savona vennero a conoscenza della situazione. Allora andarono da mia madre e la pregarono, la esortarono ad intervenire. Ma mia madre disse: “No, avevo promesso a Sandro di non compiere nessun atto di debolezza, di non fare nessuna domanda di grazia” Ma questi insistettero affermando che il proprio figlio è gravemente ammalato e che lei sola potesse salvarlo. La povera donna fece domanda. E io commisi una crudeltà che ancora adesso mi pesa. Per due mesi non scrissi a mia madre, finché venni a sapere la verità, e allora ripresi la corrispondenza”.
“E’ giusto dire che non fui il solo a rifiutare la domanda di grazia”, ricordando diversi episodi di contadini ed operai che neppure in punto di morte avevano permesso tanto alle proprie famiglie disperate”. Pertini sosteneva: “L’uomo che ha una cultura deve più degli altri essere fedele ai principi di libertà, perché se la cultura non crea una coscienza civica, non serve a nulla, è nozionismo, allora tanto vale andare ad un quiz televisivo…Ma spesso a rifiutare la domanda di grazia erano dei quasi analfabeti e questo è veramente da ricordare. Il mio pensiero torna spesso a questi compagni di galera che ricordo con affetto e ammirazione”.
Scontati durissimi anni di galera Pertini passa al periodo di confino politico all’Isola di Ponza il 10 settembre 1934. Vi rimarrà sei anni.
Pertini ricorda di aver trovato nell’isola parecchi comunisti: da Terracini a Secchia, Scoccimarro, Camilla Ravera, Giorgio Amendola che non era ancora un dirigente. C’erano quelli di Giustizia e Libertà e alcuni anarchici livornesi. Lui aspettava qualche socialista che non arrivava mai, dichiara: “Io restavo il solo Socialista e mi dispiaceva. Amendola diceva che avevo torto ad arrabbiarmi perché i socialisti erano più furbi dei comunisti e non si lasciavano acciuffare dalla polizia del regime. Per questo non arrivavano, non perché non c’erano”.
Pertini ricorda che quando, nel luglio del ’36, scoppia in Spagna la guerra civile e Carlo Rosselli lancia un appello a tutti i gruppi di Giustizia e Libertà perché intervengano a fianco del popolo spagnolo, l’eco di quell’appello arriva fra i confinati di Ponza e molti sperano di evadere per poter raggiungere la Spagna. Nei primi mesi del 37 furono introdotte nuove restrizioni per i confinati più pericolosi: non dovevano intrattenersi fra loro e neppure salutarsi per strada. Fu sciolta la mensa collettiva e Pertini infuriato protestò contro la posizione vessatoria:. ne nacque una diatriba che sfociò in un processo. Con le manette ai polsi fu tradotto sul battello Ponza-Napoli scortato da alcuni carabinieri. Al processo il 17 giugno 37 c’è molta gente che simpatizza per Pertini. Il pubblico ministero chiede tre mesi di arresto ma il Tribunale di Napoli assolve Pertini per insufficienza di prove. A Ponza le condizioni di salute di Pertini peggiorano: il dirigente dell’infermeria chiede il ricovero in sanatorio, ma il capo della polizia Bocchini è contrario perché considera Pertini un irriducibile. Pertini è costretto a minacciare lo sciopero della fame a oltranza, e solo allora il direttore di Ponza acconsente a trasferire Pertini, insieme con tutti gli altri confinati, a Ventotene. Pertini e gli altri pericolosi venivano pedinati addirittura alla distanza di un metro: un milite a turno li seguiva continuamente.
L’8 settembre del 1940 Pertini aveva finito di scontare tutte le sue condanne al carcere e al confino. Ma ancora una volta intervenne Mussolini per prolungare di altri cinque anni l’arresto e il confino.
Così recita l’ordinanza della prefettura di Littoria, in data 20 settembre 1940: “Ritenuto che detto Pertini, per i suoi precedenti politici e per la sua attività sovversiva, è pericoloso per la sicurezza pubblica e per l’ordine nazionale dello Stato, si delibera: Pertini Alessandro è riassegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque confermandone l’arresto”.
Questo vuol dire dittatura! Ma nonostante tutto, le persecuzioni non riescono a piegare la fibra di Pertini che è particolarmente vivace e attivo e cura addirittura la sua eleganza. Camilla Ravera ricorda: “Amichevoli conversazioni e discussioni avvenivano a Ventotene con esponenti di altri partiti e movimenti: Pertini, sempre elegante, cordialissimo e impaziente verso lo svolgersi dei fatti.”
Probabilmente è questo il segreto di Pertini: avere sempre la forza di mantenere la propria dignità, anche quando si trova apparentemente isolato e solo contro i potenti e i sopraffattori.
L’11 settembre del 1941 avviene l’incontro con la madre. Pertini afferma : “Per rivedere mia madre accettai di andare a Savona. Rivedevo la mia città dopo tanti anni (era, ricordo, una giornata di sole) di dura separazione. Giunsi al carcere e venni chiuso in una cella. Dopo circa un’ora vennero a prendermi e mi condussero in una stanza dove il capoguardia con alcuni agenti mi aspettava”. “Ora” disse “potrete rivedere vostra madre”. “Mi sembrò che il cuore cessasse di battere. Essa apparve all’improvviso: piccola vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva, e fra le lacrime andava ripetendo il mio nome. Dovetti fare forza per non dare alle guardie che ci sorvegliavano un segno di debolezza. Ma il cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Parlammo di tutto e di niente, notizie sue e della mia vita di confinato. Il capoguardia interruppe bruscamente il colloquio, vidi mia madre allontanarsi curva. Tornai in cella senza toccare cibo, pensando a mia madre. Al mattino vennero a prendermi, speravo in un nuovo incontro con lei, ma i carabinieri erano venuti a prelevarmi per ricondurmi a Ventotene. Protestai, inutilmente. Alla stazione un gruppo di facchini mi attendeva, si levarono il berretto e, tenendolo in mano, si avvicinarono in silenzio esprimendomi con gli sguardi la loro solidarietà. Il più anziano dei facchini mi prese la valigia “Ci penso io Sandro” disse in dialetto. Il maresciallo lasciava fare. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire perché ammanettato, mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi, muti. Il più anziano sistema la valigia, mi mette la mano sulla spalla: “Buona fortuna Sandro, tutti ti salutano”. “Si volta bruscamente e si allontana singhiozzando”.
L’incontro con la madre lascia in Pertini una profonda traccia di commozione, ma lui reagisce battendosi per la dignità e la salute dei compagni di prigionia. Si accende una vivace polemica con Marcello Guida, zelante funzionario di polizia, che applica con severità i regolamenti di per sé già duri. Pertini scrive un esposto al ministero dell’Interno che chiede notizie allo stesso Guida che definisce Pertini protagonista e non vittima della situazione come vorrebbe far credere. Il 12 dicembre 1969 dopo la strage di Piazza Fontana, Pertini Presidente della Camera dei deputati, andò a Milano, incontrò l’allora questore Marcello Guida, ma rifiutò di stringergli la mano, ricordando il suo comportamento come direttore a Ventotene negli anni del fascismo. A quanti oggi non stringerebbe le mani?

3. La resistenza

 

 

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1 risposta a FRANCO BONINI, QUELLI DI PIAZZA SANTA STEFANO PUBBLICA DEL 23 DICEMBRE 1929, LA LETTERA ALLA MADRE DI SANDRO PERTINI—AGGIUNGIAMO UNA PARTE DELLA BIOGRAFIA DAL BLOG ” CENTRO PERTINI.ORG “

  1. Donatella scrive:

    Ci fa bene ricordare questi grandi uomini; ci dà coraggio meditare su quello che hanno sopportato nella loro vita, così breve nel tempo, per qualcosa di tanto fragile e bisognoso di cure come un ideale di libertà e di eguaglianza tra gli uomini.

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