POTERE AL POPOLO: CHI SIAMO E COSA FACCIAMO? +++ CARTA D’INTENTI IN 10 PUNTI

 

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Eccoci qui. 
Siamo in centinaia, venuti da più di 30 città d’Italia, dal Nord e dal Sud. 
Siamo giovani e meno giovani, c’è chi studia e chi lavora, molti che si arrangiano. Siamo un pezzo di questo paese, quelli che producono la ricchezza che altri si dividono, quelli che fanno andare avanti le cose, quelli che si mantengono onesti mentre pochi arraffano tutto. 
Siamo quelli che non sono mai ascoltati, che non hanno amicizie importanti, che non hanno un partito. E che però credono nell’impegno e nella collettività, e per questo ogni giorno militano in centri sociali, associazioni, comitati di base, collettivi, sindacati, portando avanti attività sociali, doposcuola gratuiti, ambulatori e palestre popolari, orti e gruppi d’acquisto solidali, mettendo su reti contro la povertà, difendendo i territori dalle devastazioni, attivandosi quando c’è un terremoto o un’emergenza… 

Siamo quell’Italia che la televisione non racconta, perché fa più comodo rappresentare un paese di individui isolati, depressi e arrabbiati che si fanno la guerra fra di loro, piuttosto che il paese solidale, che nella crisi sta imparando l’aiuto reciproco, a rispondere insieme ai bisogni, a denunciare gli speculatori, i politici corrotti, le inefficienze, gli sprechi. 

Non siamo famosi, non siamo nei giri giusti, non facciamo comodo a nessuno. Anzi chi ci governa, dall’Europa al più piccolo paese, ci vorrebbe far sparire. Ma esistiamo, siamo attivi su tanti territori, ci facciamo sentire, diventiamo sempre di più il riferimento che le persone non trovano nelle istituzioni.
Abbiamo deciso di metterci al servizio del nostro popolo, degli ultimi. E lo facciamo con dedizione, come soldati che sanno di stare combattendo una battaglia lunga e dura. Contro l’arroganza del potere, il ricatto della fame, l’egoismo e l’ignoranza. Purtroppo siamo soldati senza un esercito, senza un piano di battaglia generale, troppo spesso divisi, chiusi ognuno nella propria resistenza…

Per questo abbiamo deciso di incontrarci. A Napoli, per quattro giorni, ci siamo raccontati esperienze, ci siamo insegnati a vicenda le pratiche che funzionano, abbiamo analizzato la situazione del paese. E siamo giunti ad alcune conclusioni. 

La prima: siamo stanchi di subire questa politica. Ogni giorno strappiamo sui nostri territori tante piccole vittorie, vediamo che non è vero quello che ci hanno insegnato, che non cambia mai niente… Vincere si può, se si lavora con tenacia, rendendo protagoniste le persone. Noi sentiamo addosso l’entusiasmo, ma non riusciamo a portarlo su una dimensione nazionale, farlo sentire a larghe masse. Per questo dobbiamo unirci, per far arrivare più lontano la nostra azione, per incidere sulla politica ai livelli più alti.

E dobbiamo farlo ora. Perché quello che sta succedendo negli ultimi mesi ha dell’incredibile. Il NO al referendum del 4 dicembre esprimeva tutto il malessere delle classi popolari, il sentimento di esclusione, il rifiuto delle politiche di impoverimento degli ultimi anni. Come hanno risposto le classi dominanti? Non hanno risposto: hanno iniziato a parlare di altro. Non di lavoro, di redistribuzione della ricchezza, ma di sbarchi, di immigrazione, di “sicurezza”, facendo scivolare questo paese nel razzismo, nell’odio, nella barbarie.

Tutte le forze politiche suonano lo stesso spartito. Ormai abbiamo di fronte tre destre: quella del PD, quella della Lega e Berlusconi, quella del Movimento 5 Stelle. Nessuna di queste forze offre una risposta ai bisogni dei lavoratori, dei disoccupati, delle giovani generazioni. Nessuna ci può salvare, perché nessuna vuole fare le uniche cose che potrebbero davvero cambiare la nostra vita: prendere la ricchezza dalle tasche dei ricchi, fare politiche sociali, investimenti pubblici, messa in sicurezza dei territori, fermare abusi e speculazioni.

Così, mentre la condizione di vita delle masse è in continuo peggioramento, sfiorando livelli drammatici nel Mezzogiorno e nelle periferie d’Italia, si preparano mesi terribili di campagna elettorale, in cui ognuna di queste forze farà a gara per affermarsi come la più intollerante, la più razzista, la più repressiva. Noi non vogliamo essere spettatori di questo teatrino. Vogliamo aggregarci, agire, e imporre i nostri temi all’ordine del giorno. Con l’informazione, con le lotte, con una presenza viva sui territori che tolga consenso a chi ancora ha la faccia tosta di ingannarci. 

Seconda conclusione. Siamo stanchi anche di quello che resta della “sinistra” italiana. Dei suoi meschini personaggi, del suo opportunismo, degli accrocchi elettorali per prendere una poltrona, del parlarsi addosso, dei circolini intellettuali staccati dal popolo, del suo sostanziale maschilismo, del suo individualismo esasperato. Sembra sempre di vedere un film già visto: con questa gente non si andrà mai da nessuna parte. Pensiamo – come ormai pensano tanti, anche quelli che ancora per fedeltà a degli ideali, per senso civico o per mancanza di alternative, si sacrificano in quei partiti – che a sinistra ci voglia una grande rottura, teorica e pratica, generazionale e di genere. Non è una questione di inseguire il nuovo per il nuovo: è un problema di credibilità, di liberare energie che rischiano di avvizzire.

Nessuna unità dall’alto, forzata, ma unità nelle pratiche, sulle questioni, sulle lotte. Prima fare e poi parlare. Prima il lavoro sui territori, l’inchiesta, la capacità di rispondere ai problemi, la pala, la scopa, il volantino al mercato, il radicarsi fra le masse, poi ciò che “è conveniente”. Prima la voce dei giovani, delle donne, degli oppressi, degli sfruttati, poi tutto il resto.

Fortunatamente, ci sono centinaia di realtà che già lavorano in questo senso. Piccole e meno piccole portano avanti quotidianamente un altro orizzonte e un altro modo di vivere. Fatte da gente generosa, che ci crede. Sono queste le cellule di una nuova sinistra popolare. 

Associazioni, sedi di partito o di sindacato, case del popolo, che nel silenzio continuano a operare. Soprattutto nelle province e nel Sud, luoghi a cui si guarda sempre con troppo snobismo. Se è nelle province che avanza la destra, che si fomentano atti di razzismo che, ripresi dai media, diventano senso comune, se è nelle province che si raccolgono voti per le imprese reazionarie, è anche nelle province che negli ultimi anni si sono dati straordinari atti di resistenza. Dalle lotte dei braccianti o dei facchini alle lotte in difesa dell’ambiente, passando per le reti di mutualismo, ci sono dei presidi democratici che fanno circolare idee, cultura, rinnovamento. Purtroppo delle cose buone che accadono in provincia non parla nessuno. Non possiamo quindi limitare la nostra azione alla metropoli: è anche nelle province che dobbiamo contrastare l’imbarbarimento nel paese, e dalle province dobbiamo imparare. Tutti i piccoli segnali positivi vanno raccolti ed evidenziati.

Terza e ultima conclusione. Se non possiamo aspettare e dobbiamo cercare di intervenire sullo scenario politico più alto, se nessuno verrà a salvarci, se persino chi si riempie la bocca di partecipazione e giustizia o è corrotto o è incapace, che possiamo fare? Possiamo iniziare a federarci, a mettere insieme quelli che rifiutano questa situazione. Non creare l’ennesima nuova organizzazione senza gambe, presuntuosa e autoreferenziale, ma dare una direzione comune alle tante gambe che già sono in marcia. Dare piena dignità politica a chi sui territori ha trovato un metodo di lavoro, una chiave per ottenere risultati e parlare al cuore delle persone. Un metodo fatto di umiltà e concretezza, volto a ottenere risultati.

Per questo abbiamo deciso di mettere su una piattaforma aperta a tutti, “Potere al popolo!”, che possa funzionare come luogo di incontro, che vuole dare visibilità a questo mondo, potenziando i suoi messaggi, che vuole far conoscere questo metodo, replicandone ovunque le pratiche.PMettendo in comune le nostre risorse (le informazioni, le capacità che abbiamo maturato, le casse di resistenza, gli avvocati, i medici…), dando anche ai gruppi più piccoli che si vogliano attivare sostegno e cassette degli attrezzi, cercando di stimolare il dibattito a livello nazionale e di rilanciare iniziative di mobilitazione. Praticando il controllo popolare sulle istituzioni, sulle amministrazioni, sugli enti pubblici, sulle aziende, sui fondi che troppo spesso vengono dirottati nelle tasche dei privati senza alcun beneficio per noi.

Mentre tutto si frammenta e si individualizza, mentre tutti si scindono, noi abbiamo deciso di legare. Di mettere insieme cose che prima non si conoscevano, di aprire vie alla comunicazione. Di provare quello che in altre parti d’Europa, dalla Grecia al Portogallo, dalla Spagna alla Gran Bretagna, passando per Francia e Belgio, è iniziato tempo fa.
Mentre molti sono fermi e rassegnati, noi abbiamo deciso di tentare qualcosa di nuovo. Convinti che non possiamo continuare a fare solo quello che facciamo, limitarci al nostro piccolo. Che sia il momento di fare un passo in più, di darci un progetto che duri più di qualche mese, che ci dia un orizzonte un po’ più largo.

Sappiamo che tanti sentono le nostre stesse cose. E speriamo che tanti vogliano darci una mano a far vivere questo spazio, a supportare, contribuire, allargare questa piattaforma. Studenti, disoccupati, lavoratori, quelli che una volta militavano e ora sono delusi, quelli che non hanno mai militato e sono curiosi… Nessuno di noi è inutile, tutti hanno qualcosa da dare, tutti possono rendersi utili per questo progetto. 

Vogliamo una vera democrazia, un sistema politico ed economico in cui non siano al centro i profitti, ma gli esseri umani possano scegliere liberamente il proprio destino, possano essere felici insieme. 

È da troppo ormai che non contiamo nulla. È tempo di far risuonare per tutta l’Italia un solo messaggio: “Potere al popolo!”

 

 

 

 

 

 

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1 risposta a POTERE AL POPOLO: CHI SIAMO E COSA FACCIAMO? +++ CARTA D’INTENTI IN 10 PUNTI

  1. roberto rododendro scrive:

    ne prendo una caso” Noi vogliamo una sanità gratuita efficiente e sottoposta al controllo popolare”….
    Quel che m’interessa non è “quel che vogliamo” ma quel “sottoposta al controllo popolare”.
    Sarò un vecchio e smaliziato scettico ( e, perchè no ? anche un po’ cinico), ma quando leggo o sento “controllo popolare” mi cadono le braccia o mi vien da ridere, a seconda dell’umore.
    “Controllo popolare” come “democrazia” vuol dire tutto ma vuol dire anche nulla.
    Mettiamola così: chi si arroga il diritto di “controllare” e quindi “giudicare”?
    Chi è questo “popolo” che decide, che controlla?
    Come viene scelto?
    p.s. vai alla voce “democrazia”…. ahimè.

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