LIMESONLINE, 19-01-2018 — AMBIZIONE E REALTA’ DELLA MISSIONE ITALIANA IN NIGER DI GIUSEPPE CUCCHI

 

 

LIMESONLINE —19 GENNAIO 2018

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Ambizioni e realtà della missione italiana in Niger

Carta di Laura Canali - 2017

Carta di Laura Canali – 2017

L’invio di un nostro contingente nel Sahel è opportuno, oltre che gradito a Usa, Francia e Germania. Ma non è privo di insidie e non sarà risolutivo.

Raramente una sola mossa di politica militare consente di conseguire più risultati simultaneamente, tanto all’estero quanto all’interno dei confini.


L’invio di una missione addestrativa delle truppe italiane in Niger, concordata con alcuni dei più importanti fra i nostri alleati e recentemente autorizzata dal parlamento, rientra appieno in questa categoria.


L’impegno risulterà certamente gradito agli Stati Uniti, i quali soffrono di un forte deficit di presenza in Africa pur essendo già presenti in Niger, ove le loro truppe speciali cooperano con gli analoghi reparti francesi.


La missione dovrebbe risultare gradita anche all’Unione Europea e soprattutto alla sua responsabile per la politica estera, Federica Mogherini, che sollecita da tempo un rinnovato impegno degli Stati membri nella proiezione della sicurezza. Nonché ai nostri due maggiori partner comunitari, Francia e Germania.


Da almeno 6 anni, infatti, Parigi insiste con Roma per un maggiore impegno in teatri che consentano ai francesi di alleggerire l’onere sostenuto in quella che un tempo era chiamata Françafrique. Recuperando in tal modo soldati da destinare in Francia alle accresciute esigenze di sicurezza interna di un paese rivelatosi il bersaglio europeo preferito del terrorismo islamico. Per i francesi, poi, fra tutti i paesi africani il Niger riveste un valore del tutto particolare poiché dalle sue miniere si estrae l’uranio indispensabile per le centrali nucleari dell’Esagono e per la sua force de frappe.


Quanto alla Germania, la presenza degli italiani accanto al contingente tedesco nella medesima missione significa non soltanto la condivisione di un compito – che diventa quindi meno oneroso e più agevole – ma l’intervento di militari che al prezzo di sudore e sangue si sono guadagnati negli ultimi trent’anni la fama di essere tra i migliori del mondo nel peacekeeping e nella gestione delle crisi.


Carta di Laura Canali - 2017


In termini di politica estera nazionale, la nostra mossa ci avvicina a quei due grandi partner europei cui cerchiamo di rimanere agganciati, soprattutto in un periodo come questo che sembra precedere una radicale ridefinizione di ruoli e gerarchie in ambito comunitario.


Il dispiegamento di truppe in Niger si inserisce nel quadro di un rinnovato attivismo africano che caratterizza almeno da un paio di anni il nostro approccio al fenomeno migratorio. Nell’impossibilità di fermarne il flusso alle nostre frontiere o di rimpatriare i migranti, dato il corale e pressoché totale rifiuto da parte del resto dell’Europa di condividere un’ondata che l’Italia stenta ad affrontare da sola, l’unica soluzione possibile è apparsa quella di cercare di disciplinare il fenomeno all’origine o nei nodi di transito – come appunto il Niger.


Ciò richiederà alle nostre Forze Armate un impegno nel Sahel e nel Golfo di Guinea ben più forte che in passato.


Non inganni il modo in cui attualmente sui mass media si parla soltanto di Niger. In realtà, il decreto che decideva in merito fissava anche la partecipazione italiana con 60 militari a un centro di “fusione dell’intelligence” sotto egida Nato in Tunisia, che avrà soprattutto compiti addestrativi. Al pari della missione principale che svolgeremo in Niger, la quale appare però destinata a coinvolgere non soltanto militari locali ma anche soldati del gruppo del G5 – i paesi dell’area (Mauritania, Burkina Faso, Mali e Ciad, oltre al Niger) che hanno deciso di combattere insieme il terrorismo fondamentalista in tutte le sue ramificazioni.


Per poter agire in Niger dovremo dislocare gruppi logistici in alcuni porti del Golfo di Guinea, il che significa accordi e coinvolgimento di altri paesi. Nel frattempo stiamo anche inviando piccole missioni o elementi isolati in Mauritania, nella Repubblica Centrafricana e in Marocco, in quest’ultimo caso nell’ambito di Minurso, la missione Onu per un referendum concordato – ma che mai verrà indetto! – nel Sahara Occidentale. In Libia prevediamo di rinforzare le due grandi missioni italiane che già vi operano: l’ospedale militare schierato a Misurata e i reparti della Guardia costiera che addestrano l’omologa specialità libica.


Se poi consideriamo come da tempo il nostro personale operi anche in Somalia (con le Nazioni Unite), a Gibuti (ove abbiamo una base) e in Egitto (nel quadro della Mfo che sorveglia la conformità dei firmatari agli accordi di Camp David), il quadro diviene veramente completo. Non c’è da stupirsi che gli stanziamenti da destinare quest’anno al finanziamento delle missioni superino nettamente quelli dell’anno scorso.


Carta di Laura Canali - 2017


La crescita della nostra presenza in Africa sarà compensata da una riduzione del nostro impegno in altre e più lontane parti del mondo. Prevediamo di tagliare parte del nostro contributo alla Operazione Nato Resolute Support in Afghanistan, anche se il ridimensionamento dovrà essere concordato con i partner e dovrà superare una decisa opposizione, specie da parte statunitense. Ritireremo inoltre, in considerazione delle mutate condizioni locali, parte delle missioni che avevamo in Iraq, attingendo soprattutto a quelle per la protezione della diga di Mosul e ai reparti che addestrano i peshmerga curdi ad Arbil.


Disimpegni nel complesso quanto mai opportuni, viste le nuove nubi che si stanno addensando sull’Afghanistan e sul sogno curdo di poter finalmente disporre di un focolare nazionale indipendente. D’altro canto, la decisione di Roma appare perfettamente in linea con quanto sancito alcuni anni fa dal Libro bianco per la difesa, che prendeva atto del nostro rango di media potenza – interessata quindi soltanto a scacchieri regionali abbastanza vicini e non a quanto accade in lontanissime e sperdute aree del globo.


La nostra parziale assunzione di responsabilità in Africa ridimensiona e ristruttura, geograficamente anche se non come entità, il nostro impegno complessivo. Dovremo comunque prestare notevole attenzione a non farci trascinare dalla Francia – molto più disinvolta di noi nel decidere l’uso della forza militare e con un atteggiamento verso il continente nero che rischia a volte di scivolare nel neocolonialismo – in avventure che vadano oltre gli scopi che noi ci ripromettiamo di conseguire.
In tal senso, la presenza della Germania al nostro fianco dovrebbe rivelarsi un utile contrappeso.


Pare destinato a coadiuvare e, parimenti, a costituire un freno a qualsiasi tentazione il fatto che noi italiani – che ospitiamo il Vaticano – siamo in rapporti unici con una Chiesa Cattolica la quale finisce sempre col dire la propria in ogni nostra decisione di politica estera.


Una Chiesa che ha chiaramente dimostrato negli ultimi anni di considerare i migranti uno dei problemi principali di quest’epoca di grandi cambiamenti.

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