DON DANTE CARRARO DIRIGE ” CUAMM MEDICI PER L’AFRICA “, UN’ORGANIZZAZIONE NATA NEL 1950 IL CUI SCOPO E’ ” ARRIVARE ALL’ULTIMO MIGLIO “—DIFFUSA NELL’AFRICA PIU’ POVERA

 

REPUBBLICA, 22-01-2017

http://www.repubblica.it/sport/running/storie/2017/01/22/news/prete_runner_missionario_africa_don_dante-156626019/

 

 

Don Dante missionario e runner: “La corsa è un regalo di Dio”

Don Dante missionario e runner: "La corsa è un regalo di Dio"
Don Dante Carraro 

Dante Carraro dirige “Cuamm medici con l’Africa” che da decenni opera nei luoghi più disperati del continente. Corre ogni mattina per almeno mezz’ora, a Padova dove vive o tra le bidonville di Freetown, nella foresta ugandese o sugli assolati altipiani etiopi: “Mi fa sentire libero e di fronte a questo dono che ricevo dalla vita non posso non pensare a chi è più sfortunato, a chi è malato, a chi è più bisognoso”.

di PIETRO DEL RE
 ROMA – Corre tutti i giorni che Dio manda in terra, don Dante Carraro, sempre dalle 6.30 alle 7 del mattino, in Italia ma anche in Africa, nella città dove vive, Padova, e tra le bidonville di Freetown, nella foresta ugandese o sugli assolati altipiani etiopi. Diciamo subito che don Dante, classe 1958, nato a Pianiga, in provincia di Venezia, è un prete sui generis perché mentre faceva il seminario si specializzò in cardiologia, ma soprattutto perché dirige con infinita passione un’importante organizzazione non governativa italiana, il “Cuamm medici con l’Africa”.

Don Dante ha cominciato a fare jogging dieci anni fa e quando gli ho chiesto cosa significhi per lui correre, mi ha risposto con parole che non dispiacerebbero al più miscredente dei runner: “La corsa è una delle fonti del mio impegno umanitario, perché mi fa sentire libero e mi rende consapevole della mia fisicità, dei miei muscoli, del mio respiro. Di fronte a questo regalo che ricevo dalla vita non posso non pensare a chi è più sfortunato, a chi è malato o a chi in Africa è più bisognoso”.
Fatto sta che nel più povero dei Continenti, il sacerdote trascorre sei mesi l’anno per registrare di persona, e se possibile risolvere, i mille problemi che intralciano il lavoro dei medici e degli operatori del Cuamm, un’organizzazione che da decenni opera nei luoghi più disastrati dell’Africa, siano essi devastati da una siccità, funestati da una guerra o colpiti da un’epidemia. “Non è un caso se il mandato originario dell’organizzazione, che fu fondata nel 1950, era proprio quello di arrivare ‘all’ultimo miglio’ “, dice don Dante.

Lo scorso autunno l’ho accompagnato in Sierra Leone, dove i medici del Cuamm erano presenti durante i due anni di Ebola, e dove lo sono tuttora per partecipare alla ricostruzione di un sistema sanitario che l’epidemia ha interamente distrutto. Assieme abbiamo raggiunto l’ “ultimo miglio” di quel Paese: l’isola di Bonte, a dieci ore dalla capitale Freetown, cinque delle quali su strade con buche profonde come tombe. Sebbene ci sia un ospedale recentemente ristrutturato dalle Nazioni Unite, su quest’isola mancano i chirurghi, gli anestetisti, i ginecologi e via elencando. Prima di decidere se inviarci i suoi di medici, don Dante ha voluto vedere con i propri occhi in quale infausto e miserabile teatro questi dovranno lavorare. Purtroppo di luoghi come Bonte è piena l’Africa. Il Cuamm ne ha individuati in ognuno dei Paesi africani dove ha aperto dei progetti: in Sierra Leone, appunto, ma anche in Sud Sudan, Etiopia, Mozambico, Mozambico, Uganda e Angola.

Ho incontrato missionari un po’ ovunque nel Sud del mondo, e prima di conoscere don Dante ero convinto che anche il suo lavoro fosse essenzialmente centrato sulla carità e sulla diffusione della parola di Cristo. Ma mi sbagliavo, perché la professionalità umanitaria del sacerdote veneto m’è apparsa quanto mai laica e moderna, interamente votata ad alleviare le sofferenze dei più poveri e a migliorare il loro livello di vita. La sua religiosità don Dante la esprime diversamente. Lo fa, per esempio, dicendo messa anche in trasferta per il personale del Cuamm. Per questo, nei suoi frequenti viaggi in Africa porta con sempre con sé una valigetta con un piccolo crocefisso, una boccetta con del vino e una con dell’acqua, un fazzoletto, una stola e un contenitore metallico per le ostie. “Una volta, i doganieri dell’aeroporto di Francoforte non capivano che cosa fosse quella scatoletta né che cosa ci fosse dentro, e s’insospettirono. Evidentemente non avevano mai visto una particola in vita loro. Si tranquillizzarono solo quando scoprirono che avevo anche un crocefisso e mi lasciarono andare”, racconta divertito il religioso.

La sua croce don Dante la porta anche quando corre. Quella che aveva in Sierra Leone era piccola, di legno grezzo. Durante quel viaggio, l’ho visto partire per il suo jogging delle 6 e mezzo sia tra le strade dell’inquinata capitale sia in mezzo alla foresta dove avevano trascorso la notte. “Quando sono a Padova in mezz’ora copro una distanza di circa 4 chilometri e 400 metri, procedendo a 10-11 km l’ora”, dice con una punta di fierezza il direttore del Cuamm. “Mi piace fare jogging anche quando piove, e quando corro amo guardare quello mi circonda: le stelle nei cieli invernali della mia città ma anche i volti divertiti degli africani che incrocio nei villaggi più remoti. In realtà, in quella mezz’ora già comincio a pregare e a lodare il Signore”. Già, don Dante Carraro vive il Vangelo a modo suo. Anche correndo.

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