EMANUELA AUDISIO, REP. 22-02-2018 ::: SOFIA, MICHELA, ARIANNA:: TUTTO L’ORO E’ DONNA::: C’E’ UN’ITALIA NUOVA!

 

PyeongChang 2018, lo snowboard è azzurro: Michela Moioli vince l'oro

michela moioli

Tutto l’oro è donna c’è un’Italia nuova

Sofia, Michela, Arianna. Per la prima volta ai Giochi il 100% delle medaglie più preziose è al femminile. Storia di un sorpasso epocale

EMANUELA AUDISIO

Sofia Goggia in gara (Ansa)

sofia goggi

 

 

Arianna Fontana - Pyeongchang - 13-02-2018 - Arianna Fontana: le immagini del trionfo olimpico

arianna fontana

 

PYEONGCHANG

Hanno nomi gli ori. Sofia, Michela, Arianna. Tre su tre, firmati da donne.

Testarde e vincenti. È da 16 anni che l’Italia femminile non era più number one, da Salt Lake City 2002 (tre primi posti su quattro). I numeri quasi mai sono neutri, sono cifre di un’altra Italia, quella dell’altro sesso, che tra sport e società non sempre ha viaggiato sottobraccio. Nel 1926 Grazia Deledda è la prima donna a vincere il Nobel con “Canne al Vento”, ma bisognerà aspettare dieci anni, per vedere Ondina, che si chiamava Trebisonda, vincere gli 80 ostacoli a Berlino nel 1936. Ha vent’anni, è di Bologna, è il primo oro olimpico femminile. «Faceva freddo, avevo due maglie addosso, andai alla buchetta e il massaggiatore per farmi coraggio mi diede una zolletta di zucchero imbevuta di cognac. Hitler mi parlò, ma io non capivo il tedesco. Ricordo le feste al mio arrivo in stazione, il prefetto fece trasferire il suo segretario perché il mazzo di fiori che mi consegnarono era piuttosto moscio». Ondina, precocissima, avrebbe vinto anche prima, ma nel ’32 a Los Angeles sarebbe stata la sola donna della comitiva. E non stava bene fare una trasferta in mare «con tanti uomini». C’era anche il veto del Vaticano. Così restò a casa: i maschi potevano, le femmine no: «Creavano problemi». Intanto nel ’42 al cinema con Clara Calamai arriva il primo seno nudo e nel ’51 Angela Maria Guidi è la prima donna al governo in Italia (sottosegretaria all’Artigianato). A Helsinki nel ’52 Irene Camber, 26 anni, triestina, diplomata in pianoforte e prima laureata in chimica industriale all’università di Padova, fa un fioretto d’oro. «Ero molto rapida in attacco». Il ’68 delle donne arriva nei Giochi Invernali: Erika Lechner, 20 anni, di Maranza (Bolzano) fa la rivoluzione e vince il primo oro femminile, nello slittino, grazie alla squalifica della Germania est che ha barato riscaldando i pattini. Nel ’72 a Monaco è la prima volta di una mamma, Antonella Ragno, di Venezia, 38 anni, un figlio di due, è oro nel fioretto. Suo padre Saverio aveva fatto parte delle lame azzurre, ma lei non era mai riuscita a regalargli il titolo: «Vinsi alla mia quarta olimpiade, quando smisi di essere una figlia, ma papà purtroppo non c’era più». Nel ’76 Tina Anselmi, di Castelfranco Veneto, expartigiana, è la prima ministra (del Lavoro) dopo 836 uomini in 115 anni di storia. Nel ’78 viene approvata la legge sull’aborto, nel ’79 Nilde Iotti è la prima donna presidente della Camera. E nell’80 a Mosca una ragazza veronese di 25 anni, che due stagioni prima si è arrampicata al record di 2 metri e 01, vince nell’alto l’unico oro femminile. «Nel nostro paese mancavano strutture e mentalità: prima venivano gli uomini, le loro necessità, poi se c’era spazio, toccava a noi».

Sara salì sull’asticella, sui sogni, sul mondo. E cambiò l’Italia.

Una donna poteva, sì. E poteva molto bene. Lo sport non distruggeva, ma esaltava.

A Sarajevo nell’84 Paoletta Magoni, 19 anni, di Selvino (Bergamo) si mette al collo il primo oro (slalom) dello sci femminile italiano. Dopo 13 edizioni olimpiche a quota zero le donne rompono il tabù.

«Dissi che andavo ai Giochi per vincere, non per partecipare.

Mi guardarono tutti come se fossi pazza, la gente pensava mi fossi montata la testa». Ad Albertville nel ’92 l’oro di Deborah Compagnoni nel SuperG e, dopo, nello slalom, l’urlo di dolore, sentito in diretta, con rottura dei legamenti (si era già spaccata il ginocchio destro nell’88). Sì le donne soffrivano, facevano fatica, con gli ori nel fondo di Stefania Belmondo, 47 chili di tormento, e di Manuela Di Centa, regina di ferro, ma «orgogliosamente contadina».

A Barcellona nel ’92 nella scherma con l’oro di Giovanna Trillini, 22 anni, arriva il primo prototipo delle ragazze di Jesi (Ancona), nel ’94 a Lillehammer le signore della neve, Deborah, Stefania e Manuela si ripetono, con l’aggiunta di Gerda Weissensteiner, ultima di otto figli, ma prima nello slittino.

Trillini si riafferma a squadre ad Atlanta ’96 anche con Valentina Vezzali, perché come diceva il maestro Triccoli «la scuola fa scuola». Nel ’95 Susanna Agnelli è la prima donna ministro degli esteri.

Sempre ad Atlanta nel ciclismo si aggiungono gli ori di Antonella Bellutti (inseguimento) e di Paola Pezzo (mountain bike), non solo bellezze in bicicletta, ma anche campionesse capaci di riconfermarsi, mentre a Nagano ’98 Compagnoni fa il tris. Allora non si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, allora le donne possono e sanno mettere radici nello sport. A Sydney 2000 Alessandra Sensini nella tavola a vela e Josefa Idem nella canoa, vanno felicemente controvento, e poi c’è sempre lei, Valentina Vezzali, che inizia a costruire il suo mito. Niente donna mite, umile, rassegnata, ma ora e sempre volli, fortissimamente volli. «Quando tiro giù la maschera vedo solo l’avversaria, non la persona. Fa niente se la conosco, se mi ci alleno insieme, potrebbe pure essere mia sorella, sono pronta a infilzarla. Noi donne ci siamo emancipate dalla paura, dallo stare sempre nascoste. E se l’indipendenza ha un prezzo, meglio pagarlo, anche se costa, ma indietro a capo chino non si torna». Et voilà stoccata finale anche ad Atene 2004, dove la pallanuoto femminile vince il suo primo oro olimpico. Le donne sanno anche fare squadra. A Pechino 2008 nel nuoto c’è il primo oro femminile con Federica Pellegrini, a dimostrazione che le Italian girls non affogano più, ma anzi surfano sui pregiudizi: «Io non mi sento né sporca, né sbagliata, non siamo atlete da tenere al guinzaglio, ma persone da rispettare tutti i giorni». Insieme ai primi posti di Giulia Quintavalla nello judo, di Chiara Cainero nel tiro a volo, che lottano e colpiscono il bersaglio, mentre la solita Vezzali, mai stanca di vincere, lo abbatte. Per la prima volta le donne fanno pari: 4 ori su 8 sono loro. L’altra metà del cielo è anche la metà del medagliere che conta. Qui, dopo dieci anni, il sorpasso olimpico in un «made in Italy» dove l’oro è donna al cento per cento. Sofia, Michela, Arianna. Nell’attesa che la società se ne accorga: se vinci una libera a 111 chilometri orari e ti sbarazzi del mondo, significa che non sei una ragazza interrotta, ma che hai fiato, coraggio e volontà. E che hai aperto una porta. Dove passeranno anche altre.

MARCO ALPOZZI/ LAPRESSE/ LAPRESSE
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