NANDO DALLA CHIESA, IL FATTO 19-03-2018 —CARCERE DI VIGEVANO::: ” CHIEDO PERDONO AL MARE / CHE MAI HO OSATO RESPIRARE/ ALLA TERRA PER AVERLA SOTTERRATA…”

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 19 MARZO 2018

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L’arte della legalità messa in scena da chi sta dietro le sbarre

Le detenute dell’alta sicurezza di Vigevano tornano a teatro con un nuovo spettacolo per restituire dignità in carcere

È vero, è la seconda volta che racconto queste donne. Ma alla fine capirete perché. Carcere di Vigevano. Serata da lupi, piove come Dio la manda. Passaggio tra cancelli e posti di guardia e camminamenti allagati. Verso il teatro in cui un gruppo di detenute reciterà uno spettacolo scritto con loro da Mimmo Sorrentino. Il gruppo è diventato famoso negli ultimi due anni e attrae ormai i pubblici più sensibili nei grandi teatri cittadini e nelle aule magne delle università. Intanto ne è cambiata la composizione, alle detenute dell’alta sicurezza si sono aggiunte quelle comuni. La tecnica è di raccontarsi, strapparsi di dosso ogni maschera. Le storie vengono poi rielaborate e scambiate tra le protagoniste, in modo che il pubblico non le possa associare ad alcuna di loro. Tra le attrici, anche cognomi pesanti di camorra e di ‘ndrangheta, e capisci subito che il disvelarsi, il mettersi a nudo di ciascuna è una conquista senza prezzo. Lo spettacolo si chiama Sangue. Non richiama più, come nel precedente, la memoria dell’infanzia, dei Natali, dei padri.

Stavolta, la memoria viene sollecitata a viaggiare, anziché tra i sogni e i miti innocenti, nella realtà terribile di una vita che ha messo in conto l’omicidio e il carcere. Che ricordo avete dei delitti che vi hanno segnato la vita? Le detenute-attrici portano sul palco l’eco della violenza di ‘ndrangheta o, più spesso, di camorra. La voce prende le tonalità che deve avere avuto nell’attimo o nell’ora più atroce. Quando il sangue è schizzato sul supplì, si è impastato con il cibo. Quando lo zio leggendario è stato trovato riverso con il viso a terra, inutile l’arma portata dietro la cintura, lo avevano ucciso alle spalle, da vigliacchi che sono. O quando la testa insanguinata del padre è stata portata, adagiata sul proprio grembo, nella corsa allucinata in taxi verso l’ospedale.

Immagini di una vita che ha dimenticato l’innocenza, a volte precocemente, poiché ci si può sposare con un boss anche da bambine, basta una galanteria, una gentilezza che il padre non ha mai avuto. Segui i movimenti talora un po’ impacciati sul palco, interpreti una lingua disperata, e ti domandi perché si sia fatta largo in te una indubbia benevolenza verso quelle attrici. Hai ascoltato le sere prima sulla tv di Stato i racconti a raffica dei terroristi, e ti sono apparsi così poco “ex”. Ti sei scoperto come ferito da quella voglia di assurgere ancora a strateghi della rivoluzione, cavalieri sconfitti ma pur sempre cavalieri, non una parola di sofferenza – tra quelle andate in onda – per le sofferenze inflitte ad altri esseri umani.

Uno spettacolo indicibile, magari il 23 di maggio dateci qualche mafioso che ci spieghi per bene perché uccisero Falcone. Ti senti a disagio. A te, in fondo, il momento atroce l’hanno inflitto i mafiosi, non i terroristi, che non ci riuscirono. Perché ora ascolti e magari applaudirai le loro donne? La risposta sta forse in quelle frasi lievi, recitate collettivamente, durante lo spettacolo. “Chiedo perdono al mare/ che mai ho osato respirare/ Alla terra per averla sotterrata/ Al sole per non averlo adorato/ Al fuoco per averlo spento/ Al vento per averlo imprigionato/ Alla pioggia per averla sperperata/ Alla notte per averla trascurata/ Alle stelle per non averle desiderate/ Alle albe per non aver ricominciato/ Ai tramonti per non aver terminato”….

Sembra un’onda: “Chiedo perdono per non essere stata capace di guidare mio marito che è stato e sarà l’unico uomo della mia vita. / Chiedo perdono ai miei figli a cui ho dato tutta la ricchezza che avevo non sapendo che l’unica ricchezza che avevo era la povertà della mia infanzia. Quella non gliel’ho mai data”. Finché l’onda si abbatte sulla spiaggia: “Chiedo perdono a quella parte di me che tutti vedevano tranne me./ Chiedo perdono alla vita che ho vissuto come il destino ha voluto pur sapendo che io stessa sono stata il mio destino./ Chiedo perdono a voi che avete ascoltato queste storie/ Chiedo perdono ai morti. Tutti. Nessuno escluso/”. La richiesta di perdono, alle stelle come ai morti, a quelli innocenti e anche a quelli che non lo furono. Ecco il miracolo di cultura e di umanità che non si è affacciato sulla tivù di Stato. Arriva da lontano, passando con pudore tra le memorie terribili, per poi diventare litania leggera. Fino all’inchino finale davanti al pubblico che applaude. Ogni attrice una forma di inchino diverso. Poiché le vite sono diverse. Poi c’è qualcosa che le tiene insiem

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1 risposta a NANDO DALLA CHIESA, IL FATTO 19-03-2018 —CARCERE DI VIGEVANO::: ” CHIEDO PERDONO AL MARE / CHE MAI HO OSATO RESPIRARE/ ALLA TERRA PER AVERLA SOTTERRATA…”

  1. Donatella scrive:

    Un’opera del genere, trasmessa in televisione, potrebbe essere un’arma potentissima contro la mafia, aiutandoci a vedere realmente che cosa è stata e cosa è, dalla parte di chi è stato carnefice e vittima insieme.

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