PAOLO FERRARIO PUBBLICA SULL’ANTOLOGIA DEL TEMPO CHE RESTA UN BEL RACCONTO DI JORGE LUIS BORGES, A PROPOSITO DI CARTE GEOGRAFICHE

 

 

A proposito di carte geografiche, Un racconto di Jorge Luis Borges

di Paolo Ferrario

Borges è stato un grande scrittore argentino. Il suo racconto ha qualcosa a che fare con quello che abbiamo letto sull’impossibilità di una carta geografica di rappresentare fedelmente la realtà.

 

C’era una volta un imperatore avido e crudele. Aveva fatto costruire un’altissima torre in cima alla quale c’era una stanzetta con quattro finestre aperte ai quattro venti. L’imperatore si richiudeva nella stanzetta per intere giornate.

“Che fa l’imperatore chiuso lassù, nella torre?” si chiedevano i cortigiani. L’imperatore passava le giornate a contare. Affacciato ad una delle quattro finestre, con gli occhi strizzati per vedere più lontano possibile, l’imperatore contava i campi, gli alberi, le case, i fiumi che c’erano nel suo regno sterminato. Dopo aver contato, l’imperatore annotava ogni cosa in certi suoi libriccini unti e pieni di orecchie per il troppo uso che ne aveva fatto.

Un giorno passò sulla sua testa uno stormo di passeri e l’imperatore si mise a contarli. “Milletrecentotrentasette o milletrecentotrentotto? Maledizione ho sbagliato il conto!” Il solo pensiero che ci fosse qualcosa nel suo regno che non fosse segnato nei suoi libriccini lo faceva impazzire. Neppure un passero doveva sfuggire ai suoi conti, perché il regno era suo e di nessun altro.

Aprì la porta della stanzetta e scese a precipizio le ripide scale della torre. Giunto nella sala del trono chiamò attorno a sé i suoi ministri ed ordinò loro che si facesse subito un inventario di tutto ciò che, vivente o inanimato, abitasse nel suo regno. I ministri si grattarono la testa perplessi. Da dove avrebbero incominciato a contare? E quanto era grande il regno? Molti di loro non avevano mai messo il naso fuori del portone del palazzo imperiale. E se una cosa veniva contata due volte? C’era da diventare matti.

Un ministro più scaltro degli altri, e che aveva viaggiato all’estero, disse che ci voleva una carta sulla quale fossero disegnati tutti i monti, i fiumi, le valli, i boschi, le città del regno. Allora sarebbe stato facile contarli.

Gli altri ministri approvarono, una carta geografica dell’impero era quello che ci voleva, che si facesse subito una carta geografica! A nord del paese, in un antichissimo monastero, vivevano dei monaci che sapevano disegnare delle carte geografiche. Quattro di essi furono chiamati a corte e subito si misero al lavoro. Sette anni dopo, la prima carta geografica dell’impero era pronta.

La carta, spiegata sul pavimento, occupava una sala intera del palazzo imperiale. Sulla carta erano disegnate tutte le montagne, le valli, i fiumi, le città e le strade del regno. Per la prima volta i ministri dell’imperatore videro dove si trovavano i freddi paesi del nord e le scoscese montagne delle nevi, dove nasceva il fiume che scorreva nella valle e dove cresceva il grano che dava la farina per gli spaghetti delle loro mense.

Ma l’imperatore non era soddisfatto. Sulla carta c’erano le città, i paesi, ma non c’erano tutte le case delle città, tutte le capanne dei villaggi, tutti gli alberi dei boschi. I monaci risposero che ciò non era possibile perché la carta che avevano disegnato era troppo piccola per contenere quelle cose. “Fate allora una carta più grande!” rispose l’imperatore e tornò a rintanarsi nella stanzetta in cima alla torre. “Che si faccia subito una carta più grande!” fecero eco i ministri in coro. I monaci ripiegarono pazientemente la carta geografica e si misero nuovamente al lavoro. Quattordici anni dopo la nuova carta geografica dell’impero era pronta.

Per mostrarla all’imperatore la carta fu spiegata sul selciato della piazza più grande della città. Tutti erano meravigliati per l’accuratezza e la precisione del disegno. Sulla carta c’erano disegnate tutte le case, tutte le fattorie, tutte le stalle, tutti i porcili ed i pollai del regno. Si vedeva in quali terreni cresceva il grano, in quali il lino e la canapa: dove crescevano i boschi e selve e dove pascoli e brughiere.

L’imperatore arrivò a mezzogiorno, in sella al suo cavallo. Di lassù guardò la carta in lungo ed in largo. Era finalmente soddisfatto? Silenziosi, in disparte, i monaci aspettavano una parola di lode o di ringraziamento per il loro accuratissimo lavoro.

“Dove sono tutte le tegole dei tetti, tutte le foglie degli alberi, tutte le galline dei pollai? Su questa carta non si vedono”. Uno dei quattro monaci rispose timidamente che non c’era posto sulla carta per tutte quelle cose. “Che sia fatta una carta più grande!” rispose l’imperatore e andò via.

Questa volta i monaci persero la pazienza e tornarono sulle loro montagne. I ministri erano disperati. Se la carta non si faceva le loro teste sarebbero finite sotto la mannaia del boia. Pensa e ripensa alla fine ebbero un’idea: che si ordinasse a tutti i sudditi, pena la morte, di ricoprire di carta i loro campi, i boschi, le case, insomma ogni angolo del regno. Poi mille squadre di disegnatori avrebbero disegnato sulla carta tutto quello che c’era sotto: i tetti con tutte le loro tegole, i prati con tutti i fili d’erba.

Per fabbricare tutta la carta necessaria furono tagliati tutti gli alberi del regno. Gli uccelli non sapevano più dove posarsi e sulla carta non c’era nulla da mangiare. La terra non dava più frutti perché ovunque uno strato di carta la ricopriva. Nel paese arrivò la carestia e la gente moriva di fame.

Un giorno il popolo del regno si ribellò.

Tutta la carta fu strappata e fu raccolta in un mucchio enorme intorno al palazzo imperiale. Poi qualcuno accese un fiammifero e dette fuoco alla carta. Subito si alzarono fiamme altissime.

Dell’imperatore e dei suoi libriccini unti e pieni di orecchie non rimase che cenere

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