NANDO DALLA CHIESA: AUGUSTO E GIULIANO, GLI AMICI RITROVATI, COMPAGNI DI BATTAGLIE: una storia in cui ci ritroviamo tutti…

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 16 -04-2018

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Augusto e Giuliano: gli amici ritrovati, compagni di battaglie

L’incontro con un animatore infaticabile del Centro di cultura popolare e con chi seguiva i movimenti civili milanesi

Gli amici ritrovati. Che bella cosa che sono. Lampi di affetti e di passato che trafiggono il tempo. Improvvisi. Come se una mano invisibile avesse apparecchiato l’incontro. O come se non potesse che essere così. Vai a Trieste per un corso di formazione sul movimento antimafia nella storia d’Italia e, mentre parli, indovini nel pubblico un paio di volti profani, tratti all’apparenza da altri incompatibili scenari. Volti non identici a quelli che ti consegnerebbe la memoria, un po’ come in sogno. Ma non è l’effetto sogno a cambiarli. È il tempo, prodigioso concentrato di realtà. Chi sarà quel signore con la barba bianca che mi sembra di conoscere? Si direbbe Augusto, ma non è possibile. Abita a Milano. Non ci vediamo da 30 anni ma con certezza abita a Milano. E invece è lui.

Venuto da un anno a vivere qui, mi spiega alla fine, con sua moglie triestina, lei sì insegnante. Augusto Galli fu più di quarant’anni fa animatore entusiasta e infaticabile del Centro di cultura popolare, legato al Movimento studentesco milanese e che in università fece cose bellissime, nella cultura cinematografica e musicale soprattutto. Dimostrò, ad esempio, che la musica napoletana non era solo quella delle ugolette d’oro e del canto flautato, genere schiantato dall’arrivo dei Beatles e dei complessi rock. Ma che aveva cuore e ritmo per i tempi della rivolta. “Sono qui in pensione. Mi guardo intorno. Non faccio più consulenze professionali. A Trieste la vita ha prezzi abbordabili. Prima di tutto perché puoi andare a piedi. E poi perché un bicchiere di vino non costa dieci euro come a Brera. Tutto ha più senso”. Un amico ricomparso d’incanto. Lo abbracci a lungo. Perché gli vuoi bene, ma forse perché vorresti fissare una buona volta il tempo e salvarne quel che non è riuscito a trasformare.

E di chi sarà mai quel viso con gli occhiali, e lo sguardo ammiccante e impaziente, come a dire “ci sono anch’io?”. Che si mette in fila alla fine per potere esigere più tempo degli altri? Ma certo, è Giuliano, compagno di tante battaglie. Altro che “non perdiamoci di vista”. Per due decenni di fila ci siamo persi. E ora a cena si racconta confessando “la matematica certezza che il mondo lo lasceremo così com’è; e che ad altri, forse, toccherà l’immane fatica e l’immenso piacere di provare a raddrizzarlo”. Per poi proporre con amarezza il balsamo più classico: “Noi abbiamo la forza, la malinconia e la serenità di quelli che, almeno, ci hanno provato”. Giuliano Comici lo conobbi più di 30 anni fa. Seguiva dalla più mitteleuropea delle città italiane i movimenti civili milanesi. Sempre disponibile a sobbarcarsi il viaggio in più, a sostenere ogni nuova speranza.

Voleva fare il giornalista, ma un giorno si arrabbiò quando scrisse, a proposito di un alto funzionario statale ucciso a Palermo da Cosa Nostra, che era stato, appunto, “assassinato dalla mafia” e si trovò in pagina “morto per mano omicida”. Poiché scrive bene, si è chiesto a lungo, e ancora si chiede, se la sua carriera locale sia abortita per avere rifiutato cordate e fedeltà di corrente. Ora scrive di ippica, e non fate battute, perché anche in questo mette serietà. “Lavoro parecchio meno di prima, causa una crisi abissale, e non avrò una pensione che mi eviti le preoccupazioni”. Non so se la mia narrazione del movimento antimafia lo abbia gettato nello sconforto per non avere più l’età degli studenti di cui ho cantato le gesta, o gli abbia procurato la nostalgia dei tanti tentativi compiuti per dare a questo Paese un destino diverso. Sogghigna che la storia a cui ci siamo ribellati è “passata tutta, come una colorata sfera di vetro, nella gobba di Andreotti”.

Penso che la birra che beve deve essere la più amara del mondo. Mi spiega di guardare ai giovani “con immenso affetto”, ma pure con la malinconia per non essere come loro, e soprattutto con la voglia di capire perché non si ribellino tutti insieme, “come generazione, intendo”. Dice che anche se “ci hanno voluto fare vivere come sudditi”, lui, Giuliano, ci ha messo “tutto il senso del dovere di dignità e di ribellione che ho potuto”. Parla. E penso a quante storie individuali e collettive stiano approdando oggi o già siano approdate a queste convinzioni, in un’Italia che è pur stata generosa di slanci e di passioni. Alle amarezze che diventano, per tanti utopisti, senso della vita. Ci alziamo. Non perdiamoci di vista. Ma alla fine proprio gli scappa: “Hasta la victoria siempre!”. E si incammina sotto la pioggia.

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