ANTONIO VOLTOLINI, CARTA 48 — LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI –ELEONORA PUNTILLO, ” NON FU ” AMMUINA ” MA AZIONE PREPARATA “

 

 

 

 

Le quattro giornate di napoli rivisitate da carta 48

 

Cos’è CARTA 48?

L’Associazione socio-culturale “Carta ‘48” nasce dalla necessità di ispirarsi ai principi e di difendere lo spirito della nostra Carta Costituzionale in una società che registra un preoccupante distacco rispetto ai diritti ed ai doveri affermati nella Costituzione e, in generale, dall’impegno civile, sociale e politico, soprattutto nelle nuove generazioni.  “Carta ’48” si rivolge pertanto a tutti i cittadini, ed in particolare ai giovani, perché si comprenda quanto oggi sia importante il riconoscersi tutti, con eguale dignità, membri liberi ed attivi di una Comunità nazionale guidata da principi costituzionali, primo tra tutti il valore della persona umana, per i quali vale la pena di fare la propria parte. L’Associazione chiede a tutti di partecipare per offrire un contributo, umile ma convinto, alla Comunità Casertana, che ha tanti e seri problemi ed ha bisogno di tante cose, prima tra tutte un rinnovato e serio impegno civile.

 

CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 18  GENNAIO 2018

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/arte_e_cultura/18_gennaio_04/quattro-giornate-napoli-non-fu-ammuina-ma-azione-preparata-40d71552-f123-11e7-ab7e-62c7abcefb56.shtml

 

 

Quattro Giornate di Napoli, non fu «ammuina» ma azione preparata

Un libro-ricerca di Giuseppe Aragno sconfessa le teorie sulla spontaneità e sulla breve durata dell’evento storico

Per niente «improvvisate» e tantomeno «casuali» quelle che passano sotto il nome di «Quattro Giornate di Napoli», che non furono neanche quattro, ma molte di più. Nel recentissimo libro del professor Giuseppe Aragno, «Le Quattro Giornate – Storie di antifascisti», (350 pagine, edizioni Intramoenia) la conferma viene fuori dall’indagine comparata eseguita incrociando dati e nomi del Casellario Politico Centrale con i fascicoli dei 17mila confinati, con l’elenco dei combattenti nella nostra città che poi andarono a raggiungere le formazioni partigiane al Nord e l’Esercito italiano di Liberazione. Da questo accurato studio viene fuori che a Napoli organizzarono e parteciparono alla rivolta molti «sovversivi» che in precedenza erano stati schedati, arrestati, condannati dal tribunale speciale, imprigionati, confinati, e negli ultimi anni e mesi avevano preparato e organizzato le azioni per scacciare dalla città gli occupanti tedeschi e i loro complici fascisti.

La battaglia vera e propria durò venti giorni, i caduti furono molte centinaia, ma un retorico stereotipo della napoletanità ha spesso ridotto la prima rivolta di una grande città in Europa, ad un episodio di folcloristico ribellismo, quasi un «parapiglia», un’«ammuina» armata contro un nemico che si stava già allontanando. Ma che invece era ben presente in forze e stava sistemando le mine per far saltare il Ponte della Sanità, l’Acquedotto e altre strutture che furono salvate con i combattimenti.

Nessuna rivolta popolare è stata così pesantemente negata, sminuita, privata di senso e valore come la liberazione di Napoli, iniziata il 10 e culminata a fine settembre 1943, anche – come documenta Aragno – per responsabilità dei protagonisti: appena deposte le armi, scoppiarono furiose liti fra repubblicani e monarchici, comunisti, anarchici, socialisti. Molti addirittura rifiutarono di farsi registrare come partigiani combattenti, in polemica con la commissione di cui non vollero riconoscere l’autorità. Di storie inedite ce ne sono tante, fra cui quella dei fratelli Wanderlingh (avi del titolare di Intramoenia), due dei quali, Oreste e Attilio, socialisti, avevano partecipato da studenti ai moti del 1898 che videro le cannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris contro la folla a Milano e le cariche della cavalleria a Napoli. Finirono in prigione. Anche il fratello minore, Alfredo, schedato nell’elenco dei sovversivi, durante il fascismo fu incarcerato più volte; a Napoli i due fratelli maggiori riprendono con lui l’attività clandestina, ed è Ugo Wanderlingh, figlio di Oreste, l’impiegato che preleva fucili e bombe dalla Prefettura e li distribuisce ai combattenti. Alfredo scompare nel nulla il 12 settembre del 1943, nell’imminenza della rivolta.

Non è il solo che viene sequestrato per strada e deportato: in quei giorni erano iniziati i rastrellamenti, che per i nazisti andarono male perché in massa le donne napoletane nascosero e fecero fuggire gli uomini; e molte di loro già impegnate da anni nel lavoro politico clandestino, parteciparono alle battaglie in più zone della città. Giuseppe Aragno rivela storie che sono state nascoste perché incompatibili con lo stereotipo dello spontaneismo disordinato: parteciparono alla battaglia napoletana molti di quelli che nel 1936 avevano difeso la repubblica spagnola contro l’insurrezione franchista (come Federico Zvab, di nascita slovena, ricordato da una lapide bilingue in via Cisterna dell’Olio); tanti con lui poi raggiunsero le formazioni partigiane nel Nord. E documenta anche la presenza di «fascisti delusi» come il maggiore degli «Arditi» Alfonso Ciaravella che, a capo di un gruppo armato ispirato dal cattolicissimo principe Pietro Amoroso d’Aragona, assalì tedeschi e camicie nere asserragliati in una torre di Porta Capuana.

A Maddalena Cerasuolo viene riconosciuto (con medaglia di bronzo) il grande eroismo dimostrato nella battaglia che salvò il ponte della Sanità, ma solo l’ostinazione dei figli Gennaro e Gaetana Morgese ricorda che lei poi lavorò per i servizi segreti inglesi, attraversò due volte le linee del fronte, e assieme alla cantante Anna D’Andria (di cui si fingeva cameriera) durante feste e ricevimenti carpiva agli ufficiali tedeschi informazioni preziose per gli Alleati. Gli unici caduti decorati con medaglia d’oro alla memoria sono quattro giovanissimi e nessuno dei tanti antifascistiche avevano a lungo cospirato e poi combattuto. Questo, dichiara Aragno, «risponde alla logica minimalista» di esaltare, anche con le foto (trovate nel rullino che il famoso reporter Robert Capa acquistò dal giovane combattente comunista Alessandro Aurisicchio De Val) e perfino con il monumento di piazza della Repubblica, soltanto gli «scugnizzi». Convinzione condivisa con il giornalista Pietro Gargano che scrisse: «nacque il mito degli scugnizzi vittoriosi sui tedeschi, riconoscimento meritato, ma questa versione della storia fu usata con malizia e tolse peso all’importanza corale della ribellione».

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