FRANCESCO MANACORDA, CAPOREDATTORE ECON. E FINANZA DI REP., 18-05-2018, pag. 36 IL DILEMMA DELL’ILVA

 

IL DILEMMA DELL’ILVA

Francesco Manacorda

L’Ilva muore, all’Ilva si muore. Non si può certo speculare sulla morte — l’ennesimo incidente sul lavoro, come Repubblica ha dovuto purtroppo documentare anche negli ultimi giorni — del giovane Angelo Fuggiano nell’area portuale dello stabilimento di Taranto. Ma si può trovare un nesso tra il gruppo siderurgico commissariato, che si avvicina ogni giorno di più a fermare la sua attività per mancanza di fondi, il compratore internazionale già deciso da un’asta, che assiste incredulo a una grande tragedia — chiamarla commedia non si può — all’italiana, e la condizione difficile di tanti appaltatori e subappaltatori dell’Ilva che in alcuni casi non vengono pagati da mesi e sono spinti così anche a comprimere costi e sicurezza, aumentando il rischio di conseguenze tragiche come quelle di ieri.

Ma l’Ilva, proprio perché è materia politicamente e socialmente incandescente come quel metallo che produce, andrebbe trattata con la massima attenzione. Il dilemma lacerante che ha finito per opporre il diritto al lavoro al diritto alla salute nel quartiere Tamburi di Taranto va risolto garantendo l’irrinunciabile diritto a non morire di tumore per le polveri dello stabilimento e dando anche le maggiori garanzie possibili perché l’immenso stabilimento e i suoi 14 mila dipendenti ( più quelli dell’indotto) continuino a produrre e a lavorare. Dunque, non con proclami irrealizzabili come quelli enunciati nell’intesa cordiale Lega-5 Stelle per abolire le lavorazioni con il carbone — ipotesi oggi non praticabile non solo in Italia, ma in tutta Europa, visto che solo negli Usa il prezzo del gas rende competitiva una produzione decarbonizzata — ma invece con garanzie che le attività del nuovo acquirente Arcelor Mittal abbiano il minimo impatto sull’ambiente. E non certo un futuro che assomigli a una chiusura, in nome “ dell’economia circolare” o di altre chimere — se applicate a un grande complesso industriale e a migliaia di dipendenti — del genere. L’Ilva non è una fabbrica qualunque, con i suoi prodotti è la spina dorsale dell’industria metalmeccanica italiana che ha bisogno d’acciaio. «Vale l’1% del Pil», ha ricordato qualche giorno fa il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. E anche questa trasformazione dell’uscente Padoan — uomo abituato a misurare fino all’eccesso gesti, reazioni e parole — in Cassandra di disastri futuri dovrebbe dare il segno preciso dei rischi che si affronteranno se la politica economica e industriale del Paese si tingerà davvero di gialloverde, mantenendo i toni e gli obiettivi attuali. Non a caso ieri Paodan si è addirittura spinto a rimbrottare un esponente leghista di spicco che a Borsa aperta ha ipotizzato un cambio di guida al Monte dei Paschi di Siena. Titolo di Mps in caduta libera e il ministro che avvisa che così si rischia di distruggere «i risparmi degli italiani che a parole si vorrebbero tutelare». Irrituale, come reazione, ma decisamente irrituale — se non peggio — “ l’andiamo a comandare” leghista dove i barbari tanto evocati da Salvini finiscono per distruggere gli accampamenti della loro stessa gente.

Una simile incuria delle conseguenze, un uguale atteggiamento teso al “tanto peggio, tanto meglio”, applicato anche alla questione industriale, potrà avere effetti ben più gravi di una doccia gelata sui titoli di una banca. Arcelor Mittal ha tutto l’interesse a operare in Italia e a creare qui il suo snodo per l’Europa meridionale, ma non è ancora obbligata a farlo. Se le regole del gioco venissero cambiate in corsa, se si dovesse decidere che il destino di Taranto e della sua siderurgia sarà assai più splendente — almeno sulla carta dei contratti politici — e assai meno sicuro, i compratori potrebbero senza problemi legali fare un passo indietro. Difficile immaginare in questo caso un futuro per l’Ilva. A meno di non pensare che nella corsa frenetica a gonfiare il debito pubblico che contraddistingue il programma congiunto di Lega e M5S ci sia spazio anche per l’ennesimo conto a spese della comunità.

 

 

 

 

 

francesco manacorda

francesco manacorda, caporedattore economia e finanza di repubblica

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