NELLO TROCCHIA, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 13 AGOSTO 2018 ::: ROMA OCCUPATA DAI CLAN:: 300 CASE POPOLARI AI BOSS

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 13 AGOSTO 2018

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Roma occupata dai clan: 300 case popolari ai boss

Sono 6.500 gli alloggi abitati abusivamente nella Capitale. Le famiglie Casamonica, Di Silvio e Spada ne gestiscono direttamente una trentina. La stima di quelle che controllano arriva al doppio

 

Roma occupata dai clan: 300 case popolari ai boss
ERNESTO SANITA’

I clan criminali di Roma occupano le case popolari: i cognomi Casamonica, Di Silvio e Spada si possono leggere su almeno trenta campanelli, ma si tratta degli appartamenti controllati “direttamente”, poi ci sono quelli comunque gestiti dai boss, con le loro “assegnazioni”. E, secondo stime approssimative, dovrebbero aggirarsi almeno intorno ai 60 alloggi per i soli Casamonica, intorno, almeno, ai 300 considerando le altre “famiglie”: un fenomeno grave ma di difficile “misurazione”.

Perché oggi a Roma il controllo delle case popolari è uno dei tratti distintivi delle organizzazioni criminali, così si garantiscono presidi territoriali per attività illegali e consenso sociale. A Roma tra gli enti che si occupano di case popolari c’è l’Ater, ente regionale, che gestisce circa 48 mila unità immobiliari per 150 mila persone, una città nella città. Attualmente sono addirittura 6.497 gli alloggi occupati abusivamente, abitati da persone che non hanno alcun titolo, circa il 13,5% del totale. Nel dato, bisogna precisare, rientrano diversi profili: chi ha perso i requisiti, chi non è in regola, chi è oppresso dalla burocrazia, ma anche gli interessi della malavita. Le famiglie criminali, infatti, sono da anni entrate in questo fiorente mercato. Proprio nei giorni scorsi i carabinieri di Frascati hanno riconsegnato a Ernesto Sanità il suo appartamento occupato abusivamente per anni da Giuseppe Casamonica, ora detenuto. Sanità ha dormito anche per strada, a volte ospitato dagli amici, mentre la sua casa era entrata nella disponibilità del clan che gli faceva scontare un presunto debito del figlio adottivo, vicenda con la quale Sanità non c’entrava assolutamente nulla. Il figlio è morto per un infarto dopo un acceso diverbio, nel 2007, vicenda sulla quale ora la Procura di Roma, ha riaperto le indagini. Sanità, dopo anni di sofferenze e attese, ha riavuto il suo appartamento dove, per anni, risultava abitare Concetta Casamonica, detta Sonia, che lì aveva anche ottenuto da Roma Capitale la residenza. In realtà la donna non abitava lì, ma era un alloggio nella disponibilità del clan. Oltre dieci anni nei quali le cose di Sanità sono state distrutte e buttate via, con l’appartamento di 70 metri quadrati trasformato in un’alcova tra capitelli, quadri dorati e orpelli della casata.

Inizialmente Sanità era rientrato e aveva cambiato la serratura, una decisione che suscitò la reazione del clan. Giuseppe Casamonica lo raggiunse e, minacciandolo, gli intimò di consegnargli le chiavi. Uno dei gorilla di Casamonica gli disse: “Al paese mio quelli come ti li sgozziamo”. La storia di Sanità è emersa dall’inchiesta della Procura di Roma, pm Giovanni Musarò, che a metà luglio ha portato in carcere 37 persone del clan. Resta da chiarire che fine abbia fatto la denuncia che Sanità aveva presentato al commissariato di Sant’Ippolito, e che è sparita misteriosamente.

Per Andrea Napoletano, nuovo direttore dell’Ater, “è un piccolo tassello di un percorso complesso”. Nel 2017 sono stati recuperati 270 alloggi. I Casamonica, i Di Silvio, gli Spada, infatti, continuano a controllare decine di unità immobiliari. Nel 2016 l’ex commissario Ater Giovanni Tamburino parlò di 40 alloggi ai quali andavano aggiunti quelli sotto il controllo di famiglie come i Di Silvio e gli Spada. Le stime più prudenti parlano in tutto di una trentina di case, ma ci si riferisce solo a quelle dove all’interno vivono soggetti con quei cognomi. In ampie zone periferiche della città a decidere chi entra e chi esce sono i clan: tutto deve passare dal loro controllo, per l’organizzazione dello spaccio.

Nella relazione annuale della commissione regionale sulle infiltrazioni mafiose, presieduta da Baldassare Favara emerge uno spaccato inquietante. A partire dalle gambizzazioni, almeno tre registrate nei pressi di palazzine Ater, tra il 2015 e il 2016, e per motivi ancora da chiarire. Non solo, ci sono poi i danneggiamenti per la gestione delle piazze di spaccio. In alcuni casi gli ascensori vengono rotti e fermati in mezzo a due piani per depositare all’interno droga rendendo impossibile, in caso di blitz delle forze di polizia, identificare i responsabili. “Succede così – spiega Tamburino – anche nelle cantine occupate dove conservano droga e armi”. Così il consenso sociale “si crea attraverso la gestione illegale degli edifici o parti di essi – riflette l’ex commissario –, un dominio territoriale, una extraterritorialità dove la legge dello Stato fa sempre più fatica ad entrare”. In quei pezzi di Roma sprofondati nella Suburra i poteri riconosciuti sono quelli criminali e lo Stato non si vede.

 

 

Nello Trocchia

Nello Trocchia

Cronista

Sono nato, nel 1982, a Nola, comune in provincia di Napoli, terra natia di Giordano Bruno.

Sono inviato della trasmissione Nemo in onda su Rai2. Collaboro da tempo con il Fatto Quotidiano. Scrivo anche per l’Espresso e, per qualche anno, ho lavorato per La7. Sono un cronista, precario dell’informazione. Ho firmato Federalismo Criminale, nel 2009, Nutrimenti, menzione speciale al premio Giancarlo Siani, primo libro inchiesta sui comuni sciolti per mafia; La Peste, nel 2010, (con Sodano) sulla cricca politico-criminale che ha realizzato il sacco ambientale in Campania; Roma come Napoli, nel 2012, Castelvecchi (con Bonaccorsi, Sina)Io, morto per dovere, nel febbraio 2016, Chiarelettere (Con Luca Ferrari e Monica Dobrowolska Mancini). Ho partecipato al libro collettivo Strozzateci tutti, Aliberti. Ho scritto per il teatro: La Peste, tratto dall’omonimo libro e Le Rovine di Adriano. A volte qualche inchiesta provoca reazioni, da agosto 2015 sono sottoposto a vigilanza dei carabinieri per aver subito minacce da un boss di camorra per alcuni lavori pubblicati sul Fattoquotidiano.it. Nel 2015 ho ricevuto il premio ‘Paolo Borsellino’ e il premio Articolo21 per la libertà di informazione. La mia frase preferita per raccontare questo lavoro, bello e difficile, è incasellata nel film Fortapàsc, storia di Giancarlo Siani, faro ed esempio, cronista ucciso dalla camorra nel 1985: “Gianca’ ‘e notizie so’ rotture ‘e cazz”.

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