STEFANO FELTRI, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 15 SETTEMBRE 2018, ” LA SPONDA DI DRAGHI AI TRE MOSCHETTIERI ” ( CONTI, TRIA, MOAVERO )

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL  15 SETTEMBRE 2018

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La sponda di Draghi ai tre moschettieri

Ora che la legge di Bilancio inizia a prendere forma, diventa sempre più evidente che in Italia ci sono due governi: uno pacato, europeista, rispettoso delle regole europee, l’altro confuso, aggressivo, attento ai tg e ai sondaggi più che ai risultati. Le polemiche intorno alle dichiarazioni di giovedì del presidente della Bce, Mario Draghi, lo hanno reso evidente. Nella sua conferenza stampa mensile, Draghi ha risposto alle domande dei cronisti sull’Italia con una formula che è parsa insolitamente netta: “Negli ultimi mesi le parole sono cambiate molte volte e quello che ora aspettiamo sono i fatti, principalmente la legge di Bilancio e la successiva discussione parlamentare”. E poi: “La Banca centrale europea si atterrà a ciò che hanno detto il primo ministro italiano, il ministro dell’Economia e il ministro degli Esteri, e cioè che l’Italia rispetterà le regole”. La seconda parte richiamava le dichiarazioni del ministro dell’Economia tedesco, Olaf Scholz, che il 7 settembre, dell’Italia, aveva detto: “Io mi aspetto che tutti rispettino le regole”.

Il messaggio di Draghi alla politica italiana era chiaro: la Bce si fida e legittima come interlocutori i tre protagonisti dell’esecutivo che hanno dato prova di serietà e pragmatismo, cioè il premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, veterano dei negoziati a Bruxelles. Draghi non cita Paolo Savona, che pure ha incontrato per discutere del mai dettagliato “piano da 50 miliardi” proposto dal ministro degli Affari europei. E chiarisce che l’altro governo, quello delle dichiarazioni sulla disponibilità a sforare il tetto del deficit al 3 per cento del Pil, quello che usa la Commissione Ue come capro espiatorio, finisce per danneggiare gli italiani con dichiarazioni che fanno salire lo spread. E come hanno dimostrato le analisi del think tank Bruegel o dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, i danni sull’economia italiana sono tangibili e immediati. Per l’aumento dei costi di finanziamento del debito pubblico, ma pure per le imprese. Anche la fuga di capitali in corso dall’Italia preoccupa la Bce: 33,4 miliardi di riduzione di asset italiani in mani straniere a maggio, 42,4 a giugno, i dati su luglio pare saranno altrettanto negativi. L’andamento dei tassi sul debito a due anni, in preoccupante crescita, indica che gli investitori si aspettano pericoli imminenti. Che sono tutti politici e tutti italiani perché, a differenza che nel 2011-2012, questa crisi di fiducia non riguarda l’eurozona nel suo complesso ma soltanto l’Italia e soltanto la politica.

Matteo Salvini ha subito approfittato delle parole di Draghi e di una coincidenza temporale con le critiche del commissario europeo Pierre Moscovici (“Vedo dei piccoli Mussolini”) e del presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno (“L’Italia sa esattamente ciò che implicano le regole e cosa significano”). Il ministro dell’Interno ha colto l’occasione per evocare la sua usuale narrativa del conflitto tra Italia e Unione europea, addirittura invitando Draghi a un atteggiamento di umiliante sottomissione, peraltro incompatibile con il mandato della Bce: “Conto che gli italiani in Europa facciano gli interessi dell’Italia come fanno tutti gli altri Paesi, aiutino e consiglino e non critichino e basta”.

Il timore di molti investitori e, si capisce dalle dichiarazioni, anche di Draghi, è che i tre moschettieri del buon senso – Conte, Tria e Moavero – raggiungano un compromesso accettabile per i mercati in Consiglio dei ministri, magari con un deficit per il 2019 all’1,6 per cento del Pil, ma poi questo equilibrio venga smantellato nelle commissioni parlamentari affidate a leghisti radicali, Alberto Bagnai (Senato, Finanze) e Claudio Borghi (Bilancio, Camera). I veterani della politica economica ricordano che è dalla riforma del 1988 che il Parlamento non può più modificare i saldi di bilancio decisi dal governo, gli emendamenti a ciò finalizzati dovrebbero essere quindi dichiarati inammissibili. Ma le vie della finanza creativa e spregiudicata sono infinite. La lista delle promesse da finanziare pare ancora troppo lunga per essere compatibile con quel deficit all’1,6 per cento. Il dato sulla produzione industriale di luglio (-1,8 per cento invece del +0,3 atteso) è un segnale d’allarme per la crescita di quest’anno e del prossimo, quando il Pil potrebbe arrancare a un ritmo inferiore all’1 per cento. E questo significa vari miliardi in meno per la politica economica.

Draghi ha offerto una sponda di legittimità alla parte moderata dell’esecutivo per affrontare questa difficile situazione, in cui un’investitura esterna serve a placare le ansie degli investitori e a evitare che sul costo del debito si scarichino anche paure infondate. Ora resta da capire se è abbastanza. O se le spinte più violente contro l’Ue e i suoi vincoli, che covano dentro l’esecutivo e la maggioranza, avranno la forza da molti temuta.

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