ANTONIO PINELLI, RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE–GALLERIE DELL’ACCADEMIA– +++ ANALISI DEL QUADRO, IL MIRACOLO DELLO SCHIAVO

 

LA REPUBBLICA– ROBINSON  DEL 9 SETTEMRE 2018, pag. 65

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TINTORETTO

UN MAESTRO DEL COLORE/2

Ritratto dell’artista da giovane

di Antonio Pinelli

LUOGO: GALLERIE DELL’ACCADEMIA

VENEZIA

DURATA: FINO AL 6 GENNAIO 2019 BIGLIETTO: 12 EURO

 

 

Intorno al 1540, quando il ventenne Tintoretto era un pittore di talento ma ancora in cerca di una propria identità, l’arrivo a Venezia di due esponenti della Maniera tosco-romana, Francesco Salviati e Giorgio Vasari, produsse una svolta nella pittura lagunare, imponendo un aggiornamento perfino al maturo Tiziano. La controversia teorica tra primato del Disegno e primato del Colore, intesi come due modi antitetici di concepire l’arte, l’uno incarnato dalla Scuola tosco-romana, l’altro da quella veneta, aveva già trovato un punto di sintesi a Venezia con l’arrivo del toscano Jacopo Sansovino.

Il teorico Paolo Pino, nel suo Dialogo di pittura del 1548, delineò in astratto il modello di un pittore che realizzasse una sintesi tra i due opposti fronti, dichiarando che se il colore di Tiziano e il disegno di Michelangelo fossero stati racchiusi in un corpo solo, sarebbe venuto al mondo il “dio della pittura”. Ma è un caso che il Dialogo sia uscito proprio nell’anno in cui Tintoretto aveva messo a scompiglio Venezia con il suo Miracolo dello schiavo?

L’elettrizzante mostra con cui le Gallerie dell’Accademia si affiancano alla grande antologica di Palazzo Ducale indaga in profondità il tumultuoso e ancora oscuro decennio della formazione del pittore, che comincia con il 1538, anno della prima attività autonoma documentata e si conclude nel ’48, quando il Miracolo consacrò la nascita di un nuovo astro nella pittura lagunare. Scandita in quattro sezioni, la rassegna allinea una sessantina di opere, tra cui 26 di Tintoretto, per mostrare il tortuoso percorso attraverso il quale Jacopo, stimolato dalle novità toscane e dallo studio dell’antico e di Michelangelo sia approdato a incarnare l’ideale immaginato da Pino. Un punto fermo cronologico è assicurato dall’Apollo e Marsia che Jacopo realizzò nel ’44-45 per il soffitto di una camera dell’abitazione di Pietro Aretino, che si affrettò, in una lettera, a esaltarne la “prestezza del pennello”. Si aprirono così le porte di committenze di due importanti istituzioni cittadine, la Scuola del Sacramento e la Scuola Grande di San Marco, che offrirono al pittore l’occasione decisiva per produrre i primi, indiscutibili capolavori, culminati nel Miracolo dello schiavo. 

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ANALISI DELL’OPERA

Un vasto telero compiuto nell’aprile 1548 e osannato da una seconda lettera dell’Aretino. Tintoretto sceglie di rappresentare l’attimo dell’irruzione miracolosa del santo: invisibile alla folla, Marco piomba dall’alto, esibendo uno scorcio che ne lascia in ombra l’intera testa, resa ancor più buia dall’accecante controluce dell’aureola. La folla degli astanti reagisce con moti e gesti repentini, esprimendo attonito stupore o ritraendosi per lo spavento. Tutte le linee prospettiche convergono verso il fulcro del dipinto: la mano protesa del santo, motore primario del miracolo, che spezza o neutralizza gli arnesi del martirio. Al volo in picchiata di san Marco, avvolto in vesti colorate e svolazzanti, corrispondono, in eloquente contrapposto, lo scorcio invertito del pallido corpo nudo dello schiavo e l’avvitamento del boia annichilito. Con questa tela, Tintoretto ha aperto la strada di quella rivoluzionaria rappresentazione istantanea di un evento, che mezzo secolo dopo sarebbe stata ripresa e sviluppata da Caravaggio nella Cappella Contarelli in San Luigi de’ Francesi.

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