Nando dalla Chiesa, IL FATTO QUOTIDIANO 17-09-2018 — Livio va in pensione, ma in municipio resterà la sua leggenda

 

IL FATTO QUOTIDIANO   17-09-2018

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Livio va in pensione, ma in municipio resterà la sua leggenda

Per il collaboratore storico del consigliere comunale Basilio Rizzo una festa con i colleghi e tante emozioni

Una pennellata sulla vita. Una striscia bianca sopra il cielo. Perché anche i vecchi leoni vanno in pensione. Alla fine c’è andato anche Livio, figura semileggendaria del Comune di Milano. A volte, guardando certe persone, ti chiedi come sia possibile che non le conoscano tutti. Perché non sia stato dato in sorte anche a loro di essere Belen o Maradona. A vantaggio del popolo, si intende. La festa di addio di questo imperdibile sessantaquattrenne a un ufficio presidiato per decenni con amore si è tenuta l’altra sera. Un’ottantina di persone mescolate in un locale di tendenza. Con il timore, da parte di alcuni, dei classici album di famiglia.

La sinistra di un tempo, che si sarebbe verosimilmente prodotta in qualche Bella ciao nostalgica e stonata. Il rimpianto scontato di quando c’era il Pci di Berlinguer, o addirittura l’opposizione di Democrazia proletaria. Magari qualche ballo ingaggiato da generose e aitanti sessantenni, con l’immancabile rosso-castano di capelli sempre ricci e riottosi all’età. E invece minuto dopo minuto è andato in onda il miracolo. Fino a lasciare una scia di ammirata dolcezza nell’animo di chi c’era. Volete dunque sapere chi è Livio Poggi, voi che non avete avuto la fortuna di conoscerlo?

Semplice: è uno dei “tre dell’Ave Maria”, come più di vent’anni fa venne ribattezzata la affiatatissima squadretta di collaboratori (team, si direbbe oggi) del gruppo consiliare di Basilio Rizzo, storico esponente della questione morale a Palazzo Marino. Tre monelli in bilico tra la giovane età e la maturità, con quest’ultima che alla fine ha vinto inesorabilmente la partita. Fedelissimi del loro consigliere, pieni di inventiva e votati alla lotta radicale, anche se condita di buon senso. Un giorno vennero sorpresi a lanciarsi pallottole di carta con rudimentali fionde uscite come per prodigio dalla loro cancelleria.

Ma li si poteva sorprendere assai più spesso a lavorare di notte su una interrogazione, su una mozione, sulle verifiche più difficili di conti pubblici o di progetti urbanistici. Erano loro, in gran parte, il segreto di Rizzo il consigliere, che lavorava per venti e che sapeva e scopriva sempre tutto. Tutti e tre catapultati dalla scuola rivoluzionaria degli anni Settanta nel cuore delle istituzioni cittadine. Glieli invidiavano tutti, al consigliere moralista, quei monelli cresciuti. Leo, Tutù e Livio. Livio con le sue foto dei campioni dell’Inter, i primi piani di Massimo Moratti, passate di nerazzurro sulle pareti e sullo schermo del computer. E vignette politiche iconoclaste vaganti in ogni dove. E la battuta ironica che trasformava stanze di lavoro senza fine in luoghi di allegria, soprattutto quando vi si ricevevano con pazienza i “fuori di testa”, in cerca del consigliere per rivelargli le più inverosimili vicende di corruzione.

Livio, grandi occhiali e barba riccioluta e rada, si rifaceva degli stress offrendo a sé e agli amici il nocino fatto dalla moglie di Leo. Poi Tutù andò a fare il tassista. E i tre rimasero in due. Ora sono diventati uno, un po’ come i famosi amici al bar di Gino Paoli. Ma l’addio è stata una delizia. La celebre banda degli ottoni ha suonato per Livio inni di rivolta e liberazione, sprigionando allegria e ritmo. E foto e filmati avevano la genuina bricconeria che ha imperversato per decenni nei famosi uffici del terzo piano di via Marino. Impiegate e impiegati regolarmente in età matura hanno bevuto e poi attinto alla grande torta a forma di orso nerazzurro. E hanno poi svuotato bottiglie frizzantine, riscoprendo in pochi attimi la freschezza di una comunità che sembrava di nuovo senza rughe. Basilio Rizzo – “di-scor-so, di-scor-so” – ha fatto l’elogio del suo collaboratore. Il quale si è a sua volta commosso, decidendosi alfine a dire poche parole, così svelando il vero segreto della gente lì convenuta. Ha annunciato che continuerà a dare una mano anche dalla pensione, perché in pensione le idee non ci vanno, e nemmeno gli affetti. E allora la musica è ripresa, e gli ottoni hanno fatto squadra, e sessantenni aitanti e dai ricci riottosi all’età hanno danzato. E maschi imbiancati si sono aggiunti. Oddio, ho pensato. E invece dalle sembianze mature è salita una leggerezza misteriosa, una festa di vita, un profumo di tempi che non ho saputo decifrare, maledicendomi per le mie diffidenze.

Perché certe persone migliorano ciò che toccano: la politica, le burocrazie e le scartoffie, gli amici e le feste. Persone che a volte passano nelle nostre vite senza che ne scorgiamo la grandezza.

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1 risposta a Nando dalla Chiesa, IL FATTO QUOTIDIANO 17-09-2018 — Livio va in pensione, ma in municipio resterà la sua leggenda

  1. Donatella scrive:

    Questo articolo, al solito molto bello e gentile, di Nando Dalla Chiesa, dovrebbe essere letto da chi pensa che chi lavora nel pubblico sia sempre e comunque uno sfaccendato, mangiatore di pane ad ufo. Qualche giorno fa ho sentito alla TV una ministra che prometteva di mettere il controllo delle impronte digitali per tutti i dipendenti da pubbliche amministrazioni, in modo da combattere l’assenteismo. Forse ci sarebbero altri mezzi, meno polizieschi e più convincenti per fare del lavoro, anche nelle amministrazioni pubbliche, un posto dove si cerca di dare il meglio di se’, ad esempio condivisione delle scelte direttive, snellimento della burocrazia stupida, informazione e aggiornamento continuo del personale, magari anche stipendi decenti. Chissà se qualcuno ha calcolato in denaro le ore in più di dipendenti che fanno con serietà e passione il proprio lavoro: non credo proprio. E’ già molto che venga moralmente riconosciuto

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