CRISTINA NADOTTI, REPUBBLICA DEL 22 SETTEMBRE 2018, pag. 16 INTERVISTA TELEFONICA ALLA DOTT. MARIA CRISTINA DEIDDA, DEL REPARTO CURE ANTALGICHE E PALLIATIVE DELL’OSPEDALE GIOVANNI DI DIO A CAGLIARI

 

MARIA CRISTINA DEIDDA, REPARTO CURE ANTALGICHE E PALLIATIVE DELL’OSPEDALE SAN GIOVANNI DI DIO A CAGLIARI

 

La polemica

A Cagliari

“Che vergogna sentir dire in ospedale quelle frasi razziste tra pazienti”

In corsia si lamentavano per l’attesa ” per colpa di un nero”. L’oncologa: ” Mi scuso al posto loro”

CRISTINA NADOTTI

«In questo momento vorrei soltanto sparire», sussurra la dottoressa Deidda al telefono.

Abituata a entrare in punta di piedi nel dolore delle persone, mal sopporta il clamore sollevato dalla sua presa di posizione. Qualche giorno fa, nella sala d’aspetto del Day service di cure antalgiche e palliative dell’ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, mentre lei si allontanava per accompagnare un paziente senegalese a un ulteriore controllo, «ben quattro persone», come riporta lei stessa, si sono lamentate di dover aspettare «per colpa di un negro».

Maria Cristina Deidda, 52 anni, oncologa, ha chiesto scusa a nome degli intolleranti su Facebook: «Mi vergogno profondamente per quanto accaduto. Premesso che tutti i nostri pazienti, e sottolineo indistintamente tutti, sono amorevolmente trattati e supportati, poiché questo comportamento nelle cure palliative è indispensabile, pur sentendo in tutta Italia di comportamenti intolleranti e discriminanti, mi ero illusa che nel nostro ambulatorio, proprio a causa della delicatezza delle patologie trattate, l’animo umano fosse più compassionevole verso gli altri.

Io e le mie infermiere abbiamo fatto, molti anni addietro, il giuramento di assistere chiunque ne avesse bisogno, senza discriminante di razza, sesso, religione, ideologia politica».

Dopo la pubblicazione del post, la dottoressa Deidda ha incassato la solidarietà della categoria, ma ha subito anche tanti insulti sui social.

Ha dovuto rimuovere il post?

«No, l’ho reso visibile soltanto ai miei contatti, non l’avrei mai rimosso, perché esprime il mio pensiero e quel che ho scritto. Ma sono davvero molto turbata, non mi aspettavo tutto questo clamore. Il mio lavoro mi impone di essere pacata e accorta, sono i pazienti il fulcro di ogni cura, per cui non sono abituata a essere al centro dell’attenzione».

Sono arrivati i seminatori di odio, ma anche il sostegno della categoria.

«Una violenza che non mi aspettavo. Pur se non sono un’ingenua e conosco quel che accade sui social trovo incomprensibile che si minacci e si attacchi violentemente chi esprime il proprio pensiero. È giusto quanto scrive la Federazione degli ordini dei medici sui valori fondanti della nostra professione, ma mi disturba che quel che ho fatto sia stato interpretato soltanto come una presa di posizione contro i razzisti. Stiamo guardando il dito e non la luna, il problema è molto più ampio».

Perché? La sua denuncia aveva un intento diverso?

«È grave quanto successo al mio paziente senegalese, ma l’intolleranza è cresciuta verso tutti, verso una madre che ha un bambino che piange, o un anziano che si attarda a consegnare i documenti. Mi ha ferito e colpito la rabbia della gente»

Era successo altre volte?

«No, è stata la prima. Speravo che l’intolleranza che vedo in giro non toccassero il nostro ambulatorio, così protetto, così particolare.

Proprio per questo ho fatto un gesto palese, che di norma non mi appartiene. Una cosa però mi consola: io non ero presente, ma l’infermiera ha agito proprio come avrei fatto io, ha trovato le parole giuste per spiegare e placare gli animi. Ma siccome siamo abituati a riflettere sempre sulle reazioni delle persone che abbiamo in cura, mi sono chiesta che cosa avrei dovuto fare».

Ha trovato una risposta?

«C’è una sola risposta ed è quella che ho dato nel post. Ho chiesto scusa a nome di chi ha insultato.

Contro la violenza ci può essere soltanto una disponibilità maggiore ad ascoltare. Sarò ancora più attenta nei confronti dei miei pazienti, perché soltanto l’esempio può dare dei frutti».

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il gigantesco Ospedale di Dio a Cagliari

Maria Cristina Deidda, 52 anni,  nel reparto cure  antalgiche e palliative dell’ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari

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