ROBERTO PEROTTI, PROF. ECONOMIA IN BOCCONI, REPUBBLICA 29-09-2018 – PAG. 29:: IL PROGETTO NASCOSTO DELLA LEGA…importante è quello che dice sul 2,4% di disavanzo…e i governi immediatamente precedenti

 

REPUBBLICA DEL 29 SETTEMBRE 2018, pag. 29

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ROBERTO PEROTTI (Milano, 1961)

 

 

L’analisi

IL PROGETTO NASCOSTO DELLA LEGA

Roberto Perotti

 

Il governo ha annunciato un disavanzo per i prossimi tre anni del 2,4 per cento del Pil: superiore a quello che avremo alla fine di quest’anno, ma anche leggermente inferiore a quelli del 2016 e del 2017. Come si spiegano allora tante reazioni rabbiose? Secondo il programma del precedente governo il disavanzo sarebbe sceso quasi a zero nel 2019; rispetto a quell’obiettivo, il disavanzo del nuovo governo rappresenta un aumento di circa due punti e mezzo di Pil ( quasi 50 miliardi) ogni anno per tre anni. Una cifra enorme. Quindi è vero, la manovra di questo governo rappresenta una rottura drammatica: ma non rispetto alle politiche attuate dai governi precedenti, bensì solo rispetto ai loro annunci. Purtroppo, l’esperienza recentissima insegna che quegli annunci raramente valevano la carta su cui erano stampati. Nel 2013 il governo programmò per il 2015 un disavanzo dell’ 1,5 per cento del Pil; il disavanzo realizzato (da un altro governo, a onor del vero) fu del 2,6 per cento. Ma andò ancora peggio nel 2014 e 2015: disavanzo programmato per il 2016 e 2017 dello 0,8 per cento, disavanzo realizzato in quei due anni intorno al 2,5 per cento. Anche i programmi a più breve scadenza furono sempre disattesi: in ognuno dei quattro anni tra il 2013 e il 2016 si programmò l’1,8 per l’anno successivo; a consuntivo fu sempre tra il 3 e il 2,5 per cento (sono convinto che almeno uno di questi annunci fu fatto in malafede, senza alcuna intenzione di mantenerlo, ma questa è un’altra storia). Non che gli annunci di questo governo siano più credibili. Varie voci di spesa sono quasi certamente già sottostimate, e nel passaggio in Parlamento altre spese si aggiungeranno. Ma ancor più che numeri e contenuti (a cominciare dal condono) è il modo con cui si è arrivati a questa manovra che dovrebbe preoccupare mercati e italiani. Il dibattito se le politiche redistributive stimolino o no la crescita nel lungo periodo è aperto ed è legittimo. Ma siamo ad un altro livello, finora inesplorato, se un capo della coalizione crede seriamente di avere «abolito la povertà» dall’oggi al domani con un decreto, e senza porsi il minimo dubbio su possibili ripercussioni relativi a crescita e occupazione. Siamo ad un altro livello se l’altro capo della coalizione crede seriamente, mandando in pensione 400.000 sessantenni, di avere creato per decreto altrettanti posti di lavoro per i giovani: e pazienza se nessuno vorrà assumerli, perché ognuno di loro deve pagare contributi per sostenere due pensionati. È questo spensierato quanto pericoloso dilettantismo che non lascia presagire niente di buono per il futuro. Soprattutto preoccupa la convinzione diffusa che il disavanzo sia sempre e comunque un modo di creare dal nulla soldi e ricchezza, che una volta immessi in circolo creeranno altra ricchezza, e così via. Questa idea ingenua e primitiva ( sempre presente in tutti i governi, ma almeno recentemente mai in forma così marcata) è alla base di una parabola già scritta da tanti esperimenti dell’America Latina. Un leader (in alcuni casi in buona fede, in altri un avventuriero) convince tante persone in difficoltà che c’è una scorciatoia per risolvere i loro problemi; «tutto il mondo la sconsiglia, ma solo perché vogliono mantenerci in una condizione di sudditanza neocoloniale; dicono che va contro ogni meccanismo noto dell’economia, ma con il nostro coraggio noi mostreremo al mondo un nuovo paradigma ».E poiché, come dice Di Maio, «10 miliardi si trovano sempre», se l’anno prossimo la ricetta non avrà funzionato, si tratterà solo di raddoppiare la dose e i risultati arriveranno; se invece avrà funzionato, sarà la dimostrazione della giustezza del trattamento e quindi un altro motivo per raddoppiare la dose. Il risultato è nei libri di storia del Perù, del Venezuela, dell’Argentina, della Bolivia, e di tanti altri Paesi. Storie tragiche, perché alla fine ci rimettono proprio i più deboli.La vera domanda è perché la Lega assecondi tutto questo: dopotutto, misure come il reddito di cittadinanza non hanno niente a che vedere con la sua base storica. La realtà è che la Lega ha tutto da guadagnare da un aumento del debito pubblico. Nel breve periodo porta consensi; nel lungo periodo, se le cose vanno male, è un’occasione d’oro. La crisi del debito pubblico del 2011 fu risolta dalle controverse politiche del governo Monti, ma soprattutto dal duplice intervento della Banca centrale europea, che comprò titoli di Stato italiani. Alla prossima crisi non ci sarà un intervento della Bce. L’unica possibilità di replicare quell’intervento sarà di crearci la nostra banca centrale, cioè di uscire dall’euro. «Noi ci abbiamo provato, ma i mercati stranieri, le banche straniere, le agenzie di rating straniere, i commissari europei, il governo tedesco, tutti ci hanno perfidamente boicottato; non possiamo dargliela vinta, usciamo dall’euro e usiamo la nostra banca centrale per comprare il nostro debito pubblico, tutto si risolverà». Consensi alle stelle, perché c’è tanta voglia di incolpare gli “altri”; e finalmente si esce dall’euro. Cosa può volere di più la Lega? Se c’è una lezione dalla storia del Ventesimo secolo è che i movimenti che si battono visceralmente per un’idea possono rinunciarvi strumentalmente per arrivare al potere; ma anche se scompare per un po’ dalle loro esternazioni pubbliche, quell’idea prima o poi ritorna. Non illudiamoci, una grossa parte della Lega vuole ancora uscire dall’euro, e l’aumento del debito pubblico è il modo migliore per raggiungere lo scopo.

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